È nato da pochi giorni il secondogenito del mio vicino di casa e l’altra mattina, andando a scuola, parlavo proprio di questo con mia figlia minore. “Mamma, ma anche io ero piccola quando ero in Etiopia!”, mi dice a un certo punto con il tono di chi sta facendo una grande scoperta. “Eh, sì, tesoro, avevi appena compiuto 4 anni quando sei arrivata qui in Italia, eri proprio piccola”, le rispondo. Mi guarda un po’ perplessa e mi dice: “Però, se ci penso, quando ero lì non mi sembrava di essere piccola, era come se avessi l’età di oggi, 8 o 9 anni. Invece ero proprio piccola…”. Al momento non ho ben capito il senso della sua riflessione e ho risposto un po’ superficialmente (come attenuante posso dire che erano le 8 del mattino e si correva di gran carriera verso la scuola!): “Ma forse è perché stavi insieme a tanti bambini più grandi…”. Ci siamo messe poi a parlare di altro, della giornata, della gita che avrebbe fatto quel giorno, ma le sue parole hanno risuonato dentro di me per tutto il giorno.
E ho realizzato che ha fatto davvero una grande riflessione la mia bambina. È vero, anche lei è stata piccola, ma i suoi 3 anni non sono certo stati come avrebbero dovuto essere: lei ha dovuto cavarsela da sola. E come può permettersi un bambino di essere tale se non ci sono degli adulti amorevoli che si prendono cura, costantemente ed esclusivamente di lui? Essere piccoli è avere la certezza che qualcuno si occupa di noi. Essere piccoli è la libertà di pensare solo a giocare perché ci sono mamma e papà a risolvere i piccoli e grandi problemi della giornata. Essere piccoli è poter piangere perché qualcuno verrà a consolarci. Quando è arrivata, mia figlia, a 4 anni, sapeva fare tutto in autonomia: lavarsi perfettamente da sola, vestirsi, apparecchiare, rifare il letto, aveva una manualità davvero raffinata e precisa, di chi è abituato a fare…
Aveva anche un pensiero logico molto sviluppato, ma la maturità cognitiva è diversa da quella emotiva: i bimbi, a volte, possono imparare più di quanto sono in grado di comprendere e di elaborare a livello emotivo. E, infatti, a livello emotivo era in realtà più indietro rispetto ai coetanei perché nessuno aveva contenuto le sue emozioni e soprattutto nessuno le aveva insegnato a riconoscerle e a gestirle.
Il bello è però che quando i bambini arrivano in adozione, e iniziano a sentirsi al sicuro e protetti, solitamente si riappropriano della parte dell’infanzia che è stata loro negata e regrediscono, finalmente liberi di poter essere bambini. Mia figlia più grande, ad esempio, pur avendo già 7 anni, adorava i giochi dei neonati che trovava in casa degli amici con figli piccoli: quelli tattili o sonori tipici della prima infanzia. E saliva, alta com’era, sulle giostre per i bambini piccoli, divertendosi un mondo. Si riprendeva in questo modo, a buon diritto, una parte vissuta solo parzialmente.