
Solo il sì è sì. Sembra scontato, ma non lo è, o almeno non lo è stato finora. Va scritto, scolpito nella legge. «Chiunque compie o fa compiere o subire atti sessuali a un’altra persona senza il consenso libero e attuale di quest’ultima è punito con la reclusione da sei a dodici anni», recita l’emendamento bipartisan approvato all’unanimità mercoledì sera in commissione Giustizia alla Camera alla proposta di legge a prima firma Laura Boldrini – “Modifica dell’articolo 609-bis del Codice penale in materia di violenza sessuale” – varata dai deputati ieri e ora pronta per l’esame dell’Aula. Una svolta, dopo anni di resistenze all’introduzione del nostro ordinamento del modello “senza consenso è stupro”. Un «miracolo», per dirla con le giuriste e le attiviste che da anni si occupano del tema, frutto del dialogo tra la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, e la segretaria del Pd, Elly Schlein. A questo serve la leadership femminile: a fare la differenza per tutte.
Donne per le donne
Questa bella pagina parlamentare, traducendo in norma l’accordo politico tra le leader, è stata scritta dalle relatrici del provvedimento, Carolina Varchi di Fdi e la dem Michela Di Biase. Sono state sempre loro a dettagliare, al secondo comma, che agli effetti della nuova formulazione dell’articolo 609-bis del Codice penale, «per consenso si intende quello espresso quale libera manifestazione della volontà della persona e che rimanga tale e immutato durante l’intero svolgersi dell’atto sessuale. Il consenso – continua l’emendamento – deve essere valutato tenendo conto della situazione e del contesto e può essere revocato dalla persona in qualsiasi momento e con ogni forma». La proposta di legge è stata calendarizzata per la prossima settimana in Aula a Montecitorio e, data l’intesa politica, potrebbe approdare subito al Senato per un rapidissimo disco verde definitivo.
Il precedente della Francia
Il salto è notevole. L’articolo vigente del Codice penale si limita, infatti, a prevedere che «chiunque, con violenza o minaccia o mediante abuso di autorità costringe taluno a compiere o subire atti sessuali è punito con la reclusione da sei a dodici anni». Nella riscrittura proposta alla Camera, l’uso della forza e della coercizione come elementi in grado di qualificare il reato restano intatti, ma il consenso entra in gioco come fattore dirimente. E la novità farà allineare l’Italia ai migliori standard europei. Il 29 ottobre era stato il Parlamento francese ad adottare un provvedimento nella stessa direzione, stabilendo come qualsiasi atto non consensuale sia stupro. Secondo la norma, il “sì” deve essere «libero e informato, specifico, preliminare e revocabile» e non può «essere dedotto dal solo silenzio o dalla sola assenza di reazione della vittima». Prima della Francia, avevano provveduto a legare al reato di violenza l’assenza di consenso Spagna, Belgio, Germania, Irlanda, Svezia, Danimarca, Grecia e Olanda.
Una parola può cambiare il mondo
Il Libro bianco per la formazione contro la violenza, redatto lo scorso anno dal comitato tecnico-scientifico dell’Osservatorio antiviolenza istituito al Dipartimento Pari opportunità della presidenza del Consiglio, spiega egregiamente perché l’assenza del consenso libero è il tratto distintivo che qualifica il reato. La sua mancanza – si legge – «è un segno e indica un aspetto preciso: la violenza maschile su una donna non è riconosciuta perché la sua volontà è irrilevante, il bene da tutelare non è la sua libertà ma l’onore, garantito dal vincolo matrimoniale». Così è stato per decenni. Ma la Cassazione (si veda, ad esempio, la sentenza n. 19599/2023 della sezione terza penale) ha già più volte ribadito come il consenso della persona offesa – chiaro, inequivoco e continuo – costituisca l’elemento discriminante nella definizione del reato di violenza sessuale. Il principio si rintraccia anche nelle altre fonti sovranazionali, dalle decisioni della Corte di giustizia europea e del comitato Cedaw alla Convenzione di Istanbul, ratificata dall’Italia con la legge 77/2013, che all’articolo 36 definisce con chiarezza lo stupro «un atto sessuale non consensuale».
Le campagne e la titubanza dell’Ue
All’articolo 36 della Convenzione di Istanbul si è sempre appellata Amnesty International, che dal 2020 aveva lanciato la campagna #IoLoChiedo, reclamando a gran voce la necessità di un adeguamento della legislazione italiana e l’introduzione del principio del consenso nei reati di stupro. “Se io non voglio, tu non puoi” era stato lo slogan lanciato l’anno scorso dalla Fondazione Una Nessuna e Centomila, dopo che neppure la nuova direttiva europea per contrastare la violenza sulle donne, approvata nella primavera del 2024, era riuscita nell’impresa di includere la definizione di stupro come «rapporto sessuale senza consenso». Troppi Paesi si erano mostrati contrari, tra cui Ungheria, Francia e Germania. Su queste pagine avevamo parlato di «occasione sprecata».
Roccella: «Unità trasversale nella lotta alla violenza»
Adesso in tante esultano, dentro e fuori dal Parlamento. «È un segnale importante – afferma la ministra per la Natalità, la Famiglia e le Pari opportunità, Eugenia Roccella – il voto unanime della commissione Giustizia sul mandato alle relatrici di Fdi e del Pd, e dunque di opposte parti politiche, per il disegno di legge che scolpisce anche a livello normativo il principio del libero consenso che da oltre dieci anni la Cassazione ha sancito come criterio interpretativo in materia di violenza sessuale. I passi avanti legislativi e la collaborazione che li sta caratterizzando sono un fatto importantissimo che ribadisce l’unità trasversale nella lotta alla violenza e la vicinanza dello Stato alle donne che l’hanno subita, che non lasceremo mai sole». Unità che si dovrebbe manifestare di nuovo a breve: il 25 novembre sarà in Aula alla Camera per l’approvazione definitiva il disegno di legge che introduce il reato di femminicidio e la formazione obbligatoria dei magistrati. Come al Senato, lo scorso luglio, anche a Montecitorio ci si aspetta l’unanimità.
I centri antiviolenza: «Monitoreremo l’applicazione nei tribunali»
Soddisfazione anche da parte di attiviste e associazioni. «Questo emendamento riconosce finalmente alle donne la libertà di decidere sul proprio corpo, anche ritirando il consenso durante un rapporto», afferma Marta Buti, consigliera nazionale di Dire – Donne in rete contro la violenza. «Occorrerà vigilare che questo non si traduca in una vittimizzazione secondaria nei tribunali, con processi capziosi e morbosi sulla pelle delle donne». Per questo la presidente di Dire, Cristina Carelli, richiama ancora una volta l’importanza della formazione degli operatori di giustizia. Una volta approvata la legge, non potranno più prescindere dell’accertamento dell’esistenza del consenso. E dovranno imparare a riconoscere in fretta quando il sì delle donne non c’è. Senza strabismi. E senza più alibi.
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