Se vi chiedessero che cos’è per voi la bellezza, l’assocereste mai al vostro luogo di lavoro? La risposta di Annalisa Moretti – alias Ambra Angiolini – all’esaminatore interpretato da Gianmarco Tognazzi nel corto “Il colloquio”, sotto la regia di Massimo Ferrari, dovrebbe far riflettere molte aziende.
Ma qual è la vostra risposta? Se è affermativa, sappiate che siete davvero fortunati perché significa che lavorate in un’organizzazione ambiziosa e all’altezza del suo ruolo nella società. Se è negativa, allora sappiate che non siete voi ad avere un problema, ma che probabilmente la vostra azienda non ha ancora compreso quanto gli ambienti di lavoro siano luoghi di trasmissione di valori e messaggi, che le persone si portano a casa.
E perché proprio la bellezza? «Perché le parole creano l’ambiente e per questo sono il migliore strumento di prevenzione a qualsiasi forma di mancanza di rispetto» spiega Giorgia Ortu la Barbera, psicologa, esperta di sviluppo organizzativo. Ecco perché il progetto Libellula, primo network di aziende a livello nazionale contro la violenza nei confronti delle donne e qualsiasi forma di discriminazione, parte proprio dal voler introdurre nelle imprese l’educazione alla bellezza intesa come equilibrio della vita, come rispetto dell’essere umano, come attenzione alle piccole cose.
«Se prevalgono atteggiamenti ostili, ingiusti, discriminatori sul lavoro, con quale nuvola di pensieri ed emozioni quei lavoratori potranno mai proseguire la loro giornata e gestire le loro relazioni personali?» sottolinea Ambra Angiolini ad Alley Oop. Proprio per andare alla radice del problema e rilevare la percezione del fenomeno della violenza sulle donne all’interno delle aziende, il progetto Libellula – ideato da Debora Moretti e Marilù Guglielmini due collaboratrici di Zeta Service – ha avviato una ricerca in una ventina di aziende attraverso focus group, un questionario rivolto a tutti i dipendenti e interviste individuali ai direttori Hr.
Da ciò che emergerà si trarranno indicazioni per definire un programma di azioni e interventi nelle imprese aderenti al network per innescare un cambiamento culturale che travalichi i confini aziendali. «Innanzitutto, la sfida – afferma Ortu la Barbera, responsabile dell’attività di ricerca – è cambiare lo stereotipo secondo il quale il problema della violenza sulle donne riguarda solo le donne. Lo dimostra il fatto che, al momento, gli Hr director interpellati che si sono dimostrati più entusiasti del progetto sono proprio donne e ai focus group hanno partecipato solo donne. Per superare questa visione, è necessario acquisire un “vocabolario” adeguato, perché senza quella lente non riusciamo neppure a leggere e riconoscere il fenomeno».
«Il punto – commenta Ambra Angiolini – è che abbiamo perso il rispetto verso noi stessi, verso i nostri doveri e i nostri diritti. Credo che dovremmo prenderci più cura delle persone e questo nelle aziende si traduce nel creare ambienti che ti mettono nelle condizioni di non pensare “devo farcela a tutti i costi”, ma piuttosto “posso anche non farcela ma so che sarò aiutato a farcela”. E queste aziende dovrebbero essere la normalità, non casi straordinari». Spesso premiati come best practice e relegati nella categoria “eccellenze”, aggiungo io…
Ebbene, per le imprese che volesse partecipare alla ricerca e unire le forze per avviare un cambiamento corale, il progetto Libellula – che sarà lanciato ufficialmente a maggio – è una buona occasione. Non perdetela!