
«Il calcio per noi non è solo sport, è l’abbattimento di un tabù». Per Atieh Mazi, capitana del club femminile Iran di Torino, il pallone è qualcosa di più di un semplice passatempo, è uno strumento per affermare la propria libertà: un atto di autodeterminazione, oltre che una passione coltivata fin dall’infanzia.
La storia della squadra e la connessione tra sport e diritti delle donne sono state al centro dell’incontro del festival torinese Women & the City, e che ha visto protagonista, in un panel di apertura, l’avvocata e Premio Nobel per la Pace 2003 Shirin Ebadi.
L’appuntamento con le calciatrici è stata l’occasione per riflettere sul tema del valore dello sport per la vita e l’identità di ragazzi e ragazze. Un diritto che non ovunque viene riconosciuto.
La squadra
Di professione programmatrice, Atieh Mazi arriva in Italia per studiare al Politecnico di Torino e, alla ricerca di un punto d’appoggio nel suo nuovo mondo, si imbatte in un club calcistico composto da sole donne e ragazze iraniane. «Nel 2019, leggo online l’annuncio di Kasra Chalabi, il nostro allenatore, che stava formando una squadra qui in città», racconta ad Alley Oop; il suo messaggio era inclusivo: «non importava saper giocare, bastava avere voglia di divertirsi e allenarsi una volta alla settimana», ricorda.
A 6 anni di distanza, oggi, Mazi veste al braccio la fascia di capitana e per le giocatrici è un punto di riferimento. «Per loro, sono come una mamma», dice sorridendo. La società sportiva, allenata da Chalabi – noto per l’impegno nel calcio femminile e per la promozione dei diritti delle donne – è composta da giocatrici che vengono da diverse parti dell’Iran. Tra loro ci sono sia studentesse sia lavoratrici, con un’età compresa tra 20 e 45 anni.
La squadra nel 2024 si è classificata seconda alla Balon Mundial Community – Coppa del Mondo delle Culture, torneo di calcio che promuove l’incontro tra le comunità migranti sportive di Torino, ed è stata anche protagonista di due film.
Shane, la cui produzione è stata annunciata dal regista Francesco Cannavà, segue da vicino le vicende sportive e la quotidianità dell’Iran femminile di Torino. Lo scorso settembre la pellicola ha vinto due premi all’11° Festival Internazionale del Documentario Visioni dal Mondo, tra cui il riconoscimento come miglior progetto.
Las Leonas. La Coppa del Mondo è invece il titolo di una docu-serie, diretta da Isabel Achaval e Chiara Bondì, che racconta la storia di 8 squadre femminili tra Torino e Roma, rappresentanti diverse nazioni, impegnate a sfidarsi per conquistare la Coppa del Mondo.
Per Mazi, che ha iniziato a giocare a calcio da piccola con i cugini quando ancora viveva nella città di Esfahan, nell’Iran centrale, lo sport è uno strumento di emancipazione: «Con la mia esperienza voglio dimostrare che la mentalità comune, profondamente radicata specialmente nel mio Paese, secondo cui una donna smette di essere attiva dopo il matrimonio, la maternità o anche solo dopo i 35 anni, è un preconcetto errato e limitante».
L’uguaglianza per le strade…
Dopo l’ondata di proteste scoppiata in seguito alla morte della 22enne Jina Mahsa Amini, il movimento Donne, Vita, Libertà, è diventato un simbolo di resistenza contro la discriminazione sistematica femminile. Come racconta Mazi, un numero crescente di donne nel Paese sceglie oggi di non indossare l’hijab ma la situazione interna rimane tesa e il clima è di sola apparente libertà: «Molte ragazze non portano il velo ma alle amiche che vivono ancora in Iran dico sempre di non pensare di essere libere, perché la legge non è cambiata».
Le tensioni con Israele e il rischio di uno scontro diretto stanno infatti temporaneamente allentando le restrizioni interne ma la repressione non è finita: «Le autorità richiamano all’unità nazionale, vogliono il supporto del popolo ma quando la soglia di allerta si abbasserà, c’è il rischio che le donne ricomincino ad essere prese di mira e che la polizia morale torni per le strade».
…E tra gli spalti
Il calcio femminile iraniano, intanto, si sta imponendo sulla scena internazionale. Le Persian Queens, così come sono chiamate le giocatrici della nazionale, si sono qualificate alle finali della Coppa d’Asia femminile Afc 2026, staccando il biglietto che le porterà al torneo in Australia, dal 1° al 12 marzo 2026. L’allenatrice Marzieh Jafari, dal canto suo, è stata premiata come Best Coach all’Asian Football and Futsal Awards per il suo impegno, tecnico e sociale, in un contesto ancora ostacolato da barriere culturali e politiche.
Ma mentre le calciatrici iraniane collezionano successi negli stadi, le donne del Paese faticano a trovare spazio tra gli spalti. Sebbene non sia formalmente scritto nella legge o nei regolamenti, da circa 40 anni non è permesso loro frequentare i palazzetti dello sport per assistere alle partite maschili, comprese quelle della nazionale. Un divieto che ha portato perfino ad arresti, pestaggi, detenzioni e abusi contro le donne.
Oggi le tifose possono entrare negli stadi di alcune città, ma non sono ancora universalmente autorizzate ad assistere ai match. In altri casi invece le donne possono assistere alle partite sedendosi in aree separate (spesso con scarsa visibilità) o accompagnate da dei tutori.
Una serata per parlare di diritti
Lo sport come diritto e identità è stato anche il tema al centro dell’incontro «Nate fuorigioco. Quando il calcio non è solo uno sport», che ha visto Atieh Mazi e alcune compagne di squadra dell’Iran di Torino salire sul palco di Women & the City domenica 26 ottobre.
«Il calcio ci dà forza. Non è solo uno sport, è il nostro modo per dimostrare che siamo libere», spiega la capitana. L’appuntamento con le calciatrici è stato preceduto dall’incontro con Shirin Ebadi. La giurista, attivista e prima donna musulmana a ricevere il Premio Nobel per la Pace è stata protagonista dell’evento «Il giorno che le donne hanno conquistato le piazze».
Ebadi è stata la prima giudice donna in Iran, ma fu costretta a lasciare il proprio incarico dopo la rivoluzione degli ayatollah. Da allora, privata della sua carriera e dei diritti, si batte per la democrazia nel suo Paese e lavora dall’esilio per la difesa di donne, bambini e rifugiati.
Il festival
Women & the City è una manifestazione promossa e ideata dall’associazione Torino Città per le Donne (TOxD) per riflettere sulla parità di genere. Arrivato alla terza edizione, il festival quest’anno diventa diffuso e si prepara per un’edizione speciale che sarà ospitata a Bari nel 2026. Perché, come ha dichiarato Vito Leccese, sindaco del capoluogo della regione Puglia: «una grande città non può limitarsi a parlare di parità, deve praticarla».
L’appuntamento di domenica 26 ottobre ha chiuso la prima parte di festival a cui seguiranno le tappe del programma Off nelle giornate del 5, del 13 e del 23 novembre in diversi comuni della provincia di Torino, per un totale di 300 ospiti, tra italiani e internazionali, e oltre 100 eventi.
Il cartellone tocca i temi del sociale, dal mondo del lavoro e delle imprese alla salute delle donne e dell’infanzia, passando per l’educazione affettiva, scolastica e familiare, tassello fondamentale per il contrasto a ogni forma di violenza.
Si inserisce in questo filone l’inaugurazione lunedì 20 ottobre del murale dedicato a Giulia Cecchettin, nel quartiere torinese di Barriera di Milano. Venerdì 24 ottobre, invece, è stato presentato il protocollo «How gender diversity is reshaping corporate governance around the world», nato per stimolare le società non obbligate per legge a introdurre le quote a prevederle su base volontaria.
Il festival è stata inoltre l’occasione per lanciare una petizione per chiedere che l’educazione sessuo-affettiva diventi una materia scolastica. A fine festival le firme saranno inviate al ministro dell’Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara.
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