Mia madre è un’insegnante Montessori e io ho pensato per anni che essere maestra non dovesse essere una professione così esaltante. Le maestre non studiavano mica greco come quelli del liceo classico, non erano andate all’Università, avevano a che fare tutto il tempo con mocciosi con cui allacciavano stringhe su cornici, ricalcavano letterine smerigliate e giocavano con loro a fare finta di servire in tavola.
E chi aveva capito che la formazione di quei primi anni di vita delle generazioni tra gli anni ‘70 e ‘80 era delegata a questa classe insegnante, donne appassionate del loro lavoro, che avevano addirittura conosciuto Maria Montessori, nella scuola di formazione a Perugia? Ci ho messo un po’ a capirlo, da primipara quarantenne di un bambino con esigenze speciali.
Oggi guardo con apprezzamento a una certa classe insegnante, quella per cui non è necessario sbattere in faccia parole come sviluppo della motricità fine, propriocezione, empowerment del bambino, per mettere in pratica l’educazione inclusiva garantita dalla scuola italiana. Grazie a Don Milani prima e alla Legge Basaglia poi, è dagli anni ’70 che in Italia hanno cominciato a sparire le scuole speciali e oggi tutte le scuole statali e parificate hanno l’obbligo di accettare l’iscrizione degli alunni con disabilità, anche se in situazione di gravità. Ma se è stato riconosciuto ormai da anni il ruolo fondamentale di istruzione e formazione per la crescita sostenibile e lo sviluppo economico di un Paese, come mai di ‘maestre famose’ non se ne parla troppo?
Non sarà che basti lavorare sul potenziale dei ragazzi e non sull’indottrinamento per ambire ad una società più giusta e inclusiva?
Eppure qualche ‘role model’ nell’educazione inclusiva lo possiamo vantare proprio in Italia: la storia di Maria Montessori parla di disabilità; vuoi perché aveva studiato medicina, o perché aveva cominciato a sperimentare le sue teorie proprio con i bambini autistici dell’epoca, oggi attribuiamo a lei l’educazione muscolare, lo sviluppo di quelle capacità motorie che aveva osservato essere carenti nei bambini con problemi neurologici. Ed è così che la pedagogia montessoriana ha dato vita ad un modello educativo praticato in 20.000 scuole in tutto il mondo: se Maria fosse a capo di una start-up, oggi avrebbe già trovato numerosi investitori pronti a scommettere su di lei.
Mirella Casale, insegnante e attivista, ai più nota grazie al film ‘La classe degli asini’: Mirella si che è stata una vera ‘changemaker’ dell’epoca: invece di parcheggiare in una scuola speciale sua figlia, vittima di una grave encefalite virale, è riuscita negli anni a promuovere la figura dell’insegnante di sostegno, poi sancita dalla legge 517 del 1977.
Insomma, tutto torna: ode alla maestra Liana, alla mamma, perchè si può cambiare il mondo anche senza aver studiato il greco e l’astronomia, ma dedicandosi a ‘trarre fuori’ il meglio dalle nuove generazioni.