Famiglia, in Marocco si discute una riforma per dare più diritti alle donne

In Marocco presto potrebbero cambiare le leggi sui matrimoni infantili, sul divorzio e, in generale, sui diritti delle donne. Dalla scorsa primavera, il parlamento sta discutendo una proposta di riforma della Moudawana, il Codice sullo stato personale e di famiglia, presentata da una commissione speciale, formata su richiesta del re Mohamed VI. Così, diverse organizzazioni della società civile e gruppi politici di sinistra si stanno battendo per eliminare dalle norme del Paese i retaggi più arretrati e penalizzanti sulla determinazione della paternità, l’assegnazione della custodia, il divorzio e i diritti di successione per le figlie femmine. Nonostante il sostegno, almeno apparente, del monarca, non si tratta però di una sfida semplice: la riforma si deve infatti scontrare con l’opposizione dei partiti islamici radicali e con una società che fatica a cambiare.

Nel 2004 una prima riforma, ancora inefficace

La prima versione della Moudawana è stata approvata nel 1956, quando la nazione si era resa da poco indipendente dopo decenni di dominio coloniale francese. Redatta da dieci studiosi uomini sulla base della Sharia, la legge islamica, di fatto codificava una struttura familiare patriarcale, lasciando ben pochi diritti alle donne. Nel 2004, grazie alla pressione pubblica e alle manifestazioni di massa, le donne marocchine sono però riuscite a ottenere dal re Mohamed VI maggiori libertà di spostarsi, di viaggiare e di autotutelarsi. Allora la riforma era stata salutata dai Paesi Occidentali come una delle leggi sulla famiglia più progressiste del mondo arabo.

Tuttavia nonostante le buone premesse, nel tempo la sua applicazione ha lasciato molto a desiderare. Nella sua forma attuale, infatti il Codice non soddisfa i requisiti della Costituzione progressista adottata dal Marocco nel 2011. Consente i matrimoni infantili e la poligamia, anche se a determinate condizioni, stigmatizza e discrimina i bambini nati fuori dal matrimonio, blocca le unioni di donne con uomini di religioni diverse e sfavorisce le madri vedove, divorziate o single e i loro figli, che si trovano quindi spesso in una situazione economica particolarmente precaria.

A ostacolare l’efficacia della riforma, secondo attivisti come la femminista marocchina Nouzha Guessous, non sono solo fattori giuridici ma anche culturali, come perdurare di una «visione diseguale dell’uguaglianza». A rafforzare questa concezione sarebbero la qiwāma, l’interpretazione del Corano che prevede una superiorità dell’uomo sulla donna. In particolare, questa emergerebbe dal passo che afferma che «gli uomini sono i gestori delle donne, a causa del vantaggio che Dio ha concesso ad alcuni di loro rispetto ad altri, e in virtù del fatto che spendono i loro beni» (4:34). Oggi però sono molte le femministe islamiche – la più nota è probabilmente Asma Lamrabet – a sostenere che qiwāma e wilāya non sono concetti coranici, ma costrutti giuridici che sono diventati elementi fondanti della tradizione legislativa dei Paesi musulmani.

Conseguenze concrete

Questi antichi retaggi rimangono però confinati alla carta delle leggi, anche se hanno effetti sulla vita quotidiana delle donne anche in uno degli Stati considerati più all’avanguardia nell’area del Nordafrica, per quanto riguarda i diritti femminili. Da una parte, infatti, le donne marocchine godono di un accesso paritario a tutte le funzioni della vita politica ed economica, compongono un quarto del Parlamento marocchino e hanno più volte ricoperto cariche come quella di sindaco di Rabat.

Se si guarda ai dati sull’occupazione, la situazione però è meno rosea: la partecipazione femminile alla forza lavoro è diminuita del 24% dal 2000 al 2020, mentre il tasso di occupazione maschile è diminuito solo del 4%, secondo un report di Bargain & Bue del 2021. A differenza di altri Stati come l’Egitto e la Tunisia, la maggior parte della popolazione femminile non è impiegata nei servizi, ma nell’agricoltura (60% delle donne contro il 36,6% degli uomini) e nell’industria (15,3% contro l’11,6% maschile), in particolare nel settore tessile, dell’abbigliamento e della pelletteria. Comparti dove, secondo gli studiosi, sono più vulnerabili alle contingenze esterne, come le variazioni climatiche e le fluttuazioni della domanda globale, aumentando la loro vulnerabilità ai licenziamenti.

Due questioni controverse

In questo contesto così complesso, riformare la Moudawana può essere «un’opportunità per correggere l’ingiustizia giuridica, la discriminazione e la violenza contro le donne nel testo della legge o nella sua applicazione», ha spiegato Samira Muheya, presidente della Federazione dei diritti delle donne Fldf (Fédération des ligues des droits des femmes) in un’intervista ai media locali. In particolare, Israr – la coalizione che raccoglie altre 30 organizzazioni della società civile e guida la battaglia di sensibilizzazione sulla legge – insiste per intervenire su due articoli particolarmente controversi, quello sul matrimonio infantile e quello sulle regole di successione per le figlie femmine.

Dal 2004 infatti il matrimonio con i minori è consentito solo in casi eccezionali e con l’autorizzazione dell’autorità giudiziaria. L’eccezione però, sottolineano gli esperti è diventata la regola. Nel 2018 sono state presentate 32.000 richieste di esenzione dal matrimonio infantile e 26.000 (81%) sono state approvate. Nel 2020 invece, su 20.000 richieste, ne sono state accolte 13.000 (65%).  Per avere idea di quanto sia esteso il fenomeno, secondo l’Ong Girls Not Brides, il 14% delle ragazze in Marocco si sposa prima di aver compiuto 18 anni. Nonostante l’opposizione della comunità internazionale alla pratica, per l’influente Partito islamico per la Giustizia e lo Sviluppo (PJD) il matrimonio dei minori fa parte del “diritto di creare una famiglia”.

L’argomento più scottante nel dibattito sulla riforma, tuttavia, è la legge sull’eredità. In base alla Sharia, le donne ricevono la metà dei beni spettanti agli uomini. Invece, se ci sono solo eredi donne, le vedove o le figlie devono dividere l’eredità con i lontani parenti maschi del marito o del padre defunto. Da anni le associazioni femministe chiedono di cambiare questo approccio, che crea numerose disparità, ma hanno incontrato forti resistenze. Il 44% dei marocchini, in base a un sondaggio del 2022, è infatti categoricamente contrario a qualsiasi modifica del diritto di successione. Solo il 36% ha dichiarato di poter prevedere dei cambiamenti. Il 20% si è astenuto.

Chance di successo

Nonostante questo, rispetto al 2004 le opportunità che la situazione cambi davvero sono migliori. Mentre vent’anni fa a valutare la riforma era stato un comitato composto da un presidente e quindici membri (di cui solo tre donne), principalmente giudici e ulama, oggi a giocare un ruolo di primo piano è il Consiglio nazionale dei diritti umani (CNDH), presieduto da Amina Bouayach.

«Il successo delle riforme dipenderà non solo dalla loro promulgazione, ma anche da un’efficace attuazione e applicazione»,ha spiegato in un articolo pubblicato dal think tank Wilson center Safae El Yaaqoubi, Senior Policy Analyst, the North Africa and the Middle East Expert.

«L’istituzione di meccanismi di monitoraggio per monitorare la conformità e affrontare i problemi che si presentano è fondamentale, mentre le campagne di sensibilizzazione del pubblico e l’educazione legale possono contribuire a mitigare la resistenza culturale promuovendo la comprensione e il sostegno alle nuove leggi», ha concluso. Il Marocco, se la riforma avesse successo, potrebbe tracciare la strada anche per gli altri Paesi del mondo arabo.

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