Agnese Manni: “E’ difficile fare l’editore al Sud”

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Fare l’editore oggi è una vocazione, anche se non è certamente cosa facile, poiché si parla di un settore perennemente in affanno. Farlo al Sud, ed in particolare in Puglia, regione che si posiziona sempre tra gli ultimi posti per numero di lettori, secondo le  recenti classifiche Istat, richiede indubbiamente sforzi  significativi. Perché le difficoltà  sono tante, a cominciare dall’accesso al credito, in particolare per le case editrici più piccole, per finire alla gestione del magazzino. Ne abbiamo parlato con Agnese Manni, direttore editoriale di Manni Editore, casa editrice fondata a Lecce a metà degli anni Ottanta da suo padre Piero e dalla madre Anna Grazia D’Oria, a partire da una rivista letteraria “L’immaginazione” che ancora oggi si occupa di ricerca letteraria. Dopo la laurea a Bologna, inizia un lungo periodo di stage presso un’importante casa editrice per capire il funzionamento di un’azienda di questo genere dal suo interno.

«La parte più bella del lavoro editoriale è quella dell’invenzione dei libri – dichiara – è quando in riunione editoriale pensi che sia il caso di percorrere un filone, di affrontare un tema mai trattato, e pensi quale possa essere la voce migliore per raccontare una storia. Si valutano i contenuti, ma anche la presenza sul mercato. In una medio-piccola casa editrice indipendente deve esserci sempre un equilibrio tra l’aspetto editoriale e quello commerciale».

Com’è fare l’editore al Sud?

«E’ certamente difficile stare qui. Per me è necessario spostarmi almeno tre volte al mese per contatti e per le relazioni che il mio lavoro di direttore editoriale richiede, ma soprattutto per avere un confronto con il resto d’Italia».

Secondo lei, le aziende sono penalizzate dal punto di vista geografico per la lontananza dai grandi centri?

«Non solo, ma anche per la mancanza di infrastrutture, sia pubbliche che private. Per quanto riguarda i servizi privati, c’è una scarsa professionalizzazione nel settore specifico. Io faccio sempre l’esempio del magazzino editoriale che presenta delle specificità  rispetto ad un magazzino di altre aziende. Lo stoccaggio dei libri è diverso da quello dei calzini, tanto per dire. Il magazzino editoriale, infatti, deve fare anche l’ufficio stampa, deve mandare i libri al distributore. Non si tratta di attività di notevole complessità, sia chiaro, ma con delle specificità. E che io sappia nel Salento, ma in generale, in tutta la Puglia di magazzini editoriali non ve ne sono. Se io volessi organizzare il magazzino della mia casa editrice, che ha trentatré anni e una cospicua movimentazione quotidiana, non saprei a chi affidarlo. Per questo abbiamo scelto di averlo internamente, mentre la maggior parte delle case editrici delle nostre dimensioni, qui in Puglia, hanno scelto di esternalizzarlo, utilizzando dei service».

La Puglia si posiziona sempre agli ultimi posti nelle classifiche per numero di lettori. Di chi sono le responsabilità ?

«Bella domanda e la risposta è complessa. Certamente possiamo partire dicendo che mancano investimenti e progetti da parte delle pubbliche amministrazioni per la promozione della lettura. Ci sono stati interventi in passato che io definisco da “cassa del Mezzogiorno” dove si compravano cento copie da ogni editore, si riempivano le biblioteche e nulla più. Questo costume è terminato, per fortuna, ma l’editoria non è stata al centro di una progettualità  più ampia come è avvenuto nella nostra regione per la musica o per il cinema che, mi rendo conto, possono offrire un ritorno d’immagine alla regione e al territorio. C’è, al contempo, anche una responsabilità  dei privati, nonostante le eccellenze e il numero di scrittori che la Puglia può vantare ultimamente».

Qual è il rapporto con le banche per una casa editrice?

«Si tratta di un tema molto sensibile, questo. Il mondo editoriale è caratterizzato da sistemi di pagamento molto lunghi, in alcuni casi anche a 240 giorni e oltre, e non coincidono con le tempistiche dei fornitori, degli adempimenti e delle scadenze. Per questo, le case editrici avrebbero bisogno di un sistema del credito differente da quello delle altre aziende; penso in particolare a quelle nate da poco, che prima di mettersi in pari hanno bisogno di fare numerosi e cospicui versamenti in anticipo e se non ci sono capitali solidi alle spalle non è facile, dato anche il trend delle vendite degli ultimi anni».

Un’educazione milanese” di Alberto Rollo è entrato nella cinquina del Premio Strega 2017. E’ possibile quantificare un traguardo del genere anche in termini di ritorno economico, oltre che naturalmente di immagine?

«Certamente e lo si fa a partire dalle vendite che hanno subito un’immediata impennata, sin dal passaggio dalla dozzina del Premio Strega alla cinquina finale. In generale, considerando che una tiratura media è all’incirca al di sotto delle mille copie, è importante avere, almeno due o tre volte all’anno, dei picchi di vendita per avere ossigeno. E il guadagno che si ottiene da un titolo che piace e vende molto, anche se tengo a precisare che lo Strega fa storia a sé, è normale che venga reinvestito anche in progetti minori, come fanno tutte le aziende sane».

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La redazione Manni

  • Pietro Albonetti |

    Agnese , qualche decina di anni fa, dialogò con me per un esame di storia e, per caso, anche di suo padre che era editore nel Salento. Non ho dimenticato e ora vorrei abbracciarla Pietro Albonetti

  • Diego Guida |

    Essere editore oggi è davvero una “missione” , una “missione”, però, che contribuisce a costruire una nuova società più capace di spirito critico e non solo per una migliore crescita culturale, anche e soprattutto sociale. I temi lanciati dalla collega Manni sono reali e per questo anche la Associazione Italiana Editori deve contribuire a sollecitare le istituzioni ad avviare processi per una impresa culturale più moderna e meno succube delle logiche delle banche e della finanza.

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