Le montagne, si sa, si scalano un passo alla volta. Si arriva fino a dove l’occhio vede, dandosi un obiettivo minimo e poi si prosegue, forti della strada messa dietro alle spalle fino a quel punto. Lo stesso avviene per molte faccende che con le piccozze e gli scarponi.
Un passo alla volta. È, per esempio, un’espressione che andrebbe bene anche per descrivere il percorso fatto finora dalle donne nei consigli di amministrazione italiani. Il loro numero dal 2012 – anno di entrata in vigore della legge Golfo Mosca – è triplicato, passando da 242 a 751. Alle donne spettano però nella maggior parte dei casi (522) ruoli da indipendenti, e solo nel 15% dei casi (65) da executive. Una proporzione ben diversa da quella dei colleghi uomini che nel 2017 si dividevano in maniera quasi uguale (566 indipendenti e 466 executive) tra i due ruoli.
I dati provengono dalla seconda edizione dell’Osservatorio S.M.A.T. Boards promosso dall’associazione Valore D, in collaborazione con l’Università Luiss Guido Carli, il Politecnico di Milano e Borsa Italiana, e presentato ieri a Milano.
La ricerca, che ha preso in esame un campione di società quotate nel segmento STAR e MTA, ha cercato di analizzare le caratteristiche dei board in chiave di presenza femminile e sulla base della loro capacità di essere S.M.A.R.T.: l’acronimo coniato da valore D per indicare i consigli di amministrazione capaci di essere, contemporaneamente, sostenibili (s), meritocratici (m), agili (a), responsabili (r) e tecnologici (t). Sì perché secondo l’associazione che raccoglie le imprese che promuovono l’equilibrio di genere e una cultura inclusiva, la possibilità di un cda di essere performante riguarda tanto la capacità di includere la diversità di genere, quanto altre diversity come quella generazionale, culturale e di competenze. In un mix capace di portare benefici non solo al lavoro dei cda ma di tutta l’azienda, anche in termini finanziari.
“C’è una crescente evidenza della correlazione tra l’attenzione di un’azienda nel creare un’organizzazione impegnata sulla diversità e sull’inclusione e l’andamento del titolo in Borsa”, ha spiegato Filippo Cambieri, specialist advisory & investment manager di Thomson Reuters che ha analizzato l’andamento a Piazza Affari delle 30 società più impegnate su questi temi, riscontrando una performance superiore al mercato.
E che la presenza di donne nei board faccia bene alle imprese lo dimostrano anche altri dati dell’Osservatorio. Nonostante lo scarso numero di presidenti donne (solo 19, contro il 91,67% dei colleghi uomini che occupano questa posizione), la diversità di genere ha portato con sé un rinnovamento ad ampio spettro dei Consigli. Le donne hanno, infatti contribuito ad abbassare l’età media (51,8 anni contro 68,9 anni dei colleghi), e a portare profili internazionali dentro le stanze dei bottoni. Dall’entrata in vigore della legge che ha introdotto del quote di genere nei Cda, i consiglieri con esperienza all’estero sono quasi raddoppiati (da 18,27% a 35,9%), e una consigliera su tre ha un profilo di questo tipo. In forte aumento (da 12% a 22%) anche i membri con un livello di istruzione post laurea, tra cui spiccano proprio le donne.
Per far sì che questi numeri continuino a crescere, Valore D ha annunciato anche l’avvio di una nuova classe del programma In The Boardroom: il percorso di formazione executive per donne che aspirano a entrare in un consiglio di amministrazione. È possibile candidarsi dall’8 febbraio al 16 marzo 2018 attraverso questo link.