Diventare genitori ci porta inevitabilmente a fare i conti con “l’altro”, a confrontarci con il diverso da noi, con quel figlio reale spesso così diverso dal figlio immaginato o tanto a lungo desiderato. Questo è ancora più vero nell’adozione internazionale, dove i bambini, oltre ad avere già un proprio vissuto e ad aver fatto esperienze di vita anche forti, arrivano da Paesi lontani, da culture totalmente diverse, ed irrompono nella vita della nuova famiglia con tutta la loro meravigliosa e spiazzante diversità.
E proprio le gioie e le fatiche quotidiane dell’accoglienza di questa diversità sono raccontate nel libro edito da Tau editrice, Un rapper alieno è atterrato nella nostra famiglia. Diario sincero di un’adozione internazionale. Il libro è nato infatti dal diario che Maria Rosaria e Giovanni Gentili hanno scritto durante il viaggio in Colombia con il primo figlio Nicola, arrivato tramite adozione nazionale, per andare a prendere il quarto elemento della loro famiglia: Julio, un piccolo e adorabile tornado arrivato a destabilizzare con la sua vitalità e la sua allegria la famiglia “de’ precisini”, come ironicamente si autodefiniscono.
Un diario speciale perché condiviso in rete con amici e parenti, che li hanno seguiti da lontano, rallegrandosi dei loro successi e sostenendoli nei momenti di difficoltà.
Il mese trascorso in Colombia per Maria Rosaria e Giovanni è diventato non solo l’occasione per conoscere una realtà, una cultura, gli odori, i sapori, le caratteristiche di un Paese, del suo popolo e, in esso, del proprio figlio, ma soprattutto il tempo in cui misurarsi con un figlio “alieno”, nel vero senso del termine, diverso, estraneo, per scoprirsi, poi “alieni”, rendersi conto che sono loro quegli estranei “con cui si è trovato a convivere senza scelta e senza appello”, e, quindi, per rimettersi in viaggio. Un viaggio interiore, che, come scrivono gli autori, chiama “ogni giorno a trasformare le dinamiche consolidate, gli equilibri collaudati, i ruoli rassicuranti, la realtà funzionante”.
Abbiamo chiesto agli autori di raccontarci qualcosa in più sul libro e sulla loro vita a quattro.
Il volume racconta del vostro incontro e del rientro a casa, in Italia, come sta andando la costruzione della vostra famiglia a distanza di un anno?
Dopo un anno e mezzo di famiglia in formato 4.0 siamo una “beta” permanente, ovvero sempre in evoluzione, work in progress. Stiamo intuendo (dire che abbiamo imparato, sarebbe troppo!) che la prosa è la realtà, non il momento di passaggio prima dell’avvento di una situazione ideale. Saremmo perfetti se avessimo imparato tutto ciò al punto di diventare superaccoglientissimi e superamorevolissimi: no, non è così; ogni giorno viviamo in equilibrio tra ideale e realtà, aspettative e esperienza, tentativi ed errori, cadute e nuovi inizi.
Abbiamo, però, anche imparato che la prosa è bella, è ricca, è feconda.
È quello spazio in cui puoi essere te stesso e non devi vivere sforzandoti di accontentare mamma e papà per essere amabile, o di essere un genitore perfetto per essere amato.
Siete diventati un po’ “alieni” anche voi, oppure è Julio ad essere diventato un “terrestre”?
Un giorno nel diario riflettevamo sul suo essere “alieno”, diverso da noi, per poi scoprire che era “semplicemente, profondamente, intimamente colombiano”.
Forse in questi mesi insieme il vero dono è stato intuire che l’essere ‘alieni’ o ‘terrestri’, dipende dal punto di vista, dal pianeta in cui si abita, e la distanza è data dallo scarto tra l’aspettativa e la realtà, tra l’ideale e il reale. Questo è lo spazio che segna per entrambi la possibilità di crescere nell’amore, superando il tratto che li separa e ci separa.
In realtà ci stiamo contagiando a vicenda: Julio studia hip hop e diventiamo tutti suoi fan quando inizia a ballare free style in sala, in cucina, in camera; noi ci siamo abituati (o rassegnati?) alla musica che ritma la nostra giornata nei giorni in cui non vanno a scuola, continuiamo a usare paroline spagnole anche se Julio ormai le ha rimosse, mentre lui parla perugino più di tutti!
Nel volume grande spazio è dato alla condivisione della vostra esperienza con parenti e amici, che vi hanno seguito e sostenuto durante il vostro viaggio in Colombia, com’è stato il rientro a casa? Vi siete sentiti sostenuti anche nel quotidiano e Julio si è ambientato bene?
Il rientro a casa ha segnato il passaggio dal tempo straordinario dell’incontro all’ordinario, dal condividere al custodire, dai cambiamenti macroscopici al lavoro interiore, sottile ma impegnativo. È iniziato quello che nelle ultime pagine del libro abbiamo definito “un innesto” nel quotidiano: un tagliare via piccole abitudini, un rimodulare scelte, un ripensare situazioni per permettere il suo inserimento, segnato, soprattutto inizialmente, dal lento aprirsi della sua “valigia dei ricordi”. È iniziato quel viaggio interiore del quale nel Post scriptum scrivevamo: “dobbiamo volare dall’altra parte del nostro mondo interiore, per diventare genitori, generare lui, generare loro ogni giorno dentro noi, per generare noi alla vera genitorialità che, da gigno, è ‘dare alla vita’, quella vera, senza compiacenze, senza censure, senza condizioni. Perché sia e siano il meglio di sé, non di noi.”
In tutto ciò abbiamo avuto accanto gli amici e i familiari, che ci hanno sostenuto con la loro preghiera e con la loro presenza, condividendo con noi tanti momenti. Julio fin dall’inizio ha apprezzato l’esperienza per lui nuova del trascorrere tempo con amici, dell’accoglierli in casa, del trovarci insieme, del condividere le occasioni importanti.
Come sta andando il rapporto tra i fratelli?
Nel nostro diario scrivevamo: “Nicola non digerisce la presenza del fratello. Ci piace pensare che non abbia ancora ‘scartato’ questo dono, che sia solo questione di tempo, ma al momento, è chiaro che ‘scarterebbe’ direttamente il fratellino.” In questi mesi insieme il loro rapporto è diventato sempre più saldo e profondo, ad oggi si alternano quotidianamente piccoli dispetti, lamentele, rivalità e grande complicità, amicizia, collaborazione. Sicuramente il loro legame ha richiesto più tempo della costruzione di quello con noi.
Ci vuole tempo, impegno, confermare ogni giorno di esserci e imparare a donarsi. Questo è vero anche con un figlio biologico, anche con un fratello biologico… nell’adozione è semplicemente più evidente, per questo è rischioso nutrire aspettative magiche, per cui sarà ‘un colpo di fulmine’.
Ci vuole tempo per fare spazio nel cuore. Forse di spazio nel cuore ce n’è tantissimo… solo che dobbiamo scegliere di farci entrare un altro, e per farci entrare un fratello dobbiamo accettare di perdere un po’ della nostra unicità e solitudine.
Guardando a ritroso a distanza di tempo il vostro viaggio, quale momento, tra quelli raccontati nel libro, vi è rimasto nel cuore? E perché?
Può sembrare scontato affermare che un viaggio così resta scolpito nel cuore attimo per attimo, che ogni passaggio burocratico è anche segnato da sussulti interiori, ansie, motivate o infondate, e gioia incontenibile.
Tuttavia un momento molto suggestivo è stato quello alla laguna La coche. Il lago era mosso dal vento, pioveva, eravamo in balìa del vecchietto andino che guidava. Per noi sperimentare contemporaneamente il disagio per la situazione metereologica, la precarietà della barchita e la tranquillità del conducente, è significato partecipare di quella cultura latina a tratti lontana dalla nostra, così abituata a tenere tutto sotto controllo, a prevenire ogni piccolo disagio. E, poi, la natura: camminare nella foresta, penetrare in quel verde che sembrava solo aggrovigliato, per poi trovare indicazioni precise su ogni pianta, sulla sua forma, sulla sua compresenza con le altre, è stato poter scoprire la perfezione di un mondo che l’uomo può solo contemplare e godere… come avviene con i figli che a volte non comprendi, non sono come vorresti, sembrano complicati e quasi impenetrabili, poi, se pian piano hai coraggio di stargli accanto, ti accorgi che stanno solo tirando fuori se stessi e, se riesci ad andare oltre i tuoi timori, le tue aspettative o la tua distrazione, ti ritrovi a contemplarne la bellezza.
Se doveste dare un consiglio a chi sta per intraprendere il viaggio della vita per andare a prendere i propri figli da qualche parte nel mondo, che cosa vi sentireste di dire dopo la vostra esperienza?
A chi sta partendo potremmo suggerire di non fare programmi precisi, di non lasciarsi ingabbiare dalle aspettative, spaventare dalla novità, frenare dalle proprie parure, scandalizzare dal proprio limite; di godere quel tempo speciale, di ammirare la bellezza dei luoghi e delle persone, di contemplare quella dei propri figli… perché quel tempo che ci è dato da trascorrere all’estero, è un dono prezioso per conoscere la loro terra e la loro cultura, per fare nostri i loro colori, sapori, odori, è un tempo prezioso per fare famiglia, un tempo che i nostri figli ameranno ricordare, raccontare, ripercorrere perché è il tempo speciale in cui, a differenza di tante altre giornate ordinarie, ci siamo fermati da tutto, per abitare nella loro terra e entrare nel loro terreno interiore, semplicemente per essere lì, per loro.