Innovare, cercare nuove strade, riflettere sulla didattica e le pratiche d’insegnamento appaiono come compiti affascinanti, eppure difficoltosi. Il ritardo storico, accumulato nella preparazione universitaria degli insegnanti, ha fatto sì d’avere docenti eruditi nei diversi ambiti disciplinari, con un fardello, però, di difficoltà quando si tratta di approcci innovativi. E’ importante creare condizioni facilitanti e orientate a formare, docente per docente, le conoscenze necessarie per trasferire in classe nuove attività d’insegnamento approfondite. Un esempio di innovazione in ambito scolastico è la Didattica Attiva e Apprendimento Cooperativo, molto diffuso negli Stati Uniti, nel nord Europa e in Israele, da alcuni anni sperimentato anche in Italia.
Si tratta di una metodologia di insegnamento/apprendimento che limita l’utilizzo della lezione classica e trasmissiva a favore di attività didattiche che responsabilizzano gli studenti nel compito di apprendere. Il metodo utilizza sia il concetto d’interdipendenza positiva sia quello di responsabilità individuale. L’interdipendenza positiva esiste quando per raggiungere uno scopo o svolgere un compito non è possibile agire da soli: gli altri sono necessari e indispensabili ed è il fattore più rilevante di una didattica cooperativa. Questa si realizza quando gli allievi di un piccolo gruppo comprendono che il raggiungimento di uno scopo richiede cooperazione tra loro ed esige impegno da parte di tutti. La responsabilità individuale esiste quando gli studenti sono responsabili del proprio apprendimento e dell’apprendimento degli altri membri del gruppo (per esempio, quando ciascun membro di un gruppo ha compiti e ruoli chiari da svolgere). C’è bisogno di persone in grado di lavorare in situazioni di interdipendenza positiva, perché solo una situazione di cooperazione favorisce la soluzione di quei problemi complessi che, oggi, singoli e aziende devono affrontare.
Sofia Conforti, docente di scuola primaria da venticinque anni, racconta come applica la Didattica attiva e l’Apprendimento Cooperativo in classe: “La scuola è stata una grande passione, prima che una scelta lavorativa e professionale – dice entusiasta – la mia didattica è più facile a farsi che ad essere spiegata. Essenzialmente il mio percorso educativo si adatta alle esigenze e ai bisogni della classe, si forma insieme ai bambini”.
“Il primo giorno di scuola – spiega Conforti – parto da sei punti: l’entusiasmo, la gradualità, la globalità (ogni tematica deve abbracciare più discipline), la qualità (poco e buono è meglio della corsa a far tanto, per trasmettere quante più competenze possibili), l’autonomia (l’alunno deve acquisire un personale metodo di approccio alle materie), lavoro”. La maestra Sofia ha le idee chiare: “La mia esperienza come insegnante di scuola primaria mi ha portato a basare la mia didattica sull’errore. Sì, proprio così. Dall’errore, dalle incertezze, sorgono le domande, nasce la curiosità di comprendere meglio e insieme ci si impegna per trovare la soluzione giusta. Credo moltissimo nel lavoro cooperativo, i miei alunni svolgono i compiti assegnati in gruppi di studio, si scambiano i quaderni, applicando l’autocorrezione, si responsabilizzano e riescono, infine, a gestire in maniera autonoma, il loro percorso formativo. I gruppi di lavoro sono aperti, possono confrontarsi, correggersi, dialogare e trovare soluzioni condivise”.
Si parla molto, in questi ultimi anni, dell’utilità dei compiti a casa e ci sono sperimentazioni in atto in diverse parti d’Italia per eliminarli. “Cosa penso dei compiti? Innanzitutto non utilizzo libri di testo – racconta la maestra Sonia – cerco di assegnare il meno possibile a casa. Non mi piace delegare le famiglie, che troppo spesso, intervengono, seppur in buona fede, sui compiti dei figli. In classe lavoriamo tantissimo, però. E partiamo sempre dal problema reale, dal vissuto: un problema di matematica può essere raccontato e sperimentato in modo concreto, abbracciando anche altre materie. L’interdisciplinarietà è fondamentale: abitua i ragazzi al ragionamento e al problem solving”. Ma cosa succede in classe? “Può capitare – spiega – che entri in classe fingendo di aver bisogno di aiuto per organizzare un viaggio. In questo modo i ragazzi analizzano prezzi, fanno statistiche, confronti, studiano i luoghi, la storia, per poi propormi, ad esempio, un’idea di viaggio culturalmente interessante con un costo contenuto. La scuola deve essere vita, deve partire dalla realtà, in modo che gli studenti sappiano dove e come indirizzare le proprie energie per risolvere problemi”. Un’insegnante particolare, quindi. Le piace definirsi “una tutor, più che una docente. Sono attrice non protagonista – dice – non fornisco soluzioni ma domande, perché il mio compito è risvegliare la voglia di conoscere”. E conclude: “La didattica è come un puzzle: niente è lasciato a caso, ogni pezzettino deve incastrarsi all’altro. Per ottenere ciò occorre preparazione, progettualità e obiettivi”.
Sofia Conforti è l’esempio che la scuola è vita, non un luogo isolato dalla realtà, ma immerso completamente in essa; la didattica deve essere dinamica e attiva, in modo che i bambini possano sentirsi protagonisti del proprio percorso formativo ed essere pronti ad affrontare le sfide che troveranno sulla loro strada.
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