L’educazione sessuale cambia un Paese? Il libro che indaga il caso svedese

Settant’anni. Tanto è passato da quando, per la prima volta, la Svezia ha introdotto l’educazione sessuale obbligatoria nelle scuole. Era il 1955 e il Paese diventava il primo in Europa a portare nelle classi una materia tanto dibattuta. Oggi, secondo il Gender Equality Index, la Svezia è una delle nazioni con la minor disparità di genere al mondo ed è difficile non ipotizzare che le due cose tra loro non siano legate.

A indagare l’impatto dell’educazione sessuoaffettiva sulla cultura di un Paese, in questo caso la Svezia, è Flavia Restivo nel libro “Gli svedesi lo fanno meglio” (ed. Rizzoli), con la prefazione dell’economista femminista Azzurra Rinaldi. L’analisi dell’autrice, lucida e puntuale, mette in evidenza come l’educazione sessuoaffettiva non sia solo una materia scolastica, ma anche un potente strumento di trasformazione sociale. Insegnare il consenso, la conoscenza del corpo e il rispetto per l’altro incide, infatti, profondamente sulla parità di genere e sull’inclusione sociale. La Svezia diventa, quindi, un caso a cui guardare per comprendere come orientare i modelli educativi presenti e futuri, anche a casa nostra.

Il percorso svedese

L’innovazione nel campo dell’educazione sessuale in Svezia è andata di pari passo con altre importanti conquiste. Tra i risultati messi in evidenza nel libro spiccano: la bassa incidenza di gravidanze adolescenziali, l’elevato utilizzo della contraccezione, la maggior inclusione della diversità. Inoltre, ricordiamo che la Svezia vanta un tasso di occupazione femminile attorno all’80% e uno dei congedi genitoriali più evoluti al mondo, con 480 giorni usufruibili dalla madre e dal padre con “i mesi dei papà” non trasferibili alla madre. Infine, ma certamente non da ultimo, il Paese mostra livelli di felicità e benessere tra i più elevati al mondo (World Happiness Report 2023).

Proprio la riduzione degli stereotipi e la creazione di una cultura più aperta, inclusiva e votata alla salute psicofisica delle persone, infatti, hanno contribuito a creare una popolazione più aperta e libera. Un’indagine del 2017 condotta dall’Agenzia svedese per la parità di genere, non a caso, afferma che l’85% delle alunne e degli alunni negli istituti svedesi si sente trattata in modo egualitario. Le bambine, in particolare, mostrano una maggiore fiducia nelle proprie capacità rispetto alla media europea e si sentono incoraggiate a eccellere in vari settori accademici. Tendenza molto diversa da quella italiana in cui stereotipi e bias pesano ancora moltissimo nei percorsi di formazione delle ragazze e nel loro avvicinamento ad alcune discipline, come le Stem.

Non solo luci

In verità, proprio la Svezia è protagonista del cosiddetto “paradosso nordico” che caratterizza tutti quei Paesi (come l’Islanda, la Finlandia, la Norvegia e la Svezia, appunto) che sono molto avanzati in termini di gender equality, ma che, al contempo, stanno facendo registrare un alto numero di violenze domestiche contro le donne. Secondo uno studio pubblicato su Social Science & Medicine, infatti, in questi Paesi il 30% delle donne avrebbe subito violenza domestica (molto di più della media europea del 22%).

Secondo Restivo, il numero dimostra la presenza di una cultura del consenso – e quindi della denuncia – molto radicata. «Anche all’interno di una relazione, le donne nordiche sono portate a denunciare un bacio o un atto sessuale non voluto, mentre in Italia spesso questi casi sono taciuti», commenta l’autrice. E aggiunge: «Inoltre, consapevole dell’urgenza di intervenire per limitare il numero delle violenze reali, la Svezia ha stanziato un milione di corone svedesi per lavorare sul tema, analizzare le problematiche e intervenire con strumenti concreti».

L’arretratezza italiana

È evidente, dunque, che non tutto si risolve con l’educazione sessuoaffettiva, anche se ignorarla non è di certo la soluzione. L’Italia, in particolare, ha ancora molta strada da fare: l’educazione sessuoaffettiva è facoltativa e delegata alle singole scuole o ad associazioni esterne. Dalla prima proposta di legge del 1975 firmata dall’allora deputato Giorgio Bini intitolata “Iniziative per l’informazione di problemi della sessualità nella scuola statale”, a cui seguì nel 1980 la proposta di Tina Anselmi, “Norme per l’educazione sessuale nelle scuole”, infatti, poco è cambiato. La proposta più recente è stata la n. 1571 del 27 novembre 2023 “Disposizioni per l’introduzione dell’insegnamento dell’educazione affettiva e sessuale nei corsi scolastici del primo e del secondo ciclo di istruzione” presentata da un gruppo di deputati e deputate guidato dall’onorevole Stefania Ascari.

Secondo Restivo, a lasciare l’Italia un passo indietro (non solo rispetto alla Svezia, ma anche ad altri Paesi europei, più avanzati in materia) è l’influenza ancora preponderante della religione cattolica. Mentre in ben diciannove Stati europei l’educazione sessuoaffettiva è già obbligatoria. La adottano: Germania, Francia, Spagna, Paesi Bassi e Finlandia. In Germania, ad esempio, l’educazione sessuale è introdotta già dalla scuola primaria e si concentra su temi come il corpo umano, le emozioni e le relazioni, mentre nella scuola secondaria tratta la contraccezione, le malattie sessualmente trasmissibili e il consenso. Nei Paesi Bassi, invece, i bambini imparano a riconoscere i loro sentimenti, a rispettare gli altri e a parlare di sessualità in modo naturale.

La scuola non basta

Anche la scuola da sola non può tutto. Serve, come riconosce anche Restivo, un ambiente «favorevole e multilivello», ovvero un contesto che rafforzi gli insegnamenti sociali. Parliamo di un impegno che deve riguardare le famiglie, in primis, per poi estendersi a qualsiasi altro attore sociale. Anche le aziende, con le loro campagne interne ed esterne, possono contribuire a creare una nuova narrazione sulla sessualità.

Il libro dell’autrice è, in definitiva, un’utile mappa per orientarsi nel percorso dell’educazione sessuoaffettiva, osservandone da vicino l’impatto sulla società. Un caso studio che dalla Svezia si allarga arrivando all’Italia, nella speranza che conoscenza e informazione possano aiutare a fare un passo avanti su una materia che per troppo tempo è stata valutata con pregiudizio, mettendo in ombra la sua radicale utilità.

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Titolo: “Gli svedesi lo fanno meglio”
Autrice: Flavia Restivo
Casa editrice: Rizzoli, 2025
Prezzo: 16,15 euro

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  • Luciano Leone |

    Gent.mo Direttore,
    ho letto l’interessante recensione al saggio della Dr.ssa Flavia Restivo
    La Dr.ssa Restivo sostiene la strenua necessità di “educazione sessuale e all’affettività” scolastica. Ma ogni intervento di sanità pubblica richiede la verifica della sua efficacia. In Svezia, scrive la Dr.ssa Restivo, “negli anni Trenta veniva promosso l’uso dei contraccettivi e legalizzato l’aborto” e dal 1955 la citata “educazione sessuale e all’affettività” veniva imposta nelle scuole (sottolineo: imposta, il contrario della decantata democrazia): la Dr.ssa Restivo riporta che così sarebbe stato ottenuto una “bassa incidenza di gravidanze adolescenziali. Al contrario Epicentro di Istituto Superiore della Sanità riporta che il tasso di abortività in Svezia è del 18,7% https://www.epicentro.iss.it/ben/2001/aprile/2#:~:text=L'incidenza%20del%20fenomeno%20%C3%A8,%2C9%20per%201%20000).
    e AI Overview addirittura del 20,8% per le donne di età 15-44 anni, comprese quindi le adolescenti.
    https://www.google.com/search?q=tasso+di+abortivit%C3%A0+in+svezia+oggi&oq=tasso+di+abortivit%C3%A0+in+svezia&aqs=chrome.1.69i57j33i160.8044j0j7&sourceid=chrome&ie=UTF-8
    Non si comprende dunque da quali fonti la Dr.ssa Restivo attinga le sue informazioni e il suo ottimismo, come possa dipingere in modo idilliaco i risultati della “educazione sessuale e all’affettività” scolastica.
    In Francia, altra patria dell’educazione sessuale scolastica, il procurato aborto è libero da 50 anni con questi brillanti risultati: 223.300 aborti nel 2021; 234.300 nel 2022; 243.623 nel 202; con un tasso di abortività di 16,8/mille donne in età fertile (nella diseducata Italia il tasso di abortività, anch’esso drammatico, è però meno di un terzo: 5,4/mille donne in età fertile).
    I programmi di “educazione sessuale” scolastica, avviati fin dagli anni Cinquanta in Svezia, Regno Unito, Francia, hanno fallito negli scopi dichiarati di evitare comportamenti asociali, gravidanze indesiderate, procurato aborto, malattie infettive sessualmente trasmesse: tale fallimento è noto da tempo immemorabile, ma viene opportunamente occultato. Essi spesso veicolano soltanto contenuti ideologici su contraccezione, aborto, omosessualità, transessualità, nomadismo sessuale. Espongono i bambini a sessualizzazione precoce, li inducono ad interessarsi alla pornografia, alla quale purtroppo internet offre facile accesso con conseguenze perniciose a qualsiasi età. Pornografia, prostituzione, droga sono poi strettamente collegate: il mercato della pornografia attira e sfrutta, con enormi introiti, giovani uomini e giovani donne che si prostituiscono, anche per accedere alla droga: tanti di questi infelici chiudono la loro triste esistenza col suicidio.
    Nel 2002 la Germania ha legalizzato la prostituzione e da allora si è ridotta a “bordello d’Europa”: la legalizzazione ha prodotto una gigantesca industria del sesso con più di un milione di uomini che ogni giorno frequentano i bordelli e “fanno uso” di quelle povere donne. E’ facile immaginare la ripercussione sociale di una simile deplorevole abitudine inculcata negli uomini. Così se proprio oggi in Europa si assiste all’incremento di varie forme di violenza (dalla predazione sessuale sui minori alla violenza sessuale sino allo stupro, dal bullismo al cyberbullismo, dal mobbing alla induzione al suicidio), la logica dimostra che la violenza deriva ed è incentivata proprio dalla “disponibilità contraccettiva” a causa della quale le donne sembrano essere considerate tutte al pari di prostitute. La Dr.ssa Restivo è infatti costretta ad ammettere si verifica “un alto numero di violenze domestiche contro le donne” che coinvolge addirittura il 30% delle donne svedesi.
    Inoltre anche nell’eventualità che alcuni genitori acconsentissero a delegare alla scuola questo loro precipuo compito, in base alla Legge 1che in Svezia 07/2015 la scuola sarebbe tenuta a propone ai genitori i Progetti Formativi PTOF e POF comprendenti attività d’istituto, integrative, extracurriculari nonché PEC Patto Educativo di Corresponsabilità: il Dirigente Scolastico sarebbe tenuto a sottoporre alla firma dei singoli Genitori tutti e tre questi documenti con esposizione particolareggiata dei progetti. Progetti ai quali la stragrande maggioranza dei Genitori è giustamente, ragionevolmente avversa. L’art.30 della Costituzione stabilisce che “E’ dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire, educare i figli, anche se nati fuori del matrimonio.” E infatti il 70% dei genitori intende occuparsi personalmente delle citate questioni nell’intimità domestica e con la delicatezza necessaria allo sviluppo del singolo bambino/adolescente.

    Dobbiamo anche formulare il quesito: Perché dovremmo affidare noi stessi e i nostri figli a psicologi o ad altre figure estranee? Chi li sceglie? In base a quali requisiti? In base a quali parametri di etica e di morale?
    Quanto costano in termini di tempo impegnato questi fallimentari e controproducenti interventi di “educazione sessuale”? Quali stipendi incassano gli operatori coinvolti? E quanto costano in termini di denaro pubblico?
    Direi proprio che anziché “Gli Svedesi lo fanno meglio”, occorrerebbe scrivere un saggio dal titolo: “Il fallimento della educazione sessuale e all’affettività in Svezia” col sottotitolo: “E’ ora di parlare di rispetto per tutti, di rispetto per il proprio corpo, e di amore vero, anziché di sesso brado”.
    Luciano Leone
    Medico Chirurgo, specialista in Pediatria​
    Comitato ProLife Insieme

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