
Un gap ancora da colmare, risorse preziose da mettere a frutto. La chiave per parlare di imprenditoria femminile nel Sud Italia parte da questi due elementi, con un’attenzione speciale alla digitalizzazione e alle possibilità che apre l’intelligenzia artificiale. Ma quali sono le sfide più importanti da raccogliere? «Rispondere a questa domanda dalla Sicilia è quasi naturale, perché questa terra è il simbolo perfetto della sfida che vive oggi l’imprenditoria femminile: ricchissima di risorse, ma spesso prigioniera di nodi strutturali non ancora sciolti», dice Maria Laura Ontario, che da pochi mesi presiede il comitato per l’imprenditoria femminile, istituito presso la Camera di commercio nel novembre scorso.
«La sfida più urgente – dice in questa intervista ad Alley Oop – è l’accesso concreto alle condizioni per crescere: formazione, credito, semplificazione burocratica. Ma c’è anche un’altra sfida, più sottile ma profondissima: quella culturale». Abbiamo incontrato la nuova presidente in occasione del Job Digital Lab (programma che conta di aver formato tra il 2020 e il 2024 oltre 31.000 persone) nella sua tappa catanese. Un programma che, come già altri eventi, pare indicare una nuova attenzione del sud-est siciliano in favore dell’imprenditoria femminile.
Digitalizzazione al centro: a luglio il comitato per l’imprenditoria femminile è stato coinvolto nel programma di Fondazione mondo digitale Ets e Ing Italia. Qual è stato il vostro ruolo e perché questo focus?
Abbiamo contribuito attivamente alla tappa catanese del Job Digital Lab che si è rivelata un’esperienza concreta di innovazione inclusiva. La digitalizzazione non è più una scelta opzionale, ma una leva strategica di sopravvivenza e crescita, soprattutto per le pmi. In un mondo dove la tecnologia avanza con una velocità sempre maggiore l’innovazione deve diventare quotidiana, accessibile e valoriale. Ci aspettiamo che le imprenditrici escano da esperienze come questa con nuovi strumenti, ma anche con una nuova mentalità, più aperta, più digitale, ma sempre radicata nella cura, nella responsabilità e nella visione a lungo termine tipiche dell’imprenditoria femminile.
Soffermiamoci su inclusione e innovazione nell’economia, con quali progetti le tradurrete nella pratica?
Non si può che partire da un cambio di paradigma: dall’economia della competizione a quella della cooperazione, dalla crescita quantitativa alla crescita qualitativa, dal profitto fine a se stesso al valore condiviso. In questo senso, un’economia realmente inclusiva deve essere costruita su valori come la cura, l’ascolto, la visione sistemica, la capacità di tenere insieme economia e impatto sociale. Per tradurla nella pratica, stiamo lavorando in tre direzioni.
Imprenditorialità trasformativa: supportiamo startup e imprese femminili che integrano innovazione tecnologica e impatto sociale. Penso a modelli imprenditoriali con mentorship intergenerazionale, modelli di impresa rigenerativa, o a progetti per donne che rientrano nel mercato dopo la maternità o periodi di cura, accompagnandole con strumenti flessibili e digitali.
Innovazione sistemica e reti: promuoviamo reti di imprenditrici che co-creano soluzioni per il territorio, contaminando ambiti diversi, dalla manifattura digitale all’economia circolare. L’innovazione non è solo nei prodotti, ma nel modo in cui si prendono le decisioni, si includono le diversità, si redistribuisce il valore.
Educazione ai valori imprenditoriali: lavoriamo per portare nelle scuole e nei percorsi di formazione l’idea che fare impresa oggi significa costruire relazioni generative, includere voci diverse e pensare al lungo periodo. L’innovazione nasce anche dall’etica e dal coraggio di cambiare le regole.
Quali sono le prime azioni che avete messo in agenda?
Creare modelli interattivi e informativi, anche attraverso i social; la collaborazione con le istituzioni che può consentirci di informare le imprenditrici costantemente su incentivi e su finanziamenti disponibili; la partecipazione a progetti su scala nazionale (Phenomena 2025 è un esempio che si aggiunge al Job Digital Lab); abbiamo costruito una rete forte, attribuito deleghe specifiche e, trasversalmente, supportiamo diversi settori imprenditoriali. Io credo profondamente nei modelli relazionali basati sulla condivisione dal vivo perché arricchiscano non solo professionalmente, ma anche umanamente.
L’AI è tema che spacca in due il Paese che non si è ancora allineato. L’Istat conta 25 punti percentuali di gap tra grandi e piccole realtà imprenditoriali, una cesura netta. Davanti all’incedere dell’intelligenza artificiale quale può essere il ruolo delle imprenditrici per colmare il gap tecnologico?
Sono una grande sostenitrice dell’intelligenza artificiale. Vengo da studi scientifici, la studio da anni e la utilizzo attivamente nelle mie aziende; in ogni settore, l’AI consente di ridurre tempi, ottimizzare processi e migliorare le decisioni. Oggi è impossibile farne a meno: le imprese che non si adeguano rischiano di rimanere escluse da un sistema economico che corre molto più veloce di prima. Le imprenditrici possono e devono diventare ponte tra tecnologia e valore umano. Non solo adottando strumenti di AI, ma anche portando una visione più etica, sistemica e responsabile del suo utilizzo. Dobbiamo affermarci come portavoce di un’innovazione con coscienza, in grado di coniugare efficienza e valori. Detto questo, credo fermamente che servano regole più chiare e condivise a livello globale sull’uso dell’intelligenza artificiale, non solo nelle imprese, ma anche per le nuove generazioni. Il rischio è che, delegando tutto alle macchine, si impoverisca la capacità critica, decisionale e creativa delle persone, specialmente dei giovani.
È per questo che credo che il tema debba essere affrontato seriamente anche dal Mim e in generale dai vari ministeri dell’istruzione dei vari Paesi e organizzazioni come Unesco o Ocse; l’AI è già oggi uno strumento leader nel problem solving, ma va affiancata da un percorso educativo che potenzi i modelli valoriali, emotivi ed etici. Solo così potremo davvero costruire una cultura dell’innovazione che non esclude, ma potenzia l’individuo.
Ma torniamo ai territori. Dai numeri di Unioncamere le donne che fanno impresa in Sicilia sono il 24,38% del totale, per lo più impegnate in agricoltura e servizi, con un trend in calo del 3,6% negli ultimi tre anni. È indubbiamente un tessuto fragile. Proviamo a ragionare di cause e di possibili strategie?
I numeri vanno letti sempre nella loro interezza: il 24,38% di imprese femminili in Sicilia non è un dato negativo di per sé. Al contrario, è un segno importante della presenza e della resistenza delle donne in un contesto complesso, dove spesso conciliare lavoro, cura e imprenditorialità è una vera sfida.
È vero che negli ultimi tre anni si è registrato un calo, ma più che fragilità, io vedo un sistema che ha bisogno di nuove risposte strutturali. Oggi la donna è multiruolo: madre, imprenditrice, figlia, spesso è anche pilastro della comunità. In questo senso, credo che bisognerebbe rivalutare e aggiornare alcuni sistemi di sostegno, anche a livello governativo.
Sono cause del calo: la scarsa accessibilità a strumenti finanziari, formativi e soprattutto organizzativi. Una donna imprenditrice ha bisogno non solo di incentivi economici, ma di tempo, reti, modelli flessibili e di un contesto che riconosca e valorizzi il suo contributo, anche nelle piccole e micro imprese. Come comitato, crediamo in una strategia di sostegno valoriale, fare impresa al femminile non significa replicare modelli esistenti. Bisogna promuovere un’educazione imprenditoriale fin dalle scuole, in sinergia con istituzioni locali e nazionali.
Donne e violenza economica: dal controllo alla spregiudicata esposizione debitoria della vittima, siamo dinanzi a una delle forme di abuso più ricorrenti; senza tacere di quanto la mancanza di autonomia reddituale sia determinante nella scelta di rimanere con il partner maltrattante. All’interno del vostro programma (che riconosce un ruolo chiave alla formazione), avete pensato a investire sulle competenze finanziarie a sostegno delle donne vittime?
Assolutamente sì. Abbiamo adottato misure concrete, assegnato deleghe specifiche a esperte che si stanno dedicando a percorsi formativi mirati sulle competenze finanziarie, l’autonomia economica e l’inserimento lavorativo. A partire da settembre, attiveremo una serie di incontri e laboratori, finalizzati non solo a trasmettere competenze tecniche, ma anche a favorire l’accesso al lavoro presso le strutture delle nostre imprese e associazioni. Siamo un tessuto coeso di imprenditrici e associazioni, pronte a fare rete e mettere a disposizione risorse, mentoring e opportunità lavoro per ogni donna che parte da una vulnerabilità. Inoltre, svolgiamo un ruolo di ponte istituzionale, collaborando strategicamente con le istituzioni regionali.
Burocrazia e pressione fiscale pesano sulle imprese delle donne e sulle professioniste. Il Comitato ha pensato ad avviare un dialogo con le istituzioni?
Lo dico con un sorriso amaro, in Italia la burocrazia e la pressione fiscale non discriminano, colpiscono donne, uomini, giovani e senior, senza distinzioni. Sono un’imprenditrice e gestisco aziende in settori diversi; posso dire con serenità che la situazione è sconcertante. È evidente che ci portiamo dietro un modello di gestione fiscale e amministrativa ormai superato, che non solo rallenta, ma spesso scoraggia chi vuole fare impresa. E questo è un problema sistemico: le imprese sono il cuore economico del Paese, eppure vengono trattate come se fossero un ostacolo invece che una risorsa.
Proprio per questo il nostro comitato ha avviato e continua ad alimentare un dialogo costruttivo con le istituzioni. Abbiamo al nostro interno figure di grande esperienza, c’è una delegata alla finanza alternativa e al crowdfunding, si lavora su proposte concrete in materia di finanziamenti alternativi, accesso al credito, strumenti regionali e nazionali. Il nodo è la semplificazione, la burocrazia in Italia è un vero e proprio cancro della produttività.
La crescita economica passa da quella culturale. Quali percorsi educativi avete individuato per agevolare il cambiamento?
Questa è una domanda che sento mia, profondamente. Lo dico spesso: sono una classicista, un’appassionata studiosa e ricercatrice della conoscenza in ogni sua forma. Credo, e lo affermo senza esitazione, che la conoscenza sia l’unico vero mezzo che abbiamo a disposizione per crescere, per trasformarci e per sopravvivere. Non parlo solo di conoscenza finalizzata al lavoro o all’impresa, ma di una cultura che educhi al pensiero critico, alla bellezza, al valore. E questo è il messaggio che porto sempre anche all’interno del comitato: la cultura non può essere neutra, deve essere radicata nei valori. I modelli di sviluppo devono essere virtuosi, valoriali, etici, altrimenti resteranno sempre incompleti.
La crescita economica dovrebbe camminare in parallelo con quella culturale e spirituale della persona. Per questo i nostri percorsi educativi, anche nelle imprese e nelle scuole, mirano a sviluppare non solo competenze tecniche, ma anche consapevolezza, responsabilità, senso del bene comune. E se posso aggiungere un riferimento che mi accompagna da sempre, basta leggere il “De Officiis” di Cicerone o i “Pensieri” di Marco Aurelio per avere modelli di gestione della cosa pubblica, di equilibrio interiore, di responsabilità sociale, che sono più attuali che mai. Non servono rivoluzioni, basta ascoltare i saggi che hanno sempre detto le stesse cose. Gli stolti hanno sempre fatto le stesse cose.
Quali sono le maggiori sfide e le sfide più urgenti di oggi?
La sfida più urgente è l’accesso concreto alle condizioni per crescere: formazione, credito, semplificazione burocratica. Ma c’è anche un’altra sfida, più sottile ma profondissima: quella culturale. Troppe volte la donna che fa impresa viene ancora vista come “eccezione”, anziché come parte naturale del sistema produttivo. Eppure, l’imprenditoria femminile è già innovazione in sé. È una forza capace di coniugare efficienza e cura, competitività e comunità, visione economica e impatto sociale. E parlo soprattutto per la Sicilia, dove le donne portano avanti aziende, famiglie, associazioni, territori interi, con una resistenza e un’intelligenza spesso non raccontate.
Le radici classiche ci insegnano che la vera innovazione nasce quando tradizione e visione si parlano. Come Comitato, il nostro impegno è costruire un sistema attorno a loro, non sopra di loro: più rete, più ascolto, più strumenti concreti. Perché la sfida non è solo sostenere le donne: è cambiare il paradigma dell’economia, rendendolo più umano, più valoriale, più generativo. E in questo, le donne sono già pronte. La Sicilia, da sempre, genera forza. Adesso deve solo metterla a sistema.
E, per finire, quali sono gli ambiti con le maggiori opportunità per quante vogliono fare impresa nel territorio?
In realtà non credo che oggi esista un “ambito migliore” in assoluto per fare impresa. Piuttosto, credo che troppo spesso si tende a seguire ciò che fanno tutti, a rincorrere tendenze senza un vero radicamento. La vera sfida e opportunità, invece, sta nell’individuare ciò che davvero serve al nostro territorio, alla nostra comunità, al nostro tempo. Certamente l’innovazione è centrale, ma deve essere accompagnata da una riscoperta profonda delle nostre origini produttive. In Sicilia, questo significa anche tornare a dare valore a settori storici come l’agricoltura, l’agroalimentare, l’artigianato autentico. Sono mondi che oggi possono e devono essere riletti in chiave moderna, con visione, etica e strumenti nuovi. Posso portare l’esempio di un’azienda legata alla produzione di uova che ha scelto di ripensare il modello, valorizzando qualità, sostenibilità, innovazione di filiera. È un segno dei tempi: in un mondo che ha accelerato in direzioni spesso lontane dai bisogni reali, tornare a ciò che è essenziale può diventare la vera rivoluzione.
Quindi l’opportunità non è in un settore preciso, ma nella capacità di leggere la realtà con occhi nuovi, coraggiosi e valoriali. Le donne, da sempre, hanno questo sguardo sistemico e concreto. E proprio da questo può nascere una nuova economia del territorio autentica e utile.
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