
Il 2024 è stato un anno da record: mai dal dopoguerra in dodici mesi si è registrato un così alto numero di conflitti nel mondo. Per quanto non primato assoluto, è stata poi anche altissima la conta dei morti legati: con 160 mila decessi, infatti, lo scorso è stato il quinto anno più “mortale” dalla fine della guerra fredda.
Per quanto le brutalità e le conseguenze degli scontri armati colpiscono popolazioni e comunità intere, è evidente ovunque che le donne e le bambine sono particolarmente vulnerabili. Esposte a rischi maggiori, quasi sempre, risultano quelle più duramente colpite.
A suonare un nuovo allarme sulle condizioni precarie di moltissime sono le Nazioni Unite nell’annuale report del Segretario Onu su donna, pace e sicurezza. Pubblicato a inizio ottobre, il documento traccia i confini della situazione segnalando che 676 milioni di donne, cioè il 17% di tutta la popolazione femminile mondiale, vivevano nel raggio di 50 chilometri da scontri in cui si sono registrati decessi.
Sia in termini numerici sia percentuali, anche questi numeri fanno del 2024 un anno di record. In entrambi i casi, infatti, siamo di fronte a tristi primati se si considerano gli ultimi 35 anni e con cifre, tra l’altro, raddoppiate rispetto al 1990. Una preoccupante crescita di portata e intensità delle violenze che lascia le donne (insieme alle minoranze) esposte a svariati rischi. Se infatti sono chiaramente più vulnerabili in tempi di guerra, i pericoli per loro stanno crescendo anche in luoghi di pace. In questi casi per il diffondersi di tendenze autoritarie e a seguito dell’aumento di “ripensamenti” da parte di alcuni governi in tema di diritti.
Le donne e la guerra
L’uscita del report delle Nazioni Unite “Women, peace and security” di quest’anno, celebra il 25esimo anniversario della Risoluzione Onu 1325* su questi temi. Risoluzione con cui, dal 2000, la comunità internazionale si impegna ad arrivare alla piena partecipazione delle donne e alla protezione della pace.
Oggi, un quarto di secolo dopo il progresso appare fortemente minacciato. E la situazione per la parità di genere fragile. In merito si era espressa recentemente anche Sima Bahous, la sottosegretaria generale delle Nazioni unite e direttore esecutivo di UN Women. «Donne e bambine vengono uccise in numeri record, escluse dai negoziati di pace e lasciate senza protezione entro le guerre si moltiplicano. Le donne non hanno più bisogno di altre promesse, hanno bisogno di potere, protezione e partecipazione paritaria».
E i dati confermano le sue parole: nel 2024, infatti, circa 245 milioni di donne risiedeva in zone in cui si sono registrati oltre 25 decessi legati a scontri armati. E di queste, 113 milioni dove il numero di morti legati alle battaglie superava i 100.
Considerando le zone nel mondo con le situazioni peggiori, lo scorso anno la quota più alta di quante si trovavano in prossimità di un conflitto è stata quella del Bangladesh. Mentre in Siria, Libano e Isralele/Palestina il 100% della popolazione femminile viveva nel raggio di 50 chilometri da almeno un evento mortale conseguente a uno scontro.
L’attacco ai diritti
Conoscere la portata dei fenomeni permette di comprenderne meglio l’impatto, come spiega anche un recente studio di Prio (Peace Research Institute Oslo), centro norvegese per le questioni di genere e la sicurezza. «I conflitti violenti rappresentano un indicatore chiave della condizione delle donne perché la loro escalation spesso provoca un deterioramento in molteplici dimensioni della parità di genere». Le guerre e il loro persistere, «sono associati a un aumento della mortalità materna, crescenti rischi di violenza di genere, tassi elevati di abbandono scolastico tra le ragazze e un accesso ridotto alle opportunità di sostentamento».
Ma se, come abbiamo visto, la condizione delle donne è particolarmente cupa nei territori martoriati da conflitti, anche in molte aree dove resiste la pace il quadro non appare privo di rischi. In questi casi gli attacchi possono non essere armanti, ma arrivare a miniare diritti legali conquistati in anni di battaglie per la parità.
Conferma lo stesso report Onu come, dato il «crescente autoritarismo, la proliferazione di conflitti e di (processi di) militarizzazione, gli scorsi cinque anni hanno mostrato una stagnazione (del progresso). E addirittura una regressione su molti degli obiettivi dell’agenda per le donne, per la pace e per la sicurezza. La polarizzazione politica continua a mettere alla prova il sistema multilaterale e minaccia di cancellare decenni di conquiste». Mentre «crolla il rispetto delle norme internazionali e dei trattati le donne, le bambine e i gruppi emarginati soffrono più di tutti».
Secondo il documento, a inizio 2025 si sono registrati contraccolpi al progresso in circa un quarto degli stati che stanno implementando la dichiarazione di Pechino – che nel 1995 ha dettagliato l’agenda per l’avanzamento della parità. Le conseguenze? Dall’aumento di segnali di discriminazione alla diminuzione della protezione legale. E alla riduzione drastica del sostegno economico ai programmi di supporto. Particolarmente preoccupante in questo ultimo esempio, la decisione del governo degli Stati Uniti di cancellare i finanziamenti Usaid per le iniziative nei Paesi a basso reddito. Iniziative queste che hanno un impatto cruciale nel migliorare le condizioni di giovani e donne. Si occupano infatti, per esempio, di salute riproduttiva, prevenzione e cura dell’HIV, istruzione e imprenditorialità femminile.
Le donne e la pace
Non si darebbe un quadro completo della situazione attuale omettendo di ricordare che comunque alcuni segnali di progressi continuano. Nè se si dimenticasse che certe norme di genere tradizionali sono evolute in diverse parti del mondo. Anche in conseguenza di questo, si sono creati nuovi spazi per un numero maggiore di donne leader.
Nonostante tutto però, siamo chiaramente di fronte a conquiste fragili e vulnerabili. E le donne continuano a rimanere escluse da molte decisioni. Tra le altre, proprio nella costruzione della pace – seppure le evidenze confermino come la loro partecipazione attiva crei equilibri pacifici più duraturi.
Si legge nel report Onu: «mentre un numero crescente di stati ha sviluppato piani d’azione nazionali per implementare la risoluzione 1325» “Women, peace and security”. «Questo non ha sempre portato a un cambiamento tangibile per le donne. E nel 2024, nove processi di pace su dieci non hanno incluso alcuna negoziatrice». Non troppo difficile da immaginare anche perché, come ricordano i dati, al mondo le donne ricoprono solo il 7% di queste posizioni. E rappresentano solo il 14% dei mediatori di pace.

Ci troviamo evidentemente di fronte a una situazione sbilanciata che è poi resa ancor più evidente dalla destinazione verso cui sono incanalati gli investimenti. Ricordano ancora le Nazioni Unite come nel 2024 «mentre la spesa militare globale ha superato i 2.700 miliardi di dollari, le organizzazioni femminili in zone di conflitto hanno ricevuto solo lo 0,4% di aiuti», cioè 186 milioni di dollari all’anno nel 2022 e il 2023. Quota in calo anche rispetto al livello 2020-2021 – quanto toccava i 205 milioni di dollari. Proprio a causa dei tagli ai finanziamenti «Molti gruppi di donne in prima linea si trovano di fronte (al rischio) di chiusura imminente».
Commentava i numeri dalle pagine dell’Onu anche Sima Bahous: «non si tratta di dati isolati, ma di sintomi di un mondo che sta scegliendo di investire nella guerra invece che nella pace. E che continua a escludere le donne nella definizione delle soluzioni».
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* Questa è la prima risoluzione adottata dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite sul tema donne, pace e sicurezza. Nel report viene descritta come “un momento epocale considerato da molti il culmine di un secolo di attivismo transnazionale da parte del movimento femminista”.
** Fino al 2025, l’United States Agency for International Development, Usaid appunto, era la più grande agenzia indipendente di aiuti internazionali diretti a Paesi a basso reddito. Fondata nel 1961, le sue operazioni sono state cancellate a luglio. Oggi l’assistenza da parte del governo Usa a Paesi terzi è amministrata dal dipartimento di Stato americano, cioè l’organo a cui è affidata la gestione delle questioni internazionali. Con queste mosse sono stati di fatto eliminati l’83% di programmi attivi, tar le altre cose, nella lotta contro la povertà e l’HIV, o per promuovere lo sviluppo socioeconomico.
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