«Costruire la pace è un’impresa collettiva e nessuna voce deve rimanere inascoltata». La voce delle donne nei processi di mediazione e diplomazia è stata silenziata per troppo tempo. Eppure, quando è protagonista nei negoziati, fa aumentare del 35% l’efficacia e la durata nel tempo delle relazioni di pace tra Paesi (International Peace Institute). A restituire il quadro, in occasione della Giornata internazionale delle donne nella diplomazia, è Serena Lippi, presidente dell’Associazione italiana donne diplomatiche: l’incremento della presenza femminile nella carriera diplomatica sta avvenendo solo negli ultimi decenni. Ma il loro protagonismo non è accessorio, anzi. In tempi di profonda crisi e vulnerabilità istituzionale, diventa fondamentale.
«Mediazione e pace oggi sono argomenti attualissimi perché siamo in un momento di conflitto e fragilità» sottolinea Lippi nel corso della tavola rotonda “La diplomazia delle donne per la mediazione e il dialogo”, organizzata dall’associazione presieduta da Lippi in collaborazione con Women in International Security Italy (WIIS Italy) e l’Università La Sapienza di Roma (corso di alta formazione Donne, pace e mediazione). L’evento, ponte di dialogo e confronto tra la rappresentanza diplomatica femminile, diventa occasione per tracciare la rotta necessaria ad affrontare l’attuale urgenza di pace e mediazione. Ne emerge una prospettiva specifica che accomuna e attraversa la postura e il lavoro delle donne diplomatiche: «Approcci equilibrati, pragmatici e inclusivi sono fondamentali in questo momento – evidenzia Lippi – Il ruolo delle donne in questo senso è trasformativo: mentre la maggioranza si attesta sullo status quo, la minoranza porta innovazione».
Carriera diplomatica, solo il 25% delle donne in ruoli dirigenziali
Immaginare, guardare oltre, trasformare. La leadership diplomatica delle donne ha una specificità che si distingue: «Le donne diplomatiche italiane dimostrano ogni giorno capacità di leadership, di ascolto, di mediazione e di innovazione: qualità indispensabili per affrontare le sfide complesse del nostro tempo» afferma in una nota la Farnesina, riportando l’apprezzamento del ministro Affari esteri e della Cooperazione internazionale Antonio Tajani per «tutte le donne che lavorano alla Farnesina e che rappresentano l’Italia nel mondo, operando con determinazione e passione, nel raggiungimento degli obiettivi di politica estera del nostro Paese e valorizzando l’immagine dell’Italia nel mondo».
Nonostante le loro riconosciute competenze, in Italia l’accesso delle donne alla carriera diplomatica è garantito solo dal 1960 (con il primo ingresso nel 1967). Come riporta l’Associazione italiana donne diplomatiche, riferendosi al rapporto ufficiale del Comitato Unico di Garanzia del Ministero, alla Farnesina vi è «un rilevante squilibrio di genere, che segue un andamento generalmente proporzionale ai gradi e all’anzianità per quanto riguarda la carriera diplomatica e dirigenziale. Infatti, l’84% degli ambasciatori di grado è di sesso maschile (21 sul totale di 25), percentuale che sale all’88% per i ministri plenipotenziari (174 sul totale di 198). È di sesso maschile il 78% dei consiglieri di ambasciata (219 sul totale di 279) e il 76% dei consiglieri di legazione (121 sul totale di 159). La percentuale scende al 69% fra i segretari di legazione (233 uomini e 106 donne)».
Solo negli ultimi vent’anni la presenza femminile nella carriera diplomatica ha iniziato ad aumentare. I soffitti di cristallo, pur con lentezza, cominciano a rompersi. Nel 2021, Mariangela Zappia è diventata la prima donna Ambasciatrice d’Italia per gli Stati Uniti, dopo essere stata la prima donna Rappresentante permanente presso le Nazioni Unite a New York e prima ancora presso la Nato. Nell’estate 2024 Cecilia Piccioni è diventata la prima donna Ambasciatrice d’Italia a Mosca. Serve fare di più perché la minoranza numerica rispecchia quello che è necessario cambiare per agevolare l’ingresso delle donne in diplomazia: mentalità e cultura. L’Italia, ad esempio, ha visto solo tre donne al vertice del ministero degli Esteri: la prima volta nel 1995 con Susanna Agnelli. Sono stati necessari quasi venti anni per ritrovare un’altra donna, Emma Bonino, nel 2013, seguita subito da Federica Mogherini nel 2014.
Concorso diplomatico, formare le nuove generazioni: aumentano le vincitrici
L’ Associazione italiana donne diplomatiche è nata nel 2001 proprio in considerazione della scarsa presenza femminile in carriera e quindi del bisogno di sostenersi reciprocamente anche solo con lo scambio di idee ed esperienze in un ambiente quasi interamente maschile. Sebbene oggi la quota femminile ai gradi iniziali della carriera sia meno esigua di quanto accadeva in passato e segnali incoraggianti arrivano dal più recente concorso diplomatico, i cui risultati segnano un traguardo storico – le neo-assunte donne rappresentano il 46% dei vincitori – ad ogni concorso le donne che superano tutte le prove rappresentano sempre una minoranza.
Per fare in modo che gli ultimi segnali positivi non siano un’eccezione serve approfondire i motivi per cui un numero elevato di candidate che si iscrivono non si presentano o non consegnano gli elaborati. Ma, soprattutto, serve lavorare sugli stereotipi sin da bambine per fare in modo che le diplomatiche di domani possano immaginarsi e credere che nessuna carriera sia loro preclusa.
«Ho lavorato per elaborando e negoziando le prime risoluzioni del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite sulla protezione dei civili da molto giovane: essere giovane e allo stesso tempo sentirsi responsabile ai tavoli in cui si decide ti dà opportunità di crescere», racconta Elissa Golberg, ambasciatrice del Canada, che aggiunge: «Queste esperienze sono preziose quando si assumono ruoli più alti nella propria carriera. In definitiva, il punto è riconoscere il valore che deriva dall’avere una diversità di prospettive nel corpo diplomatico, anche perché può consentire soluzioni innovative. Il Canada ha fatto di questo aspetto una priorità negli ultimi vent’anni, ed è per questo che ora siamo al 53% di donne capo missione».
Riconoscersi serve a non negare la propria specificità perché, come sottolinea Gabriela Dancau, ambasciatrice di Romania, «Essere una donna diplomatica è un doppio impegno: significa sia rappresentare lo Stato sia affermare la propria identità in un ambito dove la presenza femminile è considerata eccezione e non consuetudine: si tratta di un esercizio continuo tra fermezza ed empatia, tra rappresentanza e azione». Vedersi rappresentate è il primo passo per ribaltare lo status quo: «L’Unione europea, già nel Trattato di Roma del 1957 riconosceva la parità di genere: chi ci ha detto non potevamo arrivare ai vertici? Non dobbiamo diventare il limite di noi stesse» afferma Elena Grech, vice rappresentante della Commissione europea in Italia, evidenziando il ruolo delle istituzioni nel contrasto degli stereotipi di genere: «È importante far credere sin da bambini e bambine che abbiamo tutte le stesse potenzialità: la Commissione europea finanzia delle iniziative a riguardo e farà del suo meglio per promuovere la presenza delle donne a tutti i livelli. Oggi nel supporto amministrativo la rappresentanza di donne è più ampia e questo dipende soprattutto dalle condizioni di lavoro, più compatibili con la vita familiare».
«Non simboli ma protagoniste»: più diplomatiche ai tavoli decisionali
La leadership delle donne diplomatiche è una risorsa per tutta la società: «Questo incontro avviene in un momento particolare e in un clima particolarmente polarizzato in cui abbiamo bisogno di dialogo e mediazione» specifica Loredana Teodorescu, presidente di Women in International Security Italy (WIIS Italy). Un’esigenza che non è individuale – ma collettiva – e sancita a livello internazionale: l’agenda “Donne, Pace e Sicurezza” è un quadro internazionale, promosso dalle Nazioni Unite, che mira a garantire la partecipazione e la protezione delle donne in tutte le fasi dei processi di pace e sicurezza. L’agenda si basa sulla Risoluzione 1325 del Consiglio di sicurezza dell’ONU, adottata nel 2000, e si concentra su tre pilastri principali: prevenzione, partecipazione e protezione.
«A venticinque anni dall’adozione dell’agenda è il momento di fare il punto» aggiunge Teodorescu, evidenziando ciò che manca: «Abbiamo bisogno di rafforzare la leadership delle donne guardandola come una risorsa della società. Serve uno sforzo congiunto per mettere in campo le competenze che ognuno ha: se le donne mancano nei tavoli decisionali si annullano gli sforzi che facciamo. Non avere abbastanza donne in diplomazia significa privarsi di una prospettiva specifica». I tempi attuali richiedono una tempestività maggiore: «Oggi più che mai le donne diplomatiche possono svolgere un ruolo cruciale. Penso ad esempio alle donne israeliane e palestinesi che continuano a lavorare per tenere vivo il dialogo – spiega Luisa Del Turco, coordinatrice didattico-scientifica del corso di alta formazione “Donne, Pace e Mediazione” della Sapienza – Ai tavoli diplomatici, come dietro le quinte, le donne fanno la differenza». Come emerge dal rapporto “Her future at risk. The cost of humanitarian crises on women and girls” di WeWorld, le donne sono le prime a pagare il prezzo delle crisi umanitarie che aggravano in modo preoccupante le disuguaglianze di genere e generazionali: accade in Afghanistan, Burkina Faso, Etiopia, Mali, Mozambico, Niger, Palestina e Ucraina. In questi contesti non solo è necessario che le donne supportino le donne. Ma che siano ai tavoli decisionali: «Non come simboli ma come protagoniste» specifica Lippi, che conclude: «Non si tratta di vedere la parità solo come equità. Ma come maggiore efficacia dei negoziati». Un’urgenza non rimandabile, a tutela della democrazia.
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