Salute mentale, è emergenza per la sofferenza dei bambini nelle guerre e nei conflitti

Una bambina palestinese sulla spiaggia di Deir el-Balah, Striscia di Gaza, 5 ottobre 2025 (Photo by Bashar TALEB / AFP

Un dolore silenziso. E’ quello che portano dentro di séi bambini che si trovano a subire le conseguenze delle guerre e dei conflitti. Su questo accendono un faro le associazioni impegnate in prima linea nei luoghi dei conflitti e delle catastrofi, come Sos Villaggi dei Bambini e Soleterre, in occasione della Giornata mondiale della salute mentale, che quest’anno ha come tema la “Salute mentale nei contesti di emergenza”.

Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, le emergenze umanitarie – dai conflitti ai disastri naturali – hanno un impatto pesante sulla salute mentale: si stima che circa una persona su cinque nelle aree colpite sviluppi un disturbo mentale. Oltre a cibo, acqua e cure mediche, le persone hanno bisogno di supporto psicologico e psicosociale per affrontare la paura, l’ansia e la perdita. Investire nella salute mentale non solo salva vite, ma aiuta famiglie e comunità a riprendersi, rafforza i sistemi sanitari e costruisce resilienza a lungo termine.

Nonostante negli ultimi anni si sia registrato un leggero aumento degli investimenti internazionali nei programmi di salute mentale e supporto psicosociale per bambini e famiglie, i finanziamenti rimangono esigui rispetto alle necessità globali. Solo lo 0,31% dei fondi di Aiuto pubblico allo sviluppo (Oda) nel 2018–2019 è stato destinato a programmi di salute mentale per bambini e famiglie, contro lo 0,14% del triennio precedente. Nel 2017 il settore ha ricevuto appena 279 milioni di dollari, a fronte di bisogni enormi. Questi numeri testimoniano un persistente gap finanziario strutturale.

SOS Villaggi dei Bambini: i bambini vanno aiutati a ritrovare la fiducia

«Non basta mettere in salvo i bambini dalle bombe: bisogna aiutarli a ritrovare la fiducia, il sonno, la voglia di giocare. La salute mentale è un diritto universale e ogni bambino deve avere la possibilità di curare le proprie ferite invisibili. I bambini coinvolti in crisi umanitarie devono affrontare il collasso dei sistemi di protezione e di salute mentale, già molto fragili, e un deficit di finanziamenti pari a miliardi di dollari significherebbe privarli dell’ultima rete di sicurezza, lasciando milioni di loro esposti a violenze, sfruttamento e traumi», spiega Orso Muneghina, della Federazione SOS Children’s Villages.

SOS Children’s Villages è presente nei contesti di emergenze di tutto il mondo con un approccio che non si limita a fornire cibo, acqua, cure mediche e riparo, ma che protegge anche la dimensione emotiva e psicologica di bambini e famiglie. Questo significa creare spazi sicuri per giocare, offrire ascolto e sostegno psicosociale, dare alternative di cura ai bambini rimasti soli e aiutare le comunità a ritrovare il loro equilibrio.

Un nuovo piano di intervento per la salute mentale

In risposta a questa emergenza, SOS Villaggi dei Bambini ha presentato la nuova strategia di Mental health and psychosocial support (Mhpss) per il triennio 2025 – 2027, un piano d’azione ambizioso e innovativo volto a migliorare l’accesso ai servizi di salute mentale e supporto psicosociale per bambini, adolescenti e famiglie in contesti vulnerabili di tutto il mondo. In Italia, SOS Villaggi dei Bambini ospita l’Hub internazionale per la Salute mentale e il supporto psicosociale (Mhpss), dove si sperimentano e insegnano metodologie come il Psychological First Aid, ReachNow, TeamUp, Early adolescents skills for emotions (Ease), Self Help Plus e Problem Management Plus. L’approccio proposto si basa su interventi a bassa intensità, scientificamente fondati, culturalmente adattabili e realizzabili anche da personale non specializzato. Il modello di cura si articola su tre livelli: rilevamento precoce dei problemi, interventi di prevenzione e, solo dove necessario, trattamento. Strumenti semplici e concreti che insegnano a gestire lo stress e prevengono disturbi post-traumatici, ridando ai bambini la possibilità di crescere in un ambiente di normalità.

Dal 2020, l’Hub collabora con diversi Paesi della Federazione internazionale di SOS Children’s Villages e ha sviluppato un’expertise sul tema, divenendo un centro di competenza per lo sviluppo, la supervisione e il miglioramento delle pratiche MHPSS, della Federazione SOS Children’s Villages, supportando i team locali con formazione continua, risorse tecniche e un network di specialisti pronti a offrire assistenza su richiesta. La strategia sarà, infatti, attuata in numerosi paesi nel mondo, tra cui Marocco, Kenya, Tanzania, Mozambico, Haiti, Senegal, Uganda, Zimbabwe e Bangladesh e in collaborazione con partner e agenzie internazionali.

Il dramma della Palestina

In Palestina, l’impegno di SOS Villaggi dei Bambini ha assunto un valore vitale. Dopo la distruzione del Villaggio SOS di Rafah nel 2024, 68 bambini sono stati evacuati e accolti nel Villaggio SOS di Betlemme, dove hanno potuto proseguire il percorso scolastico e ricevere sostegno psicologico mirato. Nelle tendopoli di Khan Younis e Deir Al Balah, l’associazione assiste regolarmente 265 persone – bambini, caregiver e famiglie – fornendo protezione, riparo, acqua e beni essenziali. Solo nel luglio 2024 sono state realizzate 120 sessioni di Psychological First Aid, 43 incontri di counselling familiare, 40 sessioni di counselling di gruppo e 125 attività ricreative tra arte, musica, danza e giochi collettivi. Questi interventi hanno permesso di restituire ai bambini momenti di normalità e speranza in un contesto segnato dalla guerra.

Bethlehem evacuated children – Lama Qattush

Il dolore dei bambini di Gaza e il tentativo di restituire la speranza

Mutaz Lubbad, psicologo che ha accompagnato i bambini evacuati, racconta: «Dopo cinque mesi di guerra, i bambini hanno finalmente sentito di essere protetti. Ma sono molto stanchi e hanno bisogno di recuperare. Alcuni non riescono ancora a dormire, altri non parlano delle loro esperienze. Molti trovano più facile disegnare le loro paure piuttosto che parlarne: l’arte diventa così una porta d’accesso per elaborare il trauma. Ogni bambino nel Villaggio SOS di Rafah ha creato un libro: “La mia storia di vita a Gaza”, con testi, immagini, come volevano. Ai bambini è piaciuto lavorare sul libro e li ha aiutati a elaborare le loro esperienze. È stato liberatorio per loro trovare un modo per esprimere l’orrore, il dolore e la paura. Le immagini e i testi ci hanno mostrato come si sentivano, in quale condizione erano e come potevamo supportarli al meglio».

Accanto a lui, i caregiver inventano modi semplici ma potenti per proteggere la salute mentale dei bambini. Una delle educatrici spiega: «Abbiamo inventato giochi per coprire i rumori delle esplosioni. Cantavamo forte o battevamo le mani per trasformare la paura in un momento condiviso. È stato un modo per proteggere i bambini senza mentire sulla realtà, ma offrendo loro un rifugio emotivo».

Un altro caregiver aggiunge: «I bambini hanno perso la quotidianità, la normalità. Il nostro compito è stato restituire piccole routine – un disegno, una storia prima di dormire – perché queste certezze aiutano a resistere anche nei momenti più bui».
Grazie al programma di emergenza, attivo fino al 2028, SOS Villaggi dei Bambini Palestina prevede di raggiungere 12.500 bambini e famiglie con interventi mirati a rispondere ai bisogni primari, a garantire protezione e salute mentale.

Soleterre: a Gaza un trauma collettivo, nove bambini su dieci non vedono un futuro

«A Gaza il trauma psichico ha il nome preciso di ingiustizia, di genocidio. Le immagini e i racconti che ci raggiungono ogni giorno generano anche un trauma collettivo che colpisce oltre i confini della Palestina lasciando un senso di impotenza e colpa. Stiamo assistendo a un genocidio “in diretta social” a cui non possiamo restare indenni. Curare questo trauma non può significare soltanto ascoltare e offrire sostegno psicologico: significa agire, prendere posizione, scendere in piazza e pretendere giustizia», dice Damiano Rizzi, psicologo clinico e presidente di Soleterre.

I numeri parlano di uno scenario drammatico: nove bambini su dieci non riescono più a vedere un futuro, otto su dieci sono tormentati da incubi ogni notte, sette su dieci vivono in una paura costante e paralizzante, più della metà sceglie l’isolamento e quasi tutti – il 96% – percepiscono la morte come imminente (dati War Child 2024).

In Palestina c’è un solo psicologo ogni 22.232 abitanti. «Ciò dimostra quanto sia fragile la rete di sostegno mentale in un contesto in cui il bisogno è immenso – prosegue Rizzi – Per questo Soleterre ha aperto un centro a Beit Jala in Cisgiordania e sta portando il proprio supporto psicologico anche a Gaza, offrendo ascolto, cura e speranza. Insieme a un gruppo di colleghi, abbiamo anche chiesto al Cnop e all’Ordine degli Psicologi della Lombardia di rivolgersi formalmente al Governo, domandando con urgenza quali azioni concrete e immediate intenda intraprendere per fermare il genocidio in corso. Specialmente in occasione della Giornata Mondiale della Salute Mentale bisogna ricordarsi che prendersi cura della mente significa anche difendere la dignità umana. La salute mentale, oggi più che mai, diventa una questione di giustizia».

Soleterre ha raccolto la testimonianza di un bambino di 14 anni, ricoverato presso il Nasser Hospital di Gaza: «Mi hanno amputato la mano con cui disegnavo, le bombe non mi fanno dormire, ho imparato a nascondermi prima di imparare a scrivere. Lo psicologo dice che ho il trauma. Mio papà ha il trauma nei muscoli e nei sogni mancati, il corpo distrutto da fame e ferite, la mente piena di colpa per non aver slavato i suoi figli. Mia mamma ha il trauma negli occhi, nell’anima, in ogni organo. Viviamo senza casa in una tenda, tra l’attesa e il terrore. Il trauma a Gaza non è qualcosa da mettere alle spalle, è complesso e continuativo. La violenza qui non è un evento: è una struttura quotidiana, sistemica e costante. Il trauma guarisce solo curando l’ingiustizia e la salute mentale in Palestina non può esistere senza la fine dell’occupazione militare israeliana. Ho visto i vostri video: le piazze piene, le bandiere e ho capito che non sono solo. Il trauma lo curi anche quando scendi in piazza e pretendi giustizia trasformando il dolore in possibilità. Ogni parola, scelta e azione tiene la morte lontana da me. Non tutte le guerre si combattono da vicino. Gaza è un trauma globale che ci chiede di scegliere da che parte stare».

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