Quanto sei discriminato sul lavoro?

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Prof, lei ha detto che la discriminazione, quando c’è, fa danni. Ma se si è sicuri di non discriminare, la discriminazione che non c’è non può fare danni, vero?

 

No, purtroppo è falso … La discriminazione percepita, anche se non è reale, produce gli stessi danni della discriminazione reale. Basta la percezione della discriminazione per attivare la “minaccia dello stereotipo”, e la profezia si avvera, producendo le stesse conseguenze negative della discriminazione reale (minore produttività). E’ necessario mettere in atto provvedimenti che riducano la percezione della discriminazione proprio quando quest’ultima NON è reale, poiché la legge non può nulla contro di essa.

 

Le conseguenze della “minaccia” rappresentata dallo stereotipo sono emerse nel corso di un esperimento, condotto nel 1995 da Steele e Aronson, due psicologi dell’Università di Stanford, per studiare gli effetti dello stereotipo per il quale i neri sarebbero geneticamente meno intelligenti dei bianchi. L’esperimento ha sottoposto studenti bianchi e neri ad un test condotto secondo una doppia modalità: in un caso fu detto loro che la prova serviva a valutare le capacità intellettive (ritenute dallo stereotipo minori per i neri), mentre nel secondo caso fu detto loro il contrario, cioè che l’obiettivo del test non era quello di valutare la loro dotazione di intelligenza. I risultati hanno mostrato che nel primo caso la minaccia dello stereotipo era sufficiente per condizionare negativamente la prestazione dei neri, generando una evidente conferma dello stereotipo stesso, mentre nel secondo caso la minaccia dello stereotipo non si attivava, e pertanto non si registravano differenze significative tra le performance dei due gruppi.

La percezione di una discriminazione (che può anche non essere reale) è un fenomeno tutt’altro che marginale nel nostro Paese. Una recente indagine condotta dalla Commissione europea proprio per rilevare la percezione della discriminazione mostra che in Italia le forme più diffuse sono: etnia (73%); orientamento sessuale (73%); transessualità (71%); handicap (52%); religione (47%); genere (41%); età maggiore di 55 anni (41%); età minore di 30 anni (22%).

La rilevanza sociale e aziendale di questo fenomeno sta nel fatto che, essendo così pervasivo, può causare un danno anche maggiore di quello prodotto dalla discriminazione reale.

La discriminazione è la disparità di trattamento a parità di ogni altra condizione, ma le informazioni che rendono evidenti le differenze che portano ad un differente trattamento (cioè che lo giustificano) non sono note a tutti gli interessati, ed è proprio questa carenza informativa che può portare alla percezione di una discriminazione che non c’è, innescando il perverso meccanismo delle profezie auto-confermantisi. Ad esempio, uno scarso feed-back dopo una mancata assunzione o promozione o assegnazione di un benefit può portare gli esclusi a ritenere di essere stati discriminati, e questa convinzione può ridurre la motivazione e l’impegno lavorativo, riducendo di conseguenza anche la loro produttività.

È importante dunque ricercare, applicare, verificare, comunicare e certificare l’applicazione di metodi di selezione e di sistemi retributivi non discriminatori, al fine di ridurre la percezione di una disparità di trattamento che non esiste nella realtà. Una gestione più trasparente (open book management) può risultare a breve più onerosa, ma i risultati mostrano che alla fine i benefici si rivelano maggiori dei costi.

L’indagine della Commissione europea riporta inoltre che il 69% degli intervistati è favorevole all’introduzione di nuove misure per migliorare il livello di tutela dei gruppi a rischio di discriminazione. In particolare, l’80% è favorevole al monitoraggio delle procedure di reclutamento per garantire la parità di trattamento nelle assunzioni, il 75% è favorevole alle iniziative di formazione in tema di diversità sia per i dipendenti sia per i datori di lavoro, e il 74% ritiene utile il monitoraggio dei dipendenti per garantire la rappresentanza di tutti i gruppi a rischio di discriminazione.

Prof, ma che stress … come si fa a rispettare ogni volta le quote di ciascun gruppo a rischio di discriminazione?

Ma no, non ogni volta, solo nei grandi numeri … pensate, ad esempio, alle nascite: sappiamo che in media nel mondo vengono concepiti un ugual numero di maschi e di femmine. Ora, è possibile che in una famiglia nascano solo maschi (o solo femmine), ma solo se si osserva che sistematicamente, in un dato Paese, nascono molti più maschi che femmine, allora il problema si pone.