
Cambiare città per varcare una soglia simbolica della vita, oppure abbattere «senza pietà» gli stereotipi radicati da sempre nella comicità. Questi sono solo alcuni dei modi in cui la disperazione, tra le forze distruttive per eccellenza, può diventare un punto di partenza per creare e trasformare la realtà. A raccoglierli e raccontarli, tramite la voce delle sue protagoniste e protagonisti, è la cornice del IX Festival della Disperazione di Andria (ospitato dalla città pugliese dal 20 giugno al 26 luglio). «Uno spazio condiviso in cui questo fiato corto può trasformarsi in linguaggio, musica, pensiero critico e persino leggerezza», come spiega il direttore artistico Gigi Brandonisio, presentando l’edizione di quest’anno dal titolo “Un eterno affanno”.
Francesca Sangalli, scrittrice e drammaturga milanese, per esempio, ha trasformato le frustrazioni quotidiane della crisi dei 40 anni – tra carriera, maternità e senso di stasi – in letteratura, con il romanzo A Londra non serve l’ombrello (2025, Giunti), che presenterà il 19 luglio nell’incontro Volevo solo cambiare vita. Si tratta di una narrazione che «nasce dalla disperazione più totale, da uno stallo esistenziale e dalla difficoltà di aderire pienamente al ruolo femminile, materno e adulto», come racconta Sangalli ad Alley Oop. Con lo spettacolo Finché c’è figa c’è speranza (18 luglio) invece Alessandra Flamini – tra le fondatrici del collettivo di comiche C’è figa – insieme alle colleghe Valentina Medda e Frad – affronta uno dei tanti «temi su cui abbiamo perso la speranza», la sessualizzazione femminile nel mondo della comicità. La disperazione, spiega l’attrice, rappresenta così il momento in cui «non si rimane legata più all’idea che le cose possano cambiare, ma si fa qualcosa» attivamente «perché migliorino».

Tuffarsi dalla scogliera
Arriva un momento in cui al posto di «pensare di fare qualcosa», semplicemente si agisce. «È come un tuffo da una scogliera, una spinta impulsiva» da cogliere prima di «paralizzarsi» sull’onda di problemi, dubbi e conseguenze. Quel momento per la protagonista del romanzo A Londra non serve l’ombrello – alter ego di Francesca Sangalli, come lei stessa racconta ad Alley Oop – arriva «dopo un momento difficile post-covid» in cui «tutto sembrava arrotolarsi nella routine e nella stasi», dal lavoro, alla scuola fino alla vita privata. Proprio allora la donna, arrivata al «momento di passaggio dei 40 anni», capisce di «non avere nulla da perdere». Decide così di seguire la strada indicata dal lavoro del marito – che deve spostarsi per lavoro a Londra –, trasferendosi nel Regno Unito per alcuni mesi con tutta la famiglia, «munita anche di gatto».
Una storia non dissimile da quella della stessa Sangalli, che per creare la sua protagonista – un personaggio «fantastico, con tratti assurdi, ma con una base emozionale molto reale» – ha attinto a piene mani dalla «sensazione di stasi esistenziale» provata nel 2022, quando lei stessa si è trasferita Londra con la propria famiglia. «Nel libro questo stallo è rappresentato dal totem di una panchina verde al parco», afferma Sangalli, che con toni che spaziano dall’ironia alla poesia affronta la scelta di lasciare la routine milanese. Una decisione che «ha scatenato il panico più totale». Lo stesso che, secondo la scrittrice, pervade in maniera ironica il suo romanzo, in episodi come «l’incubo burocratico» – tratto da un’esperienza reale – per portare il suo gatto nel Regno Unito. Oppure dal rituale di passaggio per eccellenza del Paese che l’ha ospitata, il lutto per la morte della Regina Elisabetta.
Momenti di passaggio
Francesca Sangalli trasmette così «le ansie, le resistenze e l’attrazione» nel lasciare le sicurezze di una vita diventata «da tanto tempo ripetitiva». Si tratta di sensazioni che capita di provare in diversi momenti di cambiamento della vita. «Spesso questo momento di paralisi si attribuisce alle donne e alla maternità, ma durante le presentazioni ho trovato interessante anche il feedback di molti uomini», afferma l’autrice. Spesso questo senso di immobilità dipende infatti «dal non avere un rito di passaggio verso una nuova età», che consente di lasciarsi alle spalle «le scelte già fatte e di affrontarne di nuove. È una condizione che vivono molto di noi», dice Sangalli.
Per esempio, quello che «mi ha sorpreso di più, durante le presentazioni, è stato il commento di un uomo di 75 e 80 anni, che mi ha detto che si sentiva come se il passaggio alla vecchiaia per lui non fosse mai stato confermato», aggiunge la scrittrice e drammaturga. Ciò che non si trasforma infatti «può essere rassicurante, ma anche un incubo». Infatti «non si può fingere di essere sempre uguali». Per questo, serve affrontare «un viaggio di formazione, come si fa da adolescenti», anche in età più avanzate, proprio come fa la sua protagonista, come madre e donna, «arrivata a una soglia – i 40 anni – metaforica e simbolica, un passaggio interiore che la testa registra in modo diverso», e come ha fatto la stessa Sangalli con un romanzo che gioca tra la prosa, il teatro la slam poetry e l’ispirazione dei versi del «maestro Andrea Zanzotto».
Abbattere gli stereotipi
La ricerca di un cambiamento è parte anche dell’esperienza della comica Alessandra Falmini e del collettivo di stand up comedy femminista C’è figa. Alcuni anni fa, «stavo parlando con un collega e lui mi stava dicendo: “Stasera vado a una serata di comicità femminile. Le donne non faranno ridere, ma almeno c’è figa», racconta l’attrice e fondatrice del gruppo. «Da lì è nata l’idea di portare un format che potesse parlare di tutti i temi» e le esperienze «di coloro che sono sessualizzate come donne». Così, dal 2022, un gruppo di 10 o un donne «si alterna durante le serate per portare messaggi il più possibile variegati e diversi». Si va dalla sessualità delle donne cis o transgender, al ciclo mestruale, alle diverse forme della vulva, fino all’esperienza di chi ha un orientamento omosessuale, ai social e alle questioni generazionali e, «in modo naturale per un gruppo come il nostro», alla politica. «Il tutto – spiega Flamini – dal punto di vista della donna».
Non è solo il tentativo di riorientare i riferimenti dell’umorismo italiano, ma anche un tentativo di fare «una critica costruttiva» per una trasformazione culturale più estesa. Le donne infatti, secondo Flamini, sono «la cosa più rappresentata nella comicità di radice maschile. La suocera o la moglie rompicoglioni sono dei must. Poi ci sono degli stereotipi sempre più pesanti a cui si rifanno sia uomini che donne». Questo, mentre alcuni argomenti «non vengono trattati mai». Quindi, con un lavoro plurale, nel quale ci si confronta sui pezzi e sui modi di interpretarli, con C’è Figa «tentiamo di abbattere gli stereotipi senza pietà», spiega la comica. «A partire da quello che le donne non possono lavorare insieme, ma devono competere sempre e sopraffarsi per il favore di chi detiene il potere. Anche questa è una cosa sessista, un divide et impera». Quindi, contrapporsi ad essa è «un messaggio politico importante».
Fuori dalla bolla
Flamini è arrivata alla stand up comedy dopo una lunga carriera nel teatro civile e un graduale avvicinamento al transfemminismo, cercando un modo di «trattare le stesse tematiche in modo diretto e trasversale, veicolando i messaggi a più persone possibile» fuori dalla bolla. Chi assiste agli spettacoli C’è figa infatti «ride, si riconosce in determinati comportamenti e li può modificare». Questo vale sia per le donne che per gli uomini, che vedono emergere molti dei loro bias. La maggioranza degli spettatori maschi che ci viene a vedere poi «ci sta. Qualcuno si offende anche, ma la stand up comedy deve essere forte», afferma Flamini. Chi si inasprisce lo fa soprattutto «quando parliamo di politica, come se sentissero che le donne non abbiano il diritto e la competenza per farlo. E questo si vede dagli attacchi sotto i nostri video che sono sempre sull’aspetto fisico, per sminuire la persona».
«Anche i temi legati alla sfera sessuale generano timore». Il lavoro è da fare è ancora molto e lo sforzo di allontanarsi dagli stereotipi «non è facile. Anche noi stesse, come comiche, ci cadiamo, e quando ce ne accorgiamo, confrontandoci tra noi, cerchiamo di aggiustare il tiro». Tuttavia, qualcosa «sta cambiando nella comicità, anche se il passaggio è molto lento in Italia, anche a causa di come è fatta la nostra lingua (diversamente dall’inglese) – spiega Flamini – A livello mainstream, per esempio, Geppi Cucciari sta facendo un lavoro incredibile e inaspettato. È molto coraggiosa ed è un bell’esempio». In un mondo come quello della stand up, apparentemente ostile alle artiste, la disperazione è e continuerà a essere utile, come «punto di partenza», che permette di «perdere il pregiudizio, di superare certi traumi e riderci sopra», per costruire qualcosa di nuovo.
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