Se un genitore manda in ospedale un’arbitra diciassettenne…

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Il padre a bordo campo è imbestialito. Quell’ammonizione a suo figlio non ci voleva. “Che incapace quella ragazza che si è improvvisata arbitro e ora mio figlio ne paga le conseguenze!”, pensa tra sé. Così, mentre la rabbia inarrestabile cresce, si avvicina a grandi passi verso lo spogliatoio della giovane che ha solo diciassette anni, e sferra un calcio potente alla porta dello spogliatoio che colpisce l’anca della povera ragazza.

No, non si tratta di un pessimo romanzo. Tutto questo è accaduto veramente lo scorso week-end alla fine di una partita di calcio del campionato Giovanissimi regionali dell’Umbria tra Junior Tiferno e Bastia. La ragazza ha trascorso una mezza giornata in ospedale e il gesto dell’uomo ha ricevuto molte condanne. Eppure non si tratta di un caso isolato perché  il comportamento dei genitori a bordo campo non è migliorato con il tempo nel nostro Paese.

Proviamo però a uscire dall’Italia.Raffaella vive in Minnesota, ha avuto tre figli e tutti giocano a calcio. Qui, negli Stati Uniti, vengono programmati training per i genitori che vogliono tifare per i propri figlio. Il motivo è che le urla dagli spalti dei genitori influiscono sui ragazzi, sulla loro concentrazione e anche sulla capacità di prendere decisioni (passare, tirare, stoppare), durante il gioco. Eppure anche lì non mancano genitori tifosi, che sembrano posseduti dallo spirito dei migliori allenatori della Nazionale e che non riescono nemmeno ad aspettare che il sudore del pargolo sia asciutto per sommergerlo di commenti sulle sbagliate strategie di gioco del loro allenatore.

Per prevenire queste situazioni, negli States si punta sulla prevenzione e a Raffaella, come agli altri genitori, viene insegnata la ‘Sideline Etiquette‘, che potremmo tradurre con “regole a bordo campo o in tribuna”. Un’esempio di queste regole, è contenuto nella “lettera ai genitori” che Dave Carton, executive director del Discoveries soccer Club Carolina, ha scritto e pubblicato nel blog Us Youth Soccer (un’organizzazione non profit per l’educazione dei giovani tramite il calcio giovanile).

In primo luogo sarebbe meglio non trasformarsi in allenatori dalla tribuna. Il ragazzino è costretto a vivere un conflitto di interessi, nell’ansia del gioco dovrebbe ascoltare il proprio allenatore e si trova invece a dover sentire il genitore indemoniato solo perché urla più forte. Inutile criticare l’arbitro. Non è quella specifica  ammonizione che farà perdere la partita ma il gioco di tutta la squadra. Inoltre i bambini imparano dall’esempio, quindi si potrebbero sentire legittimati ad assumere gli atteggiamenti dei genitori. Meglio farsi un onesto esame di coscienza e domandarsi se avessimo dieci anni, stessimo correndo in campo, cosa penseremmo di  quel genitore che sta sbraitando?

Dave Carton sottolinea poi come sia fondamentale che il genitore si concentri sui benefici del gioco di squadra su suo figlio e non sul punteggio sul tabellone. “Le sconfitte sono opportunità per migliorare e le vittorie opportunità per essere umili. Qualsiasi sarà la critica, il suo disappunto per la partita, meglio parlare all’allenatore il giorno dopo, può essere che la propria opinione acquisisca sfumature meno accese”.

L’allenatore conclude la lettera proponendo che ognuno trovi due minuti del proprio tempo per guardare questo video e domandarsi: “ma quello sono davvero io”?

Nei casi più ostici, dove i genitori non riescano a cogliere i training più persuasivi, le strategie pratiche usate in Usa e nel Regno Unito sono la distribuzione del cosiddetto ‘Parent pop’: un lecca lecca che tenga occupata la bocca del genitore. Ma in Italia temo che funzionerebbe solo il gusto valeriana.

Un’altra strategia è quello del ‘Keep em busy’: dare dei compiti ad i genitori come tenere la bandierina, contare le ammonizioni, gli errori in ricezione piuttosto che in attacco nel volley… o fare le foto della partita.

Servirebbe una sana autocritica, perché nessuno è immune da certi scivoloni, pur non arrivando agli estremi dell’episodio che ho raccontato all’inizio. Se non insegnamo noi ai ragazzi con l’esempio il rispetto per avversari ed arbitri, non potremo aspettarci che loro lo imparino da sé.