“Italy made me”. Non è una nuova indicazione di provenienza per prelibatezze nostrane, bensì il titolo molto azzeccato di un premio annuale dell’ambasciata italiana di Londra per i più meritevoli ricercatori italiani attivi in UK. E’ azzeccato perchè, per la mia esperienza personale (prima di studentessa a Oxford, poi di docente universitario a Londra, e vincitrice dell’edizione 2016 del premio), gli Italiani nel mondo accademico britannico devono molto al loro Paese di origine. E proprio per questo Brexit è una questione particolarmente delicata per loro.
Qualche numero intanto. Con oltre 12000 studenti e 5000 tra professori e ricercatori [1] italiani in UK, siamo secondi solo ai tedeschi. Ho incrociato io stessa diversi connazionali arrivati per fare un master e poi restati fino alla pensione.
Le spiegazioni sul perchè i numeri siano così elevati abbondano. Questione di età per accedere alle cattedre, per esempio. In Italia il 56% degli insegnanti universitari è over 50 – in UK si parla del 16%[2]. Quando, prima di passare al settore privato, insegnavo al Master in European Studies alla LSE, avevo meno di 30 anni. Avessi abitato in Italia sarei stata (forse?) parte di un minuscolo 2% di fortunati under 30.
Si parla anche molto dei problemi legati alla incapacità del sistema universitario italiano, contrariamente a quello inglese, di approfittare appieno dei fondi di ricerca europei. Chi non ricorda la levata di scudi quando l’ex Ministro dell’Istruzione Giannini ha osato congratularsi con i ricercatori italiani che si erano aggiudicati (all’estero) i prestigiosi ERC grants?
I difetti del sistema universitario italiano sono fin troppo conosciuti, e i pregi di quello britannico pure. Eppure, adesso che questi tanto discussi ‘cervelli in fuga’, presenti o futuri, sono posti davanti allo spauracchio di Brexit, le cose potrebbero cambiare.
L’attrattiva dell’UK come meta di studio sembra già diminuita. Le domande di ammissioni di studenti Europei sono scese del 7% dopo il referendum, con un crollo del -17% a Cambridge. Si temono rette più elevate e di essere rispediti a casa appena ottenuto il diploma. Sicuramente le dichiarazioni del ministro dell’Interno Amber Rudd e dello stesso primo ministro Theresa May non hanno aiutato: il governo intende ridurre in futuro il numero di studenti internazionali, benchè solo il 29% degli inglesi li consideri ‘immigranti’.
Questo è chiaramente un’evoluzione negativa, in quanto la mobilità degli studenti è un fondamento dell’integrazione europea.Tuttavia la Brexit potrebbe semplicemente alterare la scelta del paese di destinazione, invece che arenare il movimento tout court. Oppure, visto che andare all’estero è sempre più un’opportunità per migliorarsi, e non una fuga, avere un’opportunità per migliorarsi anche in Italia e un disincentivo a migliorarsi in UK potrebbe essere un mix vincente per trattenere talenti.
Per gli accademici italiani, la domanda invece si pone se Brexit sia un’occasione. Certo è destabilizzante non conoscere il proprio destino e temere di non avere più accesso proprio a quei fondi Europei tanto ammirati. Ma nell’incertezza, ci si volge verso ‘casa’ Italia. Troppo regolarmente escono sui giornali storie quasi raccapriccianti sull’incapacità del sistema italiano di riconoscere e coltivare i propri talenti [3]. Potrebbe essere il momento buono per ottenere il riconoscimento negato per tanti anni.
L’associazione AISUK che rappresenta i professori italiani in UK ha scritto giustamente una lettera dopo il referendum sulla Brexit all’allora premier Renzi, per incoraggiarlo a prendere il risultato come una opportunità per una politica di rientro dei cervelli strutturata e convincente. La stanno ancora aspettando.
Se, come sono convinte le università inglesi che ne impiegano migliaia, l’Italia forma così tanti accademici capaci, sarebbe ora che il nostro Paese imparasse anche ad approfittare e beneficiare della loro bravura.
Italy made me. Allow me to make Italy.
[1] La distribuzione geografica è ovviamente sbilanciata verso Londra e il sud dell’Inghilterra https://twitter.com/ItalyinUK/status/619531693083525120/photo/1 50% insegnano scienze sociali e materie umanistiche, 25% ingegneria, fisica e chimica, e 25% medicina, biologia e scienze naturali http://www.express.co.uk/news/world/731486/Italian-professors-return-Italy-Brexit
[2] In alcune discipline la situazione è pure peggio, con 48% degli insegnanti di fisica over 60, e 30% over 65.. http://www.roars.it/online/the-age-structure-of-university-staff-in-italy-and-the-uk/
[3] come quella recentissima della ricercatrice che non è riuscita ad ottenere un posto come bidella in Italia ed è finita a Harvard a dirigere un intero laboratorio. http://www.repubblica.it/scuola/2017/03/14/news/_in_italia_neanche_un_posto_da_bidella_ad_harvard_guido_la_banca_dei_cervelli_-160493626/