Manifestazioni in Europa, popoli che tornano in piazza. E in Italia?

Si organizzano dal basso, prendono forma attraverso piccole reti e fanno leva su temi specifici: le proteste in Europa cambiano volto. Come sottolinea il rapporto “Poco tutelato e troppo ostacolato: lo stato del diritto di protesta in 21 stati europei“ di Amnesty International, nonostante il diritto di manifestare pacificamente sia poco tutelato e ostacolato in 21 stati europei, il controllo spesso oppressivo delle autorità statali non ferma le voci delle piazze che si organizzano e cambiano forma: diventano strade, villaggi, marce, gruppi orizzontali di attivismo e divulgazione.

«Quello che emerge dalle nuove ondate di movimenti in Europa è che il ruolo dei movimenti sociali cambia a seconda delle condizioni del sistema politico» spiega ad Alley Oop la sociologa Donatella Della Porta, prima preside della facoltà di Scienze politico sociali e coordinatrice del dottorato in Political science and Sociology alla Scuola Normale Superiore a Firenze, dove dirige il Centre on social movement studies.

Dalle proteste in Serbia contro il presidente Aleksandar Vučić, alle manifestazioni in Grecia per rivendicare la responsabilità politica del tragico scontro ferroviario di Tempe che il 28 febbraio 2023 costò la vita a 57 persone, quello che muove il dissenso – evidenzia Della Porta – è una percezione di insoddisfazione condivisa: «I partiti politici si presentano come estremamente deboli e i movimenti sociali diventano l’unica forma per presentare ragioni di insoddisfazione e insofferenza rispetto ai governi».

Il 4 aprile il consiglio dei ministri italiano ha approvato il decreto sicurezza che sostituisce e supera il Ddl all’esame del Senato, ricalcandone integralmente i 38 articoli: dal reato di «detenzione di materiale con finalità di terrorismo» alle tutele rafforzate per agenti e militari, il provvedimento interviene sul diritto di protesta in Italia che, ostacolato e in linea con quello che sta accadendo in Europa, cambia forma ma non si arresta.

Serbia, gli studenti marciano contro il governo corrotto

Dal 2017, anno in cui il presidente della repubblica Aleksandar Vučić ha vinto le elezioni per la prima volta, la Serbia sembrava essere in stallo: Vučić ha sempre vinto le elezioni, consolidando un sistema di potere difficilissimo da scalfire. Fino al mese scorso, quando il 15 marzo a Belgrado centinaia di migliaia di persone hanno protestato contro il governo serbo: la più grande manifestazione pacifica nella storia del Paese, organizzata dal movimento studentesco, a cui hanno partecipato oltre 300 mila persone riempiendo le piazze della capitale.

Ad accendere la protesta il crollo di una pensilina alla stazione di Novi Sad che, pur essendo stata ristrutturata poco tempo prima, il primo novembre 2024 ha ucciso 15 persone: l’incidente era stato fin da subito considerato emblematico della corruzione diffusa in Serbia. Presto le manifestazioni sono diventate le più ampie proteste antigovernative in Serbia degli ultimi trent’anni.

Partite dalle facoltà universitarie, molte delle quali sono state occupate da novembre, le proteste si sono allargate alle scuole superiori e continuano a coinvolgere il resto della società. Quando non esplicitamente ostile, il racconto delle manifestazioni da parte di diversi media serbi è stato parziale e scarso: per aggirare l’ostacolo e ottenere visibilità pubblica, gli studenti hanno deciso di organizzare marce in tutto il Paese. Si sono organizzati nelle assemblee di decine di facoltà occupate in tutta la Serbia, hanno creato comitati con competenze diverse, programmato i percorsi stabilendo contatti con le amministrazioni e associazioni locali.

Le proteste hanno avuto il loro impatto, sebbene non riescano ancora ad intaccare totalmente il potere di Vučić: a fine gennaio si è dimesso il primo ministro Miloš Vučević, sostituito da  Djuro Macut, un medico privo di esperienza in politica. Intanto, gli studenti hanno mostrato un modo inedito di protestare: «I movimenti di protesta oggi non hanno la forma e le modalità delle rivoluzioni del secolo scorso – spiega la sociologa Della Porta – Ma riescono ad agire strategicamente rispetto alle condizioni politiche attuali, sensibilizzando le persone in modi diversi: le marce degli studenti in Serbia lo dimostrano, hanno marciato nei piccoli villaggi e nelle campagne per spiegare alle persone perché si opponevano al governo e lo consideravano corrotto».

Grecia, le proteste rivendicano giustizia

Anche in Grecia, ad accendere le proteste, è stato un “incidente” che richiama alla responsabilità politica: 57 persone, soprattutto studenti, morirono il 28 febbraio 2023 quando un treno passeggeri si scontrò con un treno merci vicino alla gola di Tempe, nella Grecia centrale. L’incidente ha provocato decine di feriti denunciando le carenze dell’infrastruttura di trasporto del paese. I parenti delle vittime hanno lanciato le proteste di massa, affermando che i politici dovrebbero essere ritenuti responsabili: finora, infatti, solo i funzionari delle ferrovie sono stati accusati di reati e non è stato ancora celebrato alcun processo.

A 2 anni dall’incidente le proteste riprendono vigore e, per il suo anniversario, in Grecia hanno scioperato i lavoratori del settore pubblico e privato: ristoranti, supermercati, teatri e molte altre attività hanno chiuso. Si sono uniti allo sciopero anche avvocati, operatori sanitari e insegnanti. In molte città è stato ridotto il servizio del trasporto pubblico locale per permettere ai manifestanti di raggiungere i cortei. Anche i tassisti hanno espresso solidarietà e partecipato allo sciopero, lavorando solo per offrire corse gratuite ai manifestanti.

La tensione a Piazza Syntagma, nel centro della capitale, è sfociata in un campo di battaglia: molotov e pietre contro gli agenti in tenuta antisommossa fuori dal Parlamento. Granate stordenti e lacrimogeni contro i manifestanti. Come testimonia un sondaggio pubblicato a fine gennaio, la fiducia per il governo è bassissima: più dell’80% delle persone ritiene che non abbia fatto abbastanza per fare luce sulle cause del disastro.

«Le mobilizzazioni molto forti e radicate, sia in Serbia che in Turchia, rifiutano la visione di presunte catastrofi come eventi naturali o casuali – sottolinea Della Porta- Si individuano invece delle responsabilità politiche. È questo che porta le persone a manifestare: un’insofferenza e insoddisfazione profonda rispetto alla classe dirigente che si percepisce come corrotta e ingiusta».

Gli obiettivi comuni guidano l’organizzazione delle proteste, che arrivano sempre più dal basso: «Sono guidate da attori sociali poco organizzati, con una struttura semplice: gli studenti in Serbia, i genitori delle vittime in Grecia – aggiunge Delle Porta – Le proteste si organizzano dal basso, in reazione a quello che viene definito un fallimento dello Stato. Sia in Grecia che in Serbia si è parlato di “failed state” (stato fallito): il fallimento dello stato non solo in relazione a problemi specifici, come ad esempio i tagli al welfare, ma riguardo la sua reputazione considerata corrotta».

Dall’Ungheria alla Romania, i manifestanti pro-Ue protestano contro i leader filorussi

I cittadini chiedono di più ai loro leader e hanno a cuore il futuro del loro paese. Difenderne le sorti dall’autoritarismo, esprimendo opposizione e dissenso al sentimento nazionalista e antieuropeo, è quello che ha portato lo scorso mese centinaia di migliaia di persone a scendere tra le strade di Bucarest e Budapest. L’obiettivo, pur in due manifestazioni separate, è lo stesso: manifestare contro i leader con posizioni vicine alla Russia.

Budapest on April 13, 2025. (Attila KISBENEDEK / AFP)

Se in Ungheria almeno 50mila persone hanno marciato per chiedere la fine del governo di Viktor Orban, in carica da 15 anni e considerato il più stretto alleato di Vladimir Putin tra i leader dell’Unione europea, e il partito Tisza porta in piazza il popolo che vuole ascoltare per fissare le priorità del Paese (13 aprile a Budapest); in Romania migliaia di persone sono scese in piazza a Bucarest per una manifestazione a favore dell’Unione europea e per ribadire l’appoggio all’esclusione di Georgescu dalle prossime elezioni, politico accusato di presunti legami con la Russia e arrestato nei giorni scorsi.

Secondo quanto riportato da Agerpres, agenzia di stampa nazionale della Romania, la manifestazione sarebbe stata organizzata dal gruppo pro-Ue “Euromanifest” e dall’associazione “Declic, resistance and corruption kills” con l’obiettivo di essere un incontro pacifico e solidale per il rispetto dei valori europei.

Anche in Georgia il popolo vuole l’Unione europea. A Tbilisi, nella capitale georgiana, nonostante gli arresti e gli attacchi fisici contro attivisti e figure dell’opposizione, i manifestanti si sono radunati davanti alla sede del Parlamento: cantano e bloccano le strade per protestare contro la sospensione dei colloqui di adesione all’Ue. A ottobre 2024 il partito Sogno Georgiano, che governa il Paese da ormai 12 anni, ha vinto le elezioni legislative ottenendo quasi 54% dei voti. La coalizione d’opposizione filoeuropea, composta da quattro partiti e guidata dalla presidente della Repubblica, Salome Zourabichvili, si è fermata al 37% circa dei consensi. Zourabichvili ha dichiarato che il paese è stato vittima di una «operazione speciale russa», finalizzata a distogliere la repubblica caucasica dal suo percorso di avvicinamento all’Europa.

«La percezione dei leader come violenti, unita a rivendicazioni di tipo sociale, economico e politico, guida le proteste: il timore non riguarda solo la svolta autoritaria dei singoli Paesi, ma anche la rinuncia ai principi fondamentali della democrazia» fa notare ad Alley Oop Della Porta, esperta di movimenti sociali. E questo avviene anche fuori dall’Europa, dove la democrazia rischia di vacillare in provvedimenti che minano i diritti: «Anche negli Stati Uniti c’è un’organizzazione molto orizzontale e comunitaria nei piccoli luoghi, con rivendicazioni diverse da un posto all’altro che tuttavia riescono a mettere richieste diverse: quelle delle persone licenziate da Trump e Musk, quelle degli studenti sui temi della Palestina, le rivendicazioni da parte delle associazioni per la protezione dell’ambiente o quelle dei sindacati per i diritti del lavoro».

Contro il razzismo, si mobilitano le proteste da Parigi ad Amsterdam

Place de la Republique in Paris April 12, 2025 REUTERS/Stephanie Lecocq

Non solo per manifestare il proprio dissenso. Ma anche per chiedere di ampliare i diritti.  In concomitanza con la Giornata internazionale per l’eliminazione della discriminazione razziale, osservata ogni anno il 21 marzo dalla sua dichiarazione del 1966 da parte delle Nazioni Unite, più di diecimila persone si sono riunite sabato in Piazza Dam, nella capitale olandese Amsterdam, per partecipare a una massiccia protesta contro il razzismo, il fascismo e le politiche di estrema destra.

Lo stesso è accaduto in Francia: in un centinaio di città – da Parigi, Marsiglia a Rennes – diversi cortei antirazzisti, organizzati da centinaia di sindacati e associazioni locali e nazionali, hanno contestato l’estrema destra e anche il governo del presidente Emmanuel Macron. Nella capitale francese sono state dispiegate unità antisommossa per mantenere la pace e sedare i disordini: i manifestanti hanno espresso il loro rifiuto nei confronti dei partiti di estrema destra, in un contesto politico nazionale in cui  il governo si è recentemente impegnato a reprimere l’immigrazione e a rafforzare i controlli alle frontiere. Per l’ong Ligue des Droits de l’Homme, gli episodi di razzismo sono in aumento allarmante in Francia. Sia qui che in Olanda, moltissime bandiere palestinesi hanno accompagnato le proteste.

Diritto di protesta e spirito critico, qual è la situazione in Italia

Se in tutta Europa le proteste cambiano volto ma non perdono vigore, cosa accade in Italia? «Lo spirito di critica e protesta continua a esistere – afferma Della Porta – ma non si è catalizzata in momenti intensi di creazione di reticoli, come è accaduto in Serbia o in Grecia».

Nel nostro Paese sono soprattutto i temi specifici a riunire le persone: «C’è una rinascita di rivendicazioni riguardo i conflitti sul lavoro, soprattutto riguardo i lavoratori con background migratorio nel settore logistico» fa notare la sociologa, che aggiunge: «Il caso dello sciopero dei lavoratori di Mondo Convenienza per chiedere turni meno duri e stipendi più alti è un esempio. Ma pensiamo anche al licenziamento dei dipendenti della Gkn Driveline Firenze, che da quasi quattro anni tiene con il fiato sospeso centinaia di lavoratori, le loro famiglie e un’intera comunità».

Il 9 luglio di 4 anni fa, senza preavviso, il fondo Melrose che la controllava Gkn ha inviato una mail di licenziamento ai 422 dipendenti della fabbrica. Il giorno stesso è iniziata la più lunga assemblea permanente nella storia sindacale italiana: è ancora in corso. Il 18 settembre dello stesso anno 40mila persone hanno sfilato a Firenze per chiedere il ritiro del licenziamento. Il tribunale di Firenze ha annullato la procedura di licenziamento per condotta antisindacale. Ma i licenziamenti sono rinviati, non cancellati. Anche in questo caso, l’organizzazione delle proteste a riguardo parte dal basso e si muove in modalità inedite. Il Collettivo di Fabbrica, dal 4 al 6 aprile, ha organizzato la terza edizione del Festival di Letteratura Working Class trasformando il piazzale di fronte alla fabbrica, sede del presidio permanente, in una grande piazza per intrecciare esperienze e sguardi diversi su forme e significati della lotta operaia.

Lo stesso accade su altri temi e servizi per fornire una risposta alle carenze dello Stato: «Già dai tempi della pandemia, facendo ricerca, abbiano notato che si creano reticoli di autoproduzione di servizi – spiega Della Porta – Per esempio, nel caso della salute, si stanno creando gruppi che si richiamano ai concetti di medicina democratica e alle proposte di salute pubblica, radicata sul territorio, che riprendono azioni e pensieri degli anni ‘70 già elaborati dal medico Giulio Mattacaro»

La ritualità delle manifestazioni assume un significato politico

In Italia la ritualità di alcune manifestazioni sta assumendo un significato politico importante: «L’8 marzo e il 25 novembre, attorno al movimento Non una di meno, ci sono state in tutta Italia manifestazioni di parecchie centinaia di migliaia di persone – sottolinea Della Porta – Non sono sporadiche ma distribuite in tutto il paese. Le proteste lottano contro i femminicidi ma, allo stesso tempo, portano alla luce anche altri temi intersecati».

Manifestazione Friday for Future – Roma 11 Aprile 2025 (Cecilia Fabiano/LaPresse)

Sono periodiche anche le manifestazioni per Gaza che, afferma Della Porta, «sottolineano la violazione dei diritti umani in Palestina». L’intreccio di tematiche unisce piazze diverse: «Ad esempio, Non una di meno parla anche di precarietà sul lavoro e Palestina». Per far sì che le proteste si consolidino, nell’analisi dei movimenti sociali, si parla di “momenti di opportunità”: «Possono essere le elezioni, durante cui i movimenti sociali acquisiscono maggiormente la capacità di influenzare le dinamiche della competizione elettorale – spiega Della Porta – Ma questo ora si verifica poco: primeggia la percezione di grave minaccia. Non di opportunità».

Come nel resto di Europa, anche in Italia le giovani generazioni hanno un ruolo di primo piano nel coltivare la capacità di dissentire, con una specificità: «C’è un’importante e inaspettata diversificazione di genere nella dimensione generazionale delle proteste: le donne hanno posizioni molto più progressiste rispetto agli uomini, con differenze anche di 20 punti percentuali su molti temi – sottolinea Della Porta – Un gap che potrebbe consolidarsi anche nelle proteste perché, se è vero che nascono soprattutto nelle università, è qui che i giovani vengono socializzati e mettono a frutto valori e credenze».

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  • Giancarla Ceppi |

    Non è vero che in Italia si muovono solo per il calcio . Sono in corso lotte specialmente dei giovani . Aprite gli occhi o voi che dormite almeno per vedere le persono ‘sveglie’

  • Donato |

    Buonasera, in Italia si muovono solo per il calcio e per l’ultimo cellulare e a Roma fanno quello che vogliono vale a dire come fregarci meglio per ogni cosa. Italiani brava gente? No!!!!! Italiani pecoroni.

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