
«Abbiamo parlato molto di ragazzi quest’anno. Ma abbiamo parlato con loro?»
Si pone questo interrogativo lo studio Voice of the Boys, pubblicato appena qualche settimana fa, sullo stato degli adolescenti inglesi. Una domanda che, per quanto retorica, solleva il velo su un’abitudine diffusa tra adulti ed esperti. Guardando ai giovani, e in particolare ai maschi della Gen Z, l’enfasi oggi cade soprattutto sul rapporto più rischioso con la tecnologia. E i riflettori vengono accesi sugli eventi peggiori e le evoluzioni sociali più cupe. Manca però, o sembra per ora ancora poco praticato, l’ascolto e lo scambio diretto con i ragazzi.
Chiariamo subito: non si può né deve sminuire la portata e l’impatto di alcuni fenomeni sulla gioventù di questi ultimi anni. Resta allarmante infatti il livello di esposizione a contenuti inadatti, quando non proprio nocivi, spesso non richiesti o addirittura “forzati” dalle piattaforme. Pericoloso, inoltre, perché avviene in una fase della crescita in cui i giovani sono particolarmente influenzabili, alla ricerca di risposte comprensibili per dare un senso alla confusione più tipica in questa fare della vita.
Altrettanto preoccupante è poi la facilità con cui gli adolescenti possono sia finire intrappolati in ambienti che promuovono messaggi ideologizzati, che farsi attrarre da visioni polarizzanti ed estreme al punto da arrivare a promuovere anche la violenza di genere. Insomma, con questo in mente è chiara l’urgenza di capire meglio le sfumature della realtà dei teenager per avere una mappa di riferimento su cui costruire alternative agli scenari peggiori.
Come ha fatto recentemente, tra gli altri, l’organizzazione inglese Male Allies UK* stilando il report Voice of the Boys. Questo lavoro di ascolto di ragazzi tra gli 11 e i 16 anni, si è posto l’obiettivo di andare «oltre il sensazionalismo e il clamore dalla (serie tv) Adolescence, le narrazioni attuali della ricerca sui ragazzi» che li dipingono soprattutto «smarriti e abbandonati».
Come vedono i giovani il presente e il loro futuro? Cosa pensano di questioni che vanno dalla tecnologia al tema della parità di genere? Cosa li spaventa e cosa è per loro importante?
Il quadro restituito è, certo, costellato dai racconti di fenomeni preoccupanti e grandi sfide, ma anche, allo stesso tempo, pervaso da una certa dose di speranza e consapevolezza della necessità di cambiamento. «Il mondo di oggi è diverso da quello in cui siamo cresciuti – scrivono gli autori del rapporto -. E nel clima attuale – coi racconti di ragazzi in crisi, l’aumento della misoginia e le spinte che vanno contro la (promozione della) diversità, la parità e l’inclusione -, è essenziale ascoltare i giovani per capire cosa è importante per loro, in modo da poterli sostenere al meglio».
Il quadro inglese
I risultati di Voice of the Boys ribadiscono alcune evidenze note: gli adolescenti passano moltissimo tempo online, spesso in ambienti non moderati. Sono inclini a sentirsi soli e, anche in conseguenza di questo, si rivolgono alla tecnologia sia per videogiocare che, negli ultimissimi anni, per “parlare” con l’Ai. Chat Gpt, Gemini o Claude, per molti Gen Z sono infatti diventati surrogati degli amici, strumenti con cui confidarsi ma anche a cui chiedere supporto psicologico. O con cui, addirittura, intrattenere relazioni romantiche.
Secondo lo studio, ad alimentare queste situazioni concorrerebbe, almeno in parte, un’evidente carenza di spazi fisici dove essere ragazzi al di fuori dalle mura domestiche. Stando alle evidenze raccolte da Male Allies Uk lo sosterrebbero l’81% degli intervistati. Le città contemporanee, a causa, per esempio, dei tagli ai fondi pubblici, offrono sempre meno luoghi di aggregazione giovanile sicuri dove passare il tempo a socializzare e confrontarsi coi coetanei. «Hanno costruito palazzi nel campo dove giocavamo», indica uno dei partecipanti. «Mi piaceva andare al centro giovanile, ma non ha più riaperto dopo la pandemia», ricorda un’altro. E, ricorda un terzo, dove esistono programmi «c’è una lista d’attesa. Dicono perché non ci sono abbastanza volontari».
Come un cane che si morde la coda, però, la mancanza di ambienti esterni sicuri, insieme al timore dei potenziali pericoli del “mondo reale”, portano sempre più adolescenti a restare da soli nella propria stanza, davanti a uno schermo. Rivolgersi agli ambienti digitali diventa allora un po’ l’unica risposta all’impossibilità di uscire e stare con gli altri. E lì si costruisce una parvenza di comunità di riferimento che può diventare però quasi esclusivamente un’esperienza online.
Se questo non bastasse, le situazioni di isolamento vengono ulteriormente peggiorate dalla mancanza di modelli di riferimento tangibili in casa come a scuola. Nei momenti di ascolto organizzati per compilare lo studio, infatti, è emerso di frequente il tema della “non presenza” dei genitori. Gli adulti, secondo i Gen Z, sarebbero colpevoli di essere troppo incollati al loro lavoro e ai devices.
Nemmeno la scuola saprebbe offrire risposte efficaci. Il 64,4% degli interpellati infatti, crede che gli istituti di formazione non li stanno preparando adeguatamente per il futuro. Il 54% di loro, inoltre, ritiene che le coetanee oggi hanno vita più facile. «Le ragazze – segnala un partecipante all’indagine – vengono sempre elogiate. Noi… ci fanno sentire come se fossimo un problema».
Insomma, tensioni e insoddisfazioni nel mondo reale che sembrano caratterizzare gran parte delle esperienze sociali dei giovani. Eppure, conferma il report, i Gen Z hanno voglia di confrontarsi, desiderano prendersi e avere cura degli altri e sentire di far parte di qualcosa. E hanno bisogno di connessioni. Scrive a proposito il direttore dell’iniziativa Progressive Masculinity, riportato nello studio: «dire che ai ragazzi non piace parlare è uno stereotipo pigro e riduttivo. Quando creiamo gli ambienti giusti, AMANO parlare di temi come l’identità, le relazioni, la cultura digitale, le aspirazioni per il futuro».
Cosa significa “mascolinità”?
Per quanto molti vogliono trovare risposte, il rapporto Male Allies Uk evidenzia contemporaneamente il persistere di una confusione diffusa: stando ai dati, il 79% degli adolescenti intervistati fatica a inquadrare del tutto il significato di “mascolinità”. Un tredicenne citato nello studio, spiega: «La verità è che è raro per uno come me sentire la parola “mascolinità” non accompagnata, subito dietro, dalla parola “tossica”». Da qui si può intuire quanto sia alto il rischio per i giovani di finire, nella loro ricerca di senso, a seguire influencer che offrono messaggi chiari, spiegazioni estremamente semplici(stiche) e altrettanto pericolose.
Anche in questo caso però non è giusto appiattire l’immagine dei ragazzi a una sola dimensione. Non tutti, infatti, si ritrovano nelle caratteristiche più estreme con cui alle volte i giornali li uniformano. E se certo è in crescita la portata di fenomeni allarmanti e scenari inquietanti, le evidenze confermano anche una certa attenzione tra gli adolescenti, alla realtà e una coscienza dei rischi a cui sono esposti.
Il 62% degli intervistati per Voice of the Boys, per esempio, afferma di non credere alle voci di chi ha fatto dell’estremizzazione dei temi il loro successo – Andrew Tate in testa. Il 58% ritiene che il femminismo abbia reso il loro Paese un posto migliore. E il 68% considera i diritti delle donne “importanti” o “molto importanti” – per quanto sia però molto preoccupante il fatto che il 32% li ritenga, al contrario, “non importanti”.

Gli adolescenti nel mondo
La situazione sfaccettata e molti-forme illustrata dal report inglese non è specifica solo per Regno Unito. Sono simili infatti, per esempio, le rilevazioni del Men’s project del Jesuit Social Service (organizzazione per il cambiamento sociale promossa dall’ordine religioso dei Gesuiti) sui giovani australiani. Nell’isola del Pacifico tra i 14 e i 18 anni i ragazzi sentono una forte pressione sociale nel dover rispettare le norme di mascolinità. Cioè, per esempio, mostrarsi sicuri di sé e apparire forti. Questo nonostante la maggior parte di loro ritenga di non conformarsi a questi stereotipi. E di promuovere, anzi, una visione della virilità maschile più inclusiva, aperta, sfaccettata.
Al pari dei giovani inglesi, anche gli australiani sostengono che le compagne e coetanee hanno vita più facile rispetto a loro: lo ritiene il 42% dei partecipanti maschi interpellati (contro il 13% delle ragazze). Secondo lo studio, in particolare queste percezione di svantaggio potrebbe essere legata anche a certe differenze oggettive tra i due generi. Per esempio a partire dalle rilevazioni sui risultati scolastici, con le ragazze che mostrano, in genere, voti più alti. E passando poi attraverso il cambiamento nei rapporti tra giovani donne e giovani uomini.
Da qui, allora, non sorprende la facilità con cui le posizioni possono arrivare a polarizzarsi. Nè come questo rappresenti anche in Australia, terreno fertile al diffondersi di certa narrativa estrema, come quella proposta online dalla manosfera e dai gruppi anti-femministi.
Quali soluzioni?
Davanti a questi scenari, viene da chiedersi se stiamo facendo abbastanza. Se i governi, le scuole, i luoghi di aggregazione si stanno preparando e stanno rispondendo in modo pro-attivo ai ragazzi. La risposta, abbastanza ovvia, è: non del tutto. Mancano ancora, per esempio, iniziative diffuse che coinvolgano direttamente i giovani contro la polarizzazione delle visioni. E non sembrano sufficienti, poi, gli sforzi per contenere l’escalation della violenza nei messaggi.
Per quanto si registrino segnali positivi, la sfida resta aperta e difficilissima da affrontare. Basti ricordare come, secondo l’indagine Ipsos per il 2024, per circa il 60% dei Gen Z il percorso verso l’uguaglianza di genere è di fatto diventato discriminatorio nei loro confronti. E che secondo il 25% di loro occuparsi dei figli rende “meno uomini”.
Che fare? Il primo passo, intanto, è rendersi conto che il persistere di stereotipi di genere tradizionali impatta anche i maschi. E da qui, capire quanto le posizioni si possono velocemente cementare. Basti pensare alla immediatezza e velocità con cui i ragazzi si trovano esposti alla parte del mondo virtuale più distruttiva. Questo fenomeno, secondo alcuni, è addirittura sistematico per i più giovani e inizia al momento della creazione di un profilo sulle piattaforme sociali.
Nel concreto, una risposta efficace passa allora dalla richiesta ai governi di pretendere maggiore responsabilità delle società proprietarie, anche nel limitarne l’uso ai teenagers o meglio moderarne i contenuti. Sono, inoltre, importanti le iniziative locali, rivolte specificamente a ragazzi e uomini, per favorire l’incontro, la formazione e il dialogo su temi di uguaglianza, di radicalizzazione, di violenza. Ed è chiave il lavoro di informazione rivolto a tutti sui pericoli più subdoli della radicalizzazione sessista.
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* L’organizzazione inglese si occupa del coinvolgimento degli uomini nell’inclusione, nella leadership inclusiva e nella promozione delle competenze di alleanza tra i sessi
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