“Sai, mio figlio dice ‘la mamma della Polonia’ per definire sua madre di nascita e ‘la mia mamma’ quando parla di me.” Questo mi raccontava qualche giorno fa una cara amica, mamma da pochi mesi di un bimbo di 7 anni.
È davvero incredibile come i bambini ci sorprendano a volte, riuscendo a definire con naturalezza e semplicità situazioni che a noi adulti paiono complicate e su cui ci arrovelliamo per trovare le parole “più giuste”.
Gli aggettivi, quando si parla di adozione, si sprecano, soprattutto quando si cerca di definire il passato dei bambini. Nella top ten dei termini più usati da chi è a digiuno sull’argomento al primo posto si trovano sicuramente “la vera mamma o i veri genitori”. Chi è più sensibile e attento alle parole utilizza locuzioni più ricercate come “mamma biologica” o “mamma naturale”. Le parole però non sono tutte uguali e andrebbero scelte con cura, soprattutto da chi con le parole ci lavora e ne può determinare la diffusione, come i mass media per esempio. L’aggettivo “vero” non è neutro, ha insito in sé un giudizio di valore e, come riportano tutti i dizionari, è strettamente legato al suo contrario. Quindi l’esistenza di una mamma vera presuppone che ci sia anche una mamma non vera. Mia figlia minore a volte per scherzare, infatti, mi chiama “la mia mamma di plastica preferita”. La realtà è che non esistono mamme vere e mamme finte, o false, ma solo mamme. L’assenza di legami di sangue non rende un genitore adottivo meno genitore, così come un figlio adottivo non è meno figlio. Le preoccupazioni, le gioie, gli abbracci, le lacrime, i sorrisi ma soprattutto l’amore per questi figli e, dai figli verso i genitori, sono assolutamente veri!
E, specularmente, anche l’aggettivo “adottivo” non andrebbe attribuito né al genitore, né al figlio, ma esclusivamente alla nascita della famiglia, al modo di incontrarsi. La condizione di “adottivo” cioè non dovrebbe qualificare la persona, che è semplicemente “figlio” o “genitore”.
Dovremmo davvero guardare il mondo con gli occhi dei bambini che queste cose non le ragionano ma le “sentono” sulla pelle: la realtà è che può esserci una sola madre per volta. L’adozione segna uno spartiacque, c’è un prima e c’è un dopo, che il figlio della mia amica ha individuato molto logicamente in modo geografico, per esempio, inserendolo comunque in un continuum di vita. Quel “mia” riferito dal figlio della mia amica alla sua mamma di adozione indica un’appartenenza che il bambino ha riconosciuto, un affidarsi incondizionatamente, l’instaurarsi di un legame che dura per sempre.