Da anni la Danimarca viene considerata la nazione più felice al mondo. Sono molte le classifiche che ha scalato. Nel 2016 quella del Sustainable Development Solution Network, agenzia dell’Onu. Certo ci sono alcuni motivi oggettivi di tanto successo e, citandone solo alcuni, non possiamo dimenticare che lassù esiste il reddito minimo garantito di oltre 1.300 euro, che il tasso di disoccupazione è intorno al 6% e che il congedo di paternità è di due settimane. Eppure la felicità dei danesi pare non essere solo figlia del welfare di matrice socialdemocratica, ma di qualcosa di più profondo e comunitario. Tutto sembra ruotare intorno alla hygge, che è uno stile di vita, un modello educativo e una radice culturale.
Molti negli ultimi mesi hanno cercato di penetrare nel segreto della felicità danese. Un libro è diventato un caso internazionale, the Danish way of parenting, e molti altri hanno esplorato negli aspetti formali la via danese alla felicità, tanto che la coziness – traduzione un po’ brusca di hygge – sta diventando una moda, dalle vacanze all’interior design. Il pilastro della felicità danese, del benessere che si tramanda di generazione in generazione, pare essere l’empatia, insegnata anche a scuola.
L’empatia, infatti, è un collante sociale, soprattutto se collegato alla hygge. Questa hygge è un concetto sostanzialmente intraducibile, perché non è intimità, non è socialità, ma è “quel calore che provi da bambino e poi riconosci come casa o famiglia“. Se la hygge è uno stile di vita felice, come la cucina mediterranea è un regime alimentare sano, cosa possiamo imparare, noi che siamo così tanto distanti da quella cultura, così eccessivamente spontan? Forse solo un paio di cose, alla portata di tutti, la sincerità e il calore.
La sincerità è un tratto caratteristico della cultura danese, o meglio della cultura per l’infanzia danese. I sentimenti vengono rappresentati tutti, nella loro nuda brutalità, perché riconoscerli da subito, i belli e i brutti, viene considerato un passo verso l’equilibrio emotivo. In fondo Hans Christian Andersen ci ha piazzato fiabe dolorose e crudeli, imbarazzanti per un genitore mediterraneo, ma forse efficaci perché autentiche e rudemente sincere. Il calore, invece, si manifesta come razionale ricerca di intimità e socialità, attraverso la sospensione di ogni conflitto, la concentrazione sugli affetti, chiudendo il mondo e le sue distrazioni fuori da questo momento domestico e rinfrancante che è la hygge.
Bello, bello davvero. Fantastici questi danesi, invidio le condizioni oggettive e soggettive della loro felicità. Incontriamoci tutti a Christiania, autentici e misurati. Chissà chi di noi, genitori meridiani, ce la potrà fare.