Qualche giorno fa in Afghanistan alle donne sono state vietate anche le scuole di ostetricia e ginecologia, fra le poche che potevano ancora frequentare. Un’altra pesante violazione dei diritti umani delle donne che, in Paesi come l’Afghanistan, versano in una situazione drammatica, ma che anche in Occidente non godono di ottima salute. Basti guardare a indicatori come i femminicidi (ancora circa uno ogni tre giorni in Italia, seppur ci sono lievi miglioramenti), o come la quota di donne che lavora (in Italia stimato al 53,6% ancora sotto la media Ue) o che ha un conto in banca (solo il 58% ne ha uno intestato personalmente).
Oggi si celebra la Giornata internazionale dei diritti umani nel giorno dell’anniversario della firma della Dichiarazione universale dei diritti umani adottata dall’Assemblea delle Nazioni Unite il 10 dicembre del 1948. Un fatto storico, una pietra miliare importante, coeva alla nostra Carta Costituzionale che, all’articolo 3, vieta, tra le altre, le discriminazioni in base al sesso. L’impianto normativo, migliorato a livello internazionale e nazionale negli anni successivi, ha portato e accompagnato indiscutibili miglioramenti nella condizione femminile, soprattutto in Occidente.
Ma la giornata di oggi, a 76 anni dalla firma della storica Dichiarazione, è anche un’occasione per fare un bilancio e guardare a quanto ancora resti da fare se ci sono Paesi dove le donne non possono ancora votare, lavorare, guidare, studiare, vestirsi come vogliono. Tutto questo va letto all’interno di una cornice storica e geopolitica particolarmente difficile, tra scenari di guerra e un rischio aumentato di disimpegno degli Stati per quanto riguarda la difesa dei diritti delle donne. «La Dichiarazione dei diritti dell’uomo è un atto – dice Anton Giulio Lana, professore e presidente di Ufdu, Unione forense per la tutela dei diritti umani – importante a livello mondiale che negli anni ha dato origine a una serie di convenzioni: per quanto riguarda i diritti delle donne, sono stati fatti notevoli passi avanti in vari Paesi, in Europa, in Occidente, ma c’è ancora molto da fare, anche in Italia dove ogni tre giorni una donna viene uccisa, prova che c’è ancora un concetto patriarcale, proprietario della donna anche nel nostro Paese, e dove nei tribunali si riscontrano ancora quegli aspetti di vittimizzazione secondaria delle donne che la mia socia, Tina Lagostena Bassi (scomparsa nel 2008, ndr), combatteva già negli anni 70».
Il quadro giuridico è man mano migliorato, ma le norme bastano?
Di fronte a un quadro giuridico decisamente migliorato, c’è da chiedersi se le norme bastino a garantire le tutele. «Nell’arco di cinquant’anni – commenta Simona Lanzoni, vicepresidente di Pangea Onlus – sono entrati in vigore molti strumenti internazionali, regionali e nazionali, giuridicamente innovativi rispetto al contrasto alla violenza di genere e alla tutela dei diritti delle donne (Cedaw, Convenzione di Istanbul, Protocollo di Maputo, Convenzione di Belem do Para etc). Nonostante ciò, la negazione dei diritti delle donne continua ad essere una sfida non solo de jure, ma anche nell’attuazione».
Pangea da oltre 20 anni lavora in Afghanistan e in altri Paesi del mondo dove i diritti umani, in particolare quelli delle donne, sono negati, soffocati, ridimensionati. «Non è un tema – aggiunge Paola Degani, docente di Women’s human rights e di politiche pubbliche e diritti umani – di produrre altre norme, è piuttosto un tema di usare correttamente quelle che ci sono. D’altronde lo sforzo interpretativo ha portato a ottimi risultati dal punto di vista della giurisprudenza. Tuttavia è da notare come, in tema di violenza sulle donne, si continui a parlare tanto di prevenzione, senza capire che l’unica strada possibile è quella di supportare la condizione delle donne dal punto di vista dell’eguaglianza, in maniera più efficace. Eguaglianza che diventa fine a se stessa se non viene calata in una condizione reale del mercato del lavoro, di servizi adeguati. Non è un problema, quindi, di quadro giuridico, ma è un problema di condizione economica, sociale e generale».
Diminuisce la sicurezza globale, in Congo tassi record di violenza sessuale
A livello globale, il clima geopolitico particolarmente difficile indebolisce la difesa dei diritti dei soggetti meno tutelati, come le donne. «A causa dei conflitti e dell’instabilità politica, il diminuire della sicurezza globale – prosegue Lanzoni – sta avendo un impatto anche sui diritti delle donne. In Repubblica Democratica del Congo, ad esempio, oltre all’insicurezza alimentare e al mancato riconoscimento dei diritti sessuali e riproduttivi, la guerra ha portato a tassi record per quanto riguarda la violenza di genere, in particolare di violenza sessuale, utilizzata come vera e propria arma di guerra. Per non parlare poi delle donne palestinesi o ucraine, e di tutte coloro che vivono in zone di guerra che si trovano a combattere contro fame, carestia, bombardamenti e anche le violenze che aumentano durante i conflitti».
Più in generale, i diritti delle donne in molti Paesi invece di fare dei passi avanti, stanno regredendo. Lanzoni ricorda il caso eclatante del cosiddetto “gender apartheid” imposto dai Talebani in Afghanistan, dove da più di tre anni l’obiettivo è quello di cancellare le donne e ragazze dalla vita pubblica o quello dell’Iraq, dove è in atto una proposta di legge per abbassare l’età del consenso per il matrimonio da 18 a 9 anni. In Iran le donne considerate dissidenti vengono confinate negli istituti psichiatrici; in India dopo la violenza sessuale e il femminicidio di una giovane dottoressa, attiviste/i e medici in tutto il Paese hanno iniziato a scioperare e a protestare, denuncia ancora Lanzoni. Uno scenario politico dove lo stato di salute dei diritti delle donne, chiosa Degani, «è pessimo, dal punto di vista del quadro economico fino al tema dei diritti riproduttivi».
Diritti umani a rischio pure in Occidente
Una difesa, quest’ultima, a rischio anche nei Paesi occidentali. «Solo per fare qualche esempio, la recente vittoria alle elezioni presidenziali statunitensi di Donald Trump – dice Lanzoni – ha rimesso in discussione l’accesso libero all’aborto, mente in Polonia il Parlamento ha respinto la proposta per liberalizzare la legge sull’interruzione di gravidanza, che nel Paese rimane punibile fino a tre anni di carcere. Per tutti questi motivi nel mondo milioni di donne continuano a scendere in piazza ed è solo grazie alla loro lotta che si sono ottenute vittorie sociali e politiche. Penso alle donne colombiane, che sono riuscite a far approvare una legge contro i matrimoni precoci al di sotto dei 18 anni, oppure alle attiviste in Gambia che hanno bloccato una proposta di legge per la revoca del divieto di mutilazione genitale femminile».
Andare oltre le norme lavorando sulla cultura
In questo difficile contesto, nazionale e internazionale, Fondazione Pangea si è fatta portavoce in Italia di una campagna per il riconoscimento del “gender apartheid” come crimine contro l’umanità, non solo in Afghanistan ma in tutti i Paesi del mondo dove i diritti delle donne vengono violati e, quindi, vede positivamente il fatto che l’Italia sosterrà l’introduzione del reato di “segregazione di genere” nella convenzione sui crimini contro l`umanità in discussione all`Onu. Segnando ulteriori progressi nella tutela dei diritti dal punto di vista normativo. Tuttavia, anche se a livello politico internazionale «carte e documenti vanno nella giusta direzione, la società – conclude Lana – non è sulla stessa linea. Se le convenzioni non corrispondono alla cultura dei singoli Paesi difetta l’effettività della tutela dei diritti. Fenomeno ancora più preoccupante visto che, basti ascoltare i discorsi di Trump, stiamo andando verso un disimpegno degli Stati. Occorre invece lavorare sul fronte culturale e sulla formazione – dice Lana -, rendendo edotti gli uomini, ma anche le giovani donne che spesso non hanno consapevolezza di essere vittime di pressioni, condizionamenti da varia natura».
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Se stai subendo stalking, violenza verbale o psicologica, violenza fisica puoi chiamare per avere aiuto o anche solo per chiedere un consiglio il 1522 (il numero è gratuito anche dai cellulari). Se preferisci, puoi chattare con le operatrici direttamente da qui.
Puoi rivolgerti a uno dei numerosi centri antiviolenza sul territorio nazionale, dove potrai trovare ascolto, consigli pratici e una rete di supporto concreto. La lista dei centri aderenti alla rete D.i.Re è qui.
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