Non è mai facile dirsi addio. Ma se alcune rotture avvengono inaspettatamente, altre sono in un certo senso “prevedibili”. Quando mancano fiducia, condivisione e valori comuni, ci si “lascia”. Accade nella vita privata. Ed è così anche sul lavoro. La chiamano “disconnessione relazionale”.
Quanto contano le relazioni
Solo un lavoratore su due, in Italia, si sente davvero connesso ai valori dell’azienda per cui lavora, secondo il Randstad Workmonitor. Non parliamo solo di uno scarso coinvolgimento, ma di un vero e proprio vuoto relazionale che porta le persone a non riconoscersi nell’ambiente di lavoro. Molti collaboratori/trici si sentono invisibili, non ascoltati né compresi, quasi fossero semplici ingranaggi di una macchina molto più grande. E questa sensazione di invisibilità genera distacco, rottura e abbandono.
L’European Workforce Study 2025 di Great Place to Work, basato su oltre 24.600 voci raccolte in 19 Paesi europei, conferma che quattro lavoratori italiani su dieci vogliono cambiare azienda entro l’anno. È il dato più alto in Europa.
Infrangere le promesse
A essere più affascinate dal cambiamento sono le generazioni più giovani che solitamente hanno anche aspettative più elevate nei confronti dell’azienda per cui lavorano e sono per questo più propense a cercare nuove opportunità professionali, nel caso le promesse non vengano rispettate.
Così, c’è chi sceglie di cambiare settore o ruolo, aprendosi a un percorso lavorativo non lineare: secondo un’indagine di GoodHabitz e YouGov condotta su un campione di mille lavoratori italiani, il 40% sta già seguendo un percorso di carriera non tradizionale. «Troppo spesso – commenta Paolo Carnovale, General Manager di GoodHabitz Italia – le promesse accattivanti negli annunci di lavoro rischiano di rimanere tali, senza un impegno concreto nella crescita personale e professionale di ogni collaboratore».
L’urgenza delle persone al centro
Mettere al centro le persone è un tema reale e urgente. E lo è per più ragioni: anzitutto, perdere le persone costa. Secondo una simulazione di Great Place to Work Italia, un’azienda con 100 dipendenti e un turnover del 10% – valore medio nel Nord Italia – può arrivare a spendere 200.000 euro l’anno in costi indiretti, tra selezione, formazione, perdita di produttività. Un impatto silenzioso ma pesante sul bilancio e sulla cultura aziendale.
«I costi nascosti del turnover sono tra i più difficili da identificare per le aziende, ma sono proprio quelli che aumentano le inefficienze delle organizzazioni a causa delle risorse spese nella selezione, nella formazione e nell’attesa che il nuovo collaboratore raggiunga le performance del dimissionario» – spiega Beniamino Bedusa, presidente di Great Place to Work Italia. E le aziende lo sanno bene: secondo Gartner, l’87% dei responsabili HR ha indicato il miglioramento della retention come priorità assoluta per il 2025.
Come rinsaldare le relazioni
Le strategie possono essere diverse: dai percorsi di formazione focalizzati soprattutto sulle competenze umane e relazionali (lo State of the Global Workplace report di Gallup conferma che le migliori organizzazioni sono quelle che investono in formazione e sviluppo personale, soprattutto dei manager) al lavoro ibrido (secondo Great Place To Work, questa è la formula migliore per la retention: solo il 24% dei lavoratori “ibridi” afferma di voler cambiare lavoro, contro il 34% di chi lavora sempre in presenza e il 37% di chi opera completamente da remoto).
Anche se, forse, il primo cambiamento da adottare è nelle parole: “retention”, “trattenere”, dà l’idea di una forzatura. Di una gabbia. Ciò che invece le persone inseguono è il coinvolgimento, la fiducia, l’affiatamento. E questo si ottiene solo creando delle relazioni, appunto, che possano essere autentiche e umane. Ciò significa, come in ogni rapporto a due, accettare anche periodi di stanchezza o di abbandono, che potrebbero dare vita a un ricongiungimento in un secondo momento.
I “boomerang employees”, ovvero i lavoratori che lasciano un’azienda per poi farvi ritorno in un’altra fase di carriera sono ora non solo accettati, ma anche auspicati. Portano con loro esperienze, visioni e competenze che possono agilmente integrare nella precedente organizzazione, di cui sono già familiari. Per questo, la vera sfida non è evitare i motivi di discussione o divisione all’interno di un posto di lavoro, ma riuscire a creare quella fiducia che permetta a ognuno di sentirsi libero. Di restare, andare e, a tempo debito, anche tornare.
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