Il super-macho di Kadryrov e le fobie sotterranee: quanto fa riflettere il caso ceceno?

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“Tu con gli occhi tristi non scoraggiarti, ho capito che è difficile prendere coraggio, in un mondo pieno di gente puoi perdere tutto di vista e l’oscurità dentro te può farti sentire così piccolo. Ma io vedo i tuoi colori veri che risplendono dentro te, vedo i tuoi colori veri ed è per questo che ti amo, quindi non avere paura di mostrarli. I tuoi colori veri, I colori veri sono belli come un arcobaleno”. Era il settembre del 1986 quando Cindy Lauper lanciava nelle hit di tutto il mondo True Colors, il famosissimo singolo che diventerà una degli inni più amati dalla comunità LGBT*, una canzone simbolo che sprona a non aver paura di mostrare ciò che veramente si è.

Ed è proprio il testo di True Colors che ha cominciato a ronzarmi in testa leggendo degli orrori che hanno colpito la comunità gay in Cecenia. L’orrore dei cento uomini rinchiusi, torturati e uccisi nelle prigioni del Paese filo-russo solo perché sospettati di essere gay. Un Paese che costringe i colori scintillanti di Cindy Lauper a rimanere rinchiusi nel profondo anziché essere svelati a tutti nella loro bellezza, pena vessazioni corporali e psicologiche, con tortura annessa.

“Ci hanno trattato come animali” ha dichiarato in un’intervista rilasciata a Humans Rights Watch uno dei detenuti: “Pestaggi, elettroshock… ho potuto sopportarli… Sono stato forte. Ma l’umiliazione è stata insostenibile. La polizia ci sputava in faccia, ci chiamava depravati, con nomi offensivi, ci forzava a metterci in pose umilianti… quando finalmente mi hanno rilasciato sono stato vicino a impiccarmi. Non posso vivere con questo peso, semplicemente non posso”. Quello che mi ha più colpito dalle testimonianze raccolte è stato il comportamento dei familiari di questi uomini. Madri, padri, fratelli che li hanno rifiutati, li hanno consegnati alle forze dell’ordine perché fossero torturati o addirittura uccisi. Il luogo dove amore e comprensione dovrebbero essere leggi universali è diventato luogo di inquisizione e di esecuzione. E mentre nel corso di un meeting con Vladimir Putin, il presidente ceceno, Ramzan Kadyrov, riferendosi alla vicenda, ha parlato di reportage provocatori su presunti eventi e detenzioni, circola da un paio di giorni la notizia – non confermata – secondo cui il vero piano sarebbe quello di sterminare la comunità LGBT* in concomitanza con l’inizio del Ramadan. Una rivelazione scioccante che avrebbe riferito in parlamento il viceministro britannico degli esteri, Sir Alan Duncan.

Di fronte a questo orrore, i governi di tutto il mondo si sono detti indignati e le associazioni umanitarie si sono attivate con appelli e raccolte firme, cortei e veglie si sono susseguite nei giorni scorsi. Io, devo confessare, mi sono fermato. Sono rimasto quasi congelato. Il pensiero di quegli uomini imprigionati da un giorno all’altro, rapiti dalle istituzioni che dovrebbero garantirne sicurezza e libertà, uomini costretti a fuggire, ad andare in esilio per salvarsi è stato talmente forte che dentro di me si è rotto qualcosa. Sono riaffiorate paure che da tempo avevo accantonato e che mi hanno investito con tutta la loro forza e prepotenza.

Quando ti accorgi che ciò che ti salva è soltanto essere nato in un posto anziché in un altro ti senti terribilmente inerme e una domanda sorge spontanea: perchè? Ramzan Kadyrov, il leader ceceno che ha permesso (e negato davanti ai mass media) questa barbarie, sintetizza in sé le ragioni dell’odio: religione, cultura, politica, potere. In carica dal 2007 ha retto un governo filo-russo e tenuto a bada i separatisti, ha caldeggiato una stretta interpretazione del Corano e un codice di condotta tradizionale chiamato adat, ha stabilito regole di comportamento di estrema umiltà e riserbo per le donne e consentito, di fatto, la poligamia.

Essere gay in un Paese che ruota attorno alla figura di uomo super-macho dominante non lascia certo molto spazio all’inclusione e, a quanto pare, nemmeno alla tolleranza. E allora il gioco è semplice, perché a essere perseguitati per ciò che si è, che sia l’orientamento sessuale, l’etnia o il colore della pelle, è qualcosa a cui non puoi sfuggire. E ti fa terra bruciata intorno, sei solo. Perché la tua vicinanza è contagiosa, ti costringono a diventare delatore perché non basta la tua sofferenza, vogliono anche quella di altri. Vogliono che si abbia paura, paura di mostrare i colori di Cindy Lauper. Così si potrà dire che non esistono.

Si può solo avere fortuna e vivere altrove. Vivere in un Paese in cui ci si può sentire liberi di essere sé stessi, magari non proprio con gli stessi diritti, ma liberi di esprimersi e di vivere a testa alta. Un Paese diverso, fatto da persone che la pensano diversamente. A volte però mi trovo a pensare: quanto diversamente? Assieme a quelle paure lontane, sono riaffiorati dubbi. Sento dire dagli amici, anche i più cari, che la questione dell’orientamento sessuale è ormai superata in Italia, l’opinione pubblica è schierata a favore dell’inclusione e della lotta a qualsiasi forma di discriminazione. A Milano, ad esempio, non desta di certo stupore che due ragazzi, maschi, camminino mano nella mano. A Milano… eppure non più di due giorni fa, a cena con la mia migliore amica in Brera (quindi nel super-friendly quadrilatero della moda), dei ragazzi hanno urlato, senza alcun motivo, a un cameriere che ci stava servendo “Non vedi che sei frocio… frocio!” E si sono allontanati ridendo.

Se poi ci si sposta al di fuori delle grandi città il gap tra accettazione e tolleranza diventa certamente più ampio. Se dovessi decidere di camminare mano nella mano con un ragazzo nel mio paese natio, come minimo, ci penserei. Dovrei essere pronto almeno a sostenere un buon numero di occhiate torve, per non parlare dei commenti alle mie spalle o, peggio ancora, a quelle dei miei genitori. “Dario ricordati che non sei a Milano” mi sono sentito dire più di una volta da persone che mi vogliono bene. A volte me lo sono detto anche io, proprio io che, come direbbero i miei amici per prendermi in giro, ho “capitan rainbow” stampato in fronte da tanto rompo le scatole sul tema. In provincia, tra le valli alpine o in un paesino qualsiasi di una qualsiasi regione del Centro o Sud Italia non si vive come nelle moderne città. L’intolleranza, l’odio o semplicemente il fastidio per il diverso, l’istinto di prevaricazione che hanno radici profonde nel substrato culturale, sociale e religioso in cui siamo cresciuti, si fanno spazio con più facilità nella vita di tutti i giorni, a volte in maniera discreta, altre volte in m odo più esplicito.

Per questo leggendo di quelle torture mi sono bloccato, non perché pensi che ciò che è accaduto in Cecenia possa accadere anche in Italia oggi, ci mancherebbe, sono orgoglioso dei cambiamenti che questo Paese ha saputo elaborare negli ultimi anni. Mi trovo, tuttavia a pensare che quegli istinti, quelle paure ataviche che portano a non accetare la diversità, operino ancora, forse in maniera sotterranea, meno visibile e a volte anche inconscia, ma pronte a riemergere se un Kadyrov qualsiasi, desse loro un’occasione. Perché io non ho nulla contro i gay ma…

Allora penso sia fondamentale continuare a tenere desta l’attenzione, per riconoscere e decodificare quelle paure così da poterle neutralizzare. Abbiamo un’arma in più, abbiamo l’entusiasmo di chi sa che i traguardi si possono raggiungere.

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