La famosa Pietà Rondanini, quell’abbraccio di una madre al figlio morente, può ancora stupirci? Se inforchiamo gli occhiali che ci offre Mario Cresci e visitiamo la sua mostra fotografica al Castello Sforzesco, in Aliam Figuram Mutare (fino al 25 settembre 2016), non possiamo che rispondere sì !
La mostra è allestita nell’Ospedale Spagnolo, nel corpo che precede quello dove si trova la Rondanini, l’incompiuto capolavoro del vecchio Michelangelo, scolpito nel 1552-53 e continuamente lavorato dal 1555 alla morte (1564).
Cresci – fotografo, artista, grafico, progettista, critico – ci accoglie con un filmato, nel quale una ricostruzione in 3D della Pietà viene osservata da punti di vista resi possibili solo dal video, permettendoci così di immergerci nella scultura.
Nella I sala un gruppo di stampe fotografiche in bianco e nero riprende la Pietà come in una messa in scena teatrale, mettendo in evidenza alcuni particolari con dei fasci luminosi: la luce liquida e variabile scioglie la compattezza della scultura e ci costringe a guardarla come per la prima volta. Balzano agli occhi lo scarto nervoso del ginocchio di Gesù, i sentimenti appena accennati sul volto di Maria, le geometrie inseguite dall’artista, facendoci assaporare il famoso non finito di Michelangelo.
Ma a Cresci non interessa celebrare, al contrario, nella II sala sottopone l’opera a una specie di reazione chimica, sovrapponendo graficamente a 8 grandi stampe della Pietà – inquadrature ravvicinate, ognuna da diversa angolazione – le lettere in formato capitale che compongono la parola latina AUXILIUM (aiuto). Le pure forme grafiche reagiscono a contatto con la Rondanini e dialogano con i tagli delle foto, le linee e i volumi della scultura, dandoci un sussulto emotivo. Maria di spalle, racchiusa nella curva della U, viene risucchiata in avanti: il peso del dolore non è più un’espressione retorica, è lì, davanti ai nostri occhi; così la madre vista di lato, inscritta nella L, nasconde nel suo morbido volume il figlio – di cui intuiamo solo il profilo del viso e una gamba – e in questo gesto noi sentiamo risuonare protezione e accoglimento.
Cresci sembra interrogarci sul dolore e la compassione e ci dà una sua risposta nell’ultima sala, mettendoci davanti a foto a colori di figure umane a grandezza naturale, nascoste da coperte termiche color argento, scoperti i soli piedi nudi. Questi invisibili sono i migranti, persone diventate ormai emergenza logistica, questione sociale e costo pubblico. Con questo corto circuito comunicativo finale, dopo avere sciolto il marmo in riflessi di luce, Cresci ricostruisce davanti ai nostri occhi le nostre sculture viventi della pietà.