Le famiglie adottive sanno che frequentemente generano curiosità, a volte catalizzano stereotipi e interrogatori inopportuni, molto spesso per una cattiva informazione e conoscenza della complessità del percorso adottivo. Le famiglie adottive però sanno fare una corretta cultura dell’adozione, mettendosi in gioco con tutte quelle persone che sono vicine alla vita dei figli, come insegnanti, allenatori, capi-scout, genitori o nonni di compagni di scuola o degli amici del mare o del parchetto giochi, rispondendo alle loro domande esplicite e implicite sull’adozione e sul percorso che li ha portati a diventare una famiglia. In questo modo le famiglie adottive contribuiscono a migliorare la conoscenza collettiva su questo tema, che produrrà, in molti ma non in tutti, anche un cambiamento di prospettiva sull’adozione nella società.
Nell’immaginario collettivo, dei non addetti ai lavori, quando si pensa alla genitorialità adottiva emergono spesso due punti di vista polarizzati: l’adozione come gesto altruistico e caritatevole o, al contrario, come azzardo e imprudenza, per via della genealogia sconosciuta o “spaventosa” dei nostri figli.
Uguale destino è riservato ai bambini e ai ragazzi che sono stati adottati, percepiti a volte come baciati dalla fortuna, debitori o riconoscenti verso i loro genitori adottivi, altre volte come bombe a orologeria, sicuramente difficili e problematici, un’incognita nelle classi e a scuola.
Raramente ai bambini e ai ragazzi che sono stati adottati e alle loro famiglie è riconosciuta la capacità di affrontare le avversità della vita, di riprendersi dalle esperienze difficili e a volte traumatiche, di volgere positivamente e in maniera costruttiva ciò che sembrava dovesse andare solo in salita. Quella capacità che va sotto il nome di resilienza e di cui tutti i bambini sono dotati.
Le Associazioni di famiglie adottive nascono proprio dalla volontà di mettersi in gioco, dall’ambizione di far cambiare prospettiva sull’adozione nel proprio ambiente e anche dalla necessità di confrontarsi e supportarsi su aspetti della vita quotidiana che si scoprono peculiari. Quando un gruppo di famiglie comincia ad incontrarsi, sta rompendo l’isolamento che si fa sentire dopo l’arrivo di un figlio adottivo, quando può diventare difficile o limitante il solo scambio con la rete di amici e parenti, specialmente se si vogliono confrontare esperienze su aspetti tipici dell’adozione.
All’interno delle associazioni, le famiglie fanno palestra di confronto di esperienze e allenamento di consapevolezza. La necessità di sviluppare nuovi modelli familiari, di costruire legami e identità, produce una vera e propria trasformazione delle famiglie, da soggetti deboli, passivi e portatori di un bisogno, a soggetti attivi, capaci di esigere dalle istituzioni servizi di qualità specificatamente ritagliati sulle loro richieste e necessità.
Il Coordinamento CARE nasce proprio per alimentare e dare ulteriore forza al circolo virtuoso promosso dalle associazioni familiari del territorio, ed esercita un costante e capillare lavoro di advocacy, affinché le tematiche riguardanti la vita delle famiglie accoglienti siano sempre al centro dell’agenda politica.
Dalla fine del 2017 il lavoro di rete del Coordinamento CARE ha varcato i confini nazionali confrontandosi con analoghe realtà francesi e spagnole per realizzare l’obiettivo più ambizioso: creare un’organizzazione sovranazionale formata dai coordinamenti delle famiglie adottive europee, in modo che dialoghino direttamente con l’organismo che regola tutto il sistema delle adozioni internazionali in Europa e nel mondo, ossia la Conferenza de L’Aja.
Una sfida appena iniziata ma che contiene tutta la forza, il coraggio e la fierezza di mamme e papà che con l’adozione non hanno cambiato solo la vita dei loro figli ma hanno cambiato profondamente anche loro stessi. Genitori che ogni giorno hanno la capacità di trovare risorse personali per costruire una famiglia accogliente per i propri figli e un mondo più inclusivo attorno a loro.