Roberta: “Sono una risorsa dimenticata in un angolo dalla mia azienda”

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Cara Alley Oop,

credo che sia tu il posto giusto per poter raccontare di me, della mia situazione, della situazione di tante persone. Mi permetto quindi di scriverti qui.

Qualche anno fa il termine MOBBING era di moda, era un trend topic; spesso usato e abusato dimenticando il suo reale significato più vicino a concetti come vessazione, umiliazione, o addirittura aggressione fisica o verbale. Nel Bel Paese invece si usava parlare di MOBBING soprattutto nei casi di demansionamento lavorativo o di volontario allontanamento di una risorsa dal suo contesto professionale.

Adesso si legge e si parla molto di discriminazioni nei confronti delle donne – soprattutto delle madri – oppure si parla di molestie di tipo sessuale sul luogo di lavoro, di licenziamenti ingiusti, delle tecnologie che consentono di rendere autonomi interi processi produttivi o servizi rendendo superfluo il ruolo umano nell’organizzazione e gestione del lavoro. Ci sono però delle situazioni che stanno in una zona tra il bianco e il nero, situazioni che sono antipatiche sfumature poco etichettabili. Tra queste c’è un fenomeno di cui non si legge mai: l’amaro far niente.

Si, perché se oggi ti lamenti che sul posto di lavoro non hai niente da fare la risposta, nel 90% dei casi, sarà: “Ma di cosa ti lamenti, almeno tu un lavoro ce l’hai” oppure, ancora peggio “Beh, e ti lamenti pure?”. Per questo vorrei raccontare col cuore in mano quanto è terribile la vita – professionale e non – in questo limbo, in questa terra di nessuno.

Siamo in tanti in questa situazione e la fattispecie è facilmente delineabile. Nella maggior parte dei casi siamo figure di livello “middle/senior”, per dirla alla Linkedin, risorse con più di dieci anni di esperienza alle spalle, fedeli all’azienda e magari un tempo considerate figure “chiave” nell’organizzazione aziendale. Fatichiamo a trovare un nuovo lavoro per via dell’anzianità professionale perché ormai i profili ricercati al massimo richiedono 5 anni di esperienza, non di più.

Gli anni intanto passano, gli amministratori delegati cambiano e con loro anche il management ma tu rimani. I nuovi manager si portano dietro le loro persone di fiducia e tu diventi, inevitabilmente, un nome in un organigramma. Nessuno sa bene di cosa ti occupi, ma sei brava, volenterosa e quindi resisti agli tsunami riorganizzativi, ai licenziamenti. Sei in azienda da tanto tempo, conosci tutti i processi, sei una rubrica vivente, sai come muoverti, lavori da più di un decennio con tutte le aree e i vari dipartimenti ma col tempo la tua professionalità si sfilaccia, si dissolve un po’ come das Nichts, Il Nulla de La Storia Infinita di Michael Ende. A poco serve parlare con le risorse umane perché nel frattempo anche lì le facce sono nuove e tu sei una scheda in un faldone, una scheda non aggiornata.

Arrivi la mattina in ufficio e trovi la casella mail intasata da spam, tolto quello, il nulla. Poche mail di lavoro, la maggior parte poco operative, magari in qualche scambio sei in copia. E leggi, con un po’ di invidia nei confronti dei colleghi che sono su un progetto, che stanno gestendo un contratto che hanno da fare. Al caffè cerchi di carpire qualche informazione, cerchi di vedere se puoi fare qualcosa, butti lì un’idea per far capire che ci sei, che sei sul pezzo o anzi, che VUOI essere sul pezzo ma ad essere coinvolto poi è sempre qualcun altro, qualcuno con un “Ruolo”.

Le giornate non passano, alle sei chiudi tutto con gesti lenti e con una mestizia infinita che non puoi condividere con nessuno perché “beata te che non hai nulla da fare”. Arrivi a casa e ti senti stravolta, stanca. Hai mal di testa e sei di cattivo umore. Lo so, questo sembra in contrasto con il fatto di non aver fatto nulla tutto il giorno ma invece è proprio così. Quando capitano quelle giornate in cui magari c’è un’urgenza o un lavoro grosso il tempo vola, ti senti utile, produttiva, soddisfatta e piena di energia e quando torni a casa ti senti carica ed è una sensazione meravigliosa. Questi alti e bassi (più bassi che alti ahimè) ti spezzano le gambe, ti confondono e azzerano la tua motivazione. Siamo in tanti a far parte del silenzioso popolo di coloro che vorrebbero lavorare, siamo in troppi e nessuno parla di noi. Perché se guadagni 2mila euro al mese per non lavorare devi stare zitto e ringraziare il cielo, è questo che ti dicono. E invece no, dobbiamo parlarne e gli uffici del personale, i manager delle HR dovrebbero sensibilizzarsi e non trascurare questo prezioso popolo di ombre improduttive dimenticate dalle aziende. Basterebbe incontrarci, conoscerci, farci raccontare la nostra storia professionale e non; basterebbe aggiornare quella scheda nel faldone ogni tanto. Il rapporto umano alla fine sarebbe la soluzione più semplice, più scontata ma mail e cloud lo hanno reso obsoleto e faticoso. Se chiedi un colloquio, se cerchi di uscire dal limbo rischi di essere etichettato come un piantagrane.

Se questa lettera potrà servire ad aprire gli occhi anche a una sola persona questa sera, alle sei, quando spegnerò il mio PC potrò andare a casa felice, serena e senza mal di testa perché vorrà dire che qualcosa di buono oggi l’avrò fatto.

Roberta

  • demansionato89 |

    ciao!
    ormai sono passati 6 anni pieni da questo articolo.
    Spero che la tua situazione sia migliorata, che tu abbia trovato un modo di sentirti valorizzata.
    Alla fine empatizzo molto sia con te che con gli altri commenti .
    Ho 35 anni e mai avrei pensato di finire in una situazione come quella che hai descritto, almeno non così “giovane”.
    Lavorare in una azienda grossa crea un distacco praticamente totale con il personale, che non sa neanche chi sei e lo stesso si può dire dei superiori, svariate persone sopra di te, un’organigramma infinito. La mia unica sfiga personalmente è essere finito in mezzo. Sotto di me degli aitanti ragazzi, sempre meno formati, presi sempre più giovani, caricati con belle parole e messi sui progetti più nuovi,
    sopra di me le persone che hanno fatto una sorta di scalata negli anni d’oro dell’azienda. Ora si ritrovano abbastanza in alto da avere sempre qualcosa da fare. E poi ci sono quelli come me.
    Inizialmente caricati di belle parole. 2-3 anni che sembra che tutti ti vogliano, poi vittime di riorganizzazioni aziendali e perdita di clienti, che per l’azienda sono quasi indolori, per i dipendenti vuol dire trovarsi senza un progetto da seguire nell’arco di pochi mesi. A quel punto si rimane parcheggiati, come una macchina con le chiavi inserite che non è di nessuno. Ogni tanto qualcuno ti prende, ti chiede un favore, spesso in maniera umiliante, della serie: visto che non fai nulla, diventa il mio segretario, compila i documenti al posto mio. (il mio lavoro non c’entra nulla con i documenti).
    A quel punto hai solo due scelte. O sopporti all’infinito, che vuol dire probabilmente anche anni, o magari per sempre. Oppure ti sposti, ti agiti, rischiando di finire in situazioni ancora peggiori.
    Non c’è niente di peggio che farti riallocare a 35-40 anni in un team magari più giovane, a cui non serve altra gente perché anche loro soffrono della crisi aziendale.
    così mi sono ritrovato demansionato in un nuovo team.
    Come hai già detto non avere nulla da fare è umiliante, il tempo passa, ti senti inutile, senti di star buttando la tua vita e la tua professionalità, ma quello che è peggio è che magari poi ti buttano su un progetto completamente solo, visto che “vuoi lavorare”. E se va male ne paghi le conseguenze.
    Così dopo un ulteriore anno parcheggiato, mi sono ritrovato in un nuovo team, in un progetto completamente solo. E al primo errore ti becchi pure l’odio del nuovo gruppo.
    Ti ho raccontato la mia esperienza per farti capire che non sei sola (o non siete soli se altri stanno leggendo). Anche io mi sono sentito dire mille volte : ” guadagni, non fai un cavolo e ti lamenti pure!!” e a me sconvolge totalmente . Forse solo chi non subisce certe situazioni può fare commenti del genere.

  • Cinzia |

    Sono in questa azienda da qualche mese. Passo le mie giornate a fissare il nulla. nemmeno un collega si ferma a parlare. Mi sento triste e abbattuta. Per me lavorare significa anche distrarre la mente dalla cruda malattia che sto combattendo. Torno a casa stanca, nervosa e demotivata

  • Sara |

    Sono passata da un azienda dove stavo benissimo (in sostituzione maternità) e dove lavoravo tantissimo, ma mi sentivo felice e soddisfatta, ad un azienda (contratto a tempo indeterminato), dove chi dovrebbe farmi formazione non mi fila di pezza, tutti hanno troppo da fare ed io cerco di barcamenarmi da sola in qualcosa da fare.. é frustrante.. sono stanca e demotivata e sempre di cattivo umore purtroppo..

  • Antonella Fasano |

    Sono passata dal lavorare come una pazza, dove il tempo non bastava mai.
    A non avere nulla da fare…Ma stiamo scherzando?
    La mia professionalità è finita in un cassetto.

  • Djana |

    Grazie mi sento molto sola e incompresa

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