Per uscire dalla violenza la chiave è l’indipendenza economica

mamma-di-due

Anna ha 37 anni e due bambine. Per sette anni ha subito violenza da parte del marito. Un lunedì il coraggio e la voglia di ricominciare a vivere hanno avuto la meglio sulla paura e così Anna se ne è andata di casa con le figlie e due sacchi della spazzatura pieni di giochi.

Anche il marito di Milena era violento. Ha iniziato a bere, a picchiarla, a giocare d’azzardo e a tradirla. Lei ha sopportato tutto questo fino a quando non l’ha picchiata più forte e, soprattutto, davanti al loro bambino. Anna e Milena – i nomi sono di fantasia – hanno deciso di mettere fine ai maltrattamenti e si sono rivolte ad un centro antiviolenza, cav. Dopo avere denunciato il marito, ora Milena lavora in un B&B che le permette di mantenere sé e suo figlio. Anche Anna oggi ha trovato un lavoro come addetta alle pulizie e vive assieme alle sue due figlie. Per entrambe l’indipendenza economica è stata fondamentale per girare pagina. Ed è proprio questa autonomia che, se manca, rende più difficile uscire da situazioni di violenza domestica. Avere un buon livello d’istruzione e un lavoro non basta. Lo rivela il rapporto “Una via d’uscita dalla violenza”, che ActionAid ha lanciato in vista della Giornata Mondiale contro la Violenza sulle Donne e che viene presentato oggi, 30 novembre, al Parlamento Europeo a Bruxelles.

“L’82,5% delle donne che si rivolge ai cav ha un basso livello di autonomia economica: non è a conoscenza del reddito familiare; molte dichiarano di non poter gestire le proprie spese oppure queste vengono controllate dal partner; spesso non posseggono la casa in cui vivono o sono impossibilitate a trovare un impiego” spiega Rossana Scaricabarozzi, responsabile del programma per i diritti delle donne di ActionAid Italia. Lo studio è realizzato nel quadro del progetto europeo “WE GO!” (acronimo di Women Economic-independence & Growth Opportunity) un lavoro biennale cofinanziato dall’Unione europea che prevede sia una raccolta dati che delinea il profilo socio-economico delle donne che si rivolgono ai cav sia una lista di raccomandazioni alle istituzioni per supportare l’empowerment economico delle donne che hanno subito violenza.

L’analisi dei dati aiuta non solo a comprendere meglio il fenomeno ma soprattutto a capire quali strumenti e politiche sarebbe più opportuno mettere in campo per rispondere ai bisogni di chi vuole vuole uscire da situazioni di maltrattamento. Per questo studio sono state coinvolte 552 donne provenienti da quattro Paesi europei tra cui l’Italia. Dal loro profilo emerge che la violenza è trasversale. Come dice la responsabile: “i dati smentiscono lo stereotipo che vorrebbe siano solo le donne che vivono in contesti di vulnerabilità e povertà ad esserne soggette”.

wego

La maggioranza delle donne intervistate ha un buon livello d’istruzione: il 38,8% ha un diploma di scuola secondaria superiore mentre il 22,7% ha fatto studi universitari. Il 62% ha tra i 30 e i 49 anni e nella maggior parte dei casi l’autore dei maltrattamenti è il marito/partner (41,7%) o l’ex-marito/ex-compagno (48,7%). Questo fa sì che le violenze durino più a lungo: tra i cinque e i dieci anni. Le motivazioni che portano a trascinare nel tempo rapporti del genere sono diverse e si legano tra loro: “Un deterrente sono i figli. Ma anche l’amore per il partner; le sue promesse; la speranza che la situazione cambi oltre al senso di colpa per la violenza subita e la lesione dell’autostima. L’indipendenza economica è poi uno dei motivi per cui le donne anche se si sottraggono a relazioni violente poi tornano. È perché non hanno una alternativa” spiega l’esperta. Uscire dall’isolamento e avere un lavoro per le donne che hanno subito violenza è essenziale e le istituzioni possono sostenere il percorso verso l’indipendenza economica “attraverso servizi pubblici come un reddito minimo garantito, soluzioni abitative di medio lungo periodo o servizi di cura per l’infanzia che liberino del tempo alle donne e che può essere investito nel lavoro o nella propria formazione”.

Al report seguono delle raccomandazioni per le istituzioni a tutti i livelli. “A livello europeo chiediamo che l’Unione ratifichi la Convenzione di Istanbul per prevenire e combattere la violenza domestica. Per ora il documento è stato firmato ma la ratifica potrebbe essere un grande passo in avanti. Inoltre è importante assicurare fondi anche ad interventi di lungo periodo oltre che a progetti volti alla prevenzione primaria e di supporto immediato. Questa raccomandazione può essere estesa anche a livello di governo nazionale. Mentre a livello locale è emersa l’importanza delle reti di sostegno intorno ai cav: imprese, fondazioni e altri attori del settore pubblico e privato che possano costruire partnership con i centri antiviolenza” illustra Scaricabarozzi.

Alle donne che subiscono violenza Milena dice: “ho impiegato del tempo prima di reagire perché mi chiedevo: dove vado? Senza lavoro, con un bambino, senza soldi. Invece, quando un marito ti fa quelle cose devi lasciarlo subito perché loro, gli uomini violenti, non cambiano mai”.