Il ‘fattore giovani’ ha pesato sull’esito del referendum per la Brexit: l’apatia di coloro che non sono andati a votare ha fatto sì che la campagna del Leave vincesse. Nelle elezioni parlamentari britanniche dell’8 giugno scorso, sembra che quegli stessi giovani abbiano imparato la lezione e non si siano limitati a qualche Like su Facebook. Il risultato: il partito labourista, tradizionalmente supportato dai giovani, ha guadagnato quasi il 10% in più di voti rispetto al 2015 e 29 nuovi membri del parlamento, ed è ora in forza per combattere una Brexit non voluta da tanti miei coetanei britannici. Questo improvviso risveglio potrebbe avere conseguenze imprevedibili per la stabilità politica e finanziaria del Paese. Tuttavia, che i cosiddetti ‘figli del disincanto’ abbiano messo da pare la loro diffidenza nei confronti delle istituzioni politiche e si siano dati una mossa deve essere accolto come un segno positivo di ritrovata fiducia verso i meccanismi democratici.
Dall’apatia astensionistica alla mobilizzazione attivista in appena un anno
Il 16% di giovani britannici si è astenuto dall’andare a votare al referendum sulla Brexit avrebbero potuto fare la differenza. Visto il margine irrisorio tra i risultati dei due campi, l’aggiunta di questi voti, tradizionalmente più europeisti, è stata additata come potenzialmente fondamentale. Questi apatici millennials sono stati criticati duramente, soprattutto quando hanno osato scendere in strada: protestare per un voto a cui non si è partecipato è un capriccio da ragazzi immaturi.
Tuttavia, nei 12 mesi tra il referendum di giugno 2016 e le elezioni del giugno 2017 i millennials inglesi hatto acquisito consapevolezza della loro (ir-)responsabilità. Quasi 1.4 milioni di under 34 si sono registrati per votare, ovvero il 22% in più di quelli che si erano registrati prima del referendum sulla Brexit, e il 51% in più di quelli registrati per l’elezione del 2015.
Complici di questro trend anche grandi nomi come Uber, Starbucks e Twitter che hanno fatto initiaziative per incoraggiare i millennials a votare. Così come Snapchat e Instagram hanno mandato messaggi attraverso la loro app, raggiungendo milioni di users giovani. E Facebook ha installato un nuovo meccanismo per trovare il proprio rappresentante in parlamento e seguirlo con un semplice click.
Un fenomeno interessante, benchè non di massa, è stato il voto per proxy dei millenials europei che in quanto tali non possono votare nelle elezioni nazionali inglesi. La 27enne Raluca Enesco, rumena, per esempio, ha trovato un inglese a Manchester che era troppo disilluso per votare da sé, ma che ha votato per conto di lei.
Gli sforzi ricompensati da un risultato sorprendente per i laburisti
Ci si aspettava che questa rinascita di interesse politico giovanile avrebbe dato un vantaggio al partito laburista di Jeremy Corbyn. E infatti così è stato. In questa elezione i giovani si sono mobilitati durante la campagna attraverso associazioni come Momentum e sono andati in massa a votare. Benchè numeri precisi debbano attendere ulteriori analisi, il divario generazionale si è mostrato in tutto il suo (terrificante) splendore: i giovani tra il 18 e i 24 anni si sono dimostrati 51% più propensi a votare Labour che Conservative rispetto alla media nazionale, mentre per gli over 65 è l’inverso.
La polarizzazione è anche dovuta al fatto che Corbyn promette una Brexit meno dura di quella del primo ministro conservatore Theresa May – oltre che l’eliminazione delle tasse universitarie, argomento vincente con chi all’università ci sta per entrare o chi si è già indebitato per pagare le esorbitanti 9.000 sterline annue di retta alle università pubbliche.
Bentornati, millennials!
Il risveglio di coscienza civica dei miei coetanei britannici ha portato ad un parlamento spaccato in due, senza chiara maggioranza, con delle prospettive per i negoziati per l’uscita dell’UK dall’Unione Europea sempre più confusi e un primo ministro delegittimato. Ma almeno ci sarà un vero dibattito politico intergenerazionale, più di qualche botta e risposta su Twitter. Che uno sia conservatore o labour, europeista o euroscettico, britannico o europeo, una tale mobilitazione non può che essere un segno benvenuto di un ritorno alla democrazia vera, quella in cui ci si mette la faccia. E il voto.