Sono quasi 28mila i giovani italiani che, con una laurea in tasca, nel 2017 sono volati all’estero. A loro si aggiungono 33mila diplomati di 25 anni e più che hanno preso la stessa strada. Una scelta fatta da più di 244 mila giovani negli ultimi cinque anni. E più della metà, il 64% per l’esattezza, ha un titolo di studio medio-alto.
I dati emergono dall’ultimo report Istat intitolato “Migrazioni internazionali e interne della popolazione residente“. Il testo specifica anche quali sono le destinazioni più richieste. Il Regno Unito, nonostante Brexit, è ancora il Paese che accoglie la maggioranza degli italiani all’estero. Complice la globalizzazione però l’orizzonte di queste generazioni si sta spostando più lontano ed ecco che i giovani oggi sono disposti a volare anche in Brasile e negli Emirati Arabi per inseguire i loro sogni di carriera. D’altra parte il mondo è sempre più interconnesso. Ne abbiamo la prova tutti i giorni con i social network, i viaggi di lavoro e le conference call con clienti o colleghi internazionali.
Cresciuta tra euro e trattato di Schengen, per questa generazione i confini non sono altro che una linea intangibile sulla mappa. E a spingere i ragazzi a chiudere la propria vita in una valigia e partire è un mix di ambizione e aspirazione. Da una parte il mercato del lavoro italiano che sembra non lasciare molto spazio ai giovani. Dall’altro il desiderio di vedere il mondo, conoscere nuove persone e fare esperienze.
La tendenza è internazionale. KPMG International ha interrogato in materia un gruppo di 4165 studenti in ambito business e STEM provenienti da 23 paesi diversi. L’84% di loro si è detto disposto a cambiare Paese per una buona opportunità di lavoro. C’è di più: l’80% si aspetta di spostarsi in due/quattro luoghi diversi nel corso della propria carriera. Il mondo del lavoro, quindi, non ha più i confini nazionali, ma solo quelli delle competenze necessarie per entrarci.
Avendo molto meno potere di acquisto rispetto alla generazione dei propri genitori, i giovani lavoratori faticano ad impegnarsi in investimenti a lungo termine (come per esempio l’acquisto di una casa) e scelgono con più facilità di rompere i legami con i Paesi di nascita e partire alla ricerca di opportunità di lavoro più gratificanti.
Non si va più all’estero solo per imparare l’inglese. I giovani hanno capito che si può trarre molto di più da una esperienza lavorativa fuori dai confini nazionali.
Parola d’ordine: adattamento. Trasferirsi all’estero costringe ad immergersi in cultura estranea. Ogni nazione ha un suo sistema di valori, comportamenti, e anche usanze sul posto di lavoro. Entrare in contatto con queste novità aiuta a costruire resilienza, flessibilità e sicurezza di sé. Dal punto di vista delle aziende, chi lascia tutti i propri affetti per provare una nuova esperienza di vita – a volte anche completamente differente, come nei Paesi oltre oceano – è considerato più intraprendente e flessibile. Doti sempre molto apprezzate dalle imprese. Inoltre lavorare un periodo all’estero permette di costruire una rete professionale internazionale che sarà preziosa anche negli anni successivi.
Non tutti decidono di partire per non tornare mai più. Poter vantare una esperienza di lavoro fuori dall’Italia dà un vantaggio competitivo anche a chi decide di rientrare a casa. Per esempio, nella ricerca di un nuovo lavoro, fa risaltare il proprio profilo rispetto a quello degli altri candidati.
Non chiamateli “cervelli in fuga”, sono giovani che hanno scelto di cercare il bello del mondo, ovunque si trovi.