Burlesque e sorellanza: il progetto Le Fanfarlo porta sul palco il potere delle donne

Foto di Guido Maria Ratti

Pratica femminista, teatro, strumento di empowerment, spettacolo, lavoro sul proprio corpo e sulla consapevolezza. Corpi femminili che da oggetti diventano soggetti, strumenti d’arte e divertimento per le donne prima di tutto, mezzo di affermazione di sé, in tutta la propria femminilità. Ci si diverte, e tanto, a vedere uno spettacolo di burlesque targato Le Fanfarlo: ci si sorprende, si partecipa, si ammirano le performer e – soprattutto – appena il palco si anima, ci si sente parte di quel tutto, con un senso di leggerezza e unione che aiuta a spogliarsi da stereotipi, preconcetti e pregiudizi. Quelli sui corpi, quelli sul burlesque, quelli sulle donne. Quelli su di noi, tutte e tutti.

Arte e attivismo alle radici del progetto

A raccontare le origini del progetto Le Fanfarlo (sottotitolo: “Abbiamo un cervello e un reggicalze. E non abbiamo paura di usarli. Entrambi”) è la “mamma” da cui tutto è nato, Lisa Dalla Via, oggi direttrice artistica e insegnante di burlesque. Ha studiato psicologia a Padova, da sempre attivista femminista, dopo anni di teatro, teatro di ricerca e teatro-danza è approdata al burlesque, con il primo spettacolo che risale al 2006.

«Ho sempre lavorato con il corpo e sul corpo – racconta – e la narrazione che viene fatta sul corpo delle donne è, da sempre, pesante. E’ un corpo sotto la lente, che deve essere eternamente giovane, eternamente longilineo, che deve rispondere a determinati standard senza cambiare nel tempo. Se pensiamo a quanto sia importante il corpo nella costruzione della propria identità capiamo quale peso si portino le donne sulle spalle».

Da questa riflessione, ma non solo, dalle riflessioni nate nell’attivismo sociale («volevamo cambiare il mondo, eravamo a Genova al G8, quello ha segnato un prima e un dopo») nel 2017 dopo una lunga gestazione è nato il progetto Le Fanfarlo. Grazie all’incontro con altre compagne di viaggio che hanno creduto al progetto ha fondato l’associazione, che inizialmente ha coinvolto circa quindici donne («ora siamo una cinquantina»), in una realtà che unisce dimensione artistica e attivismo femminista, in ottica di empowerment e consapevolezza femminile. Oggi c’è un decalogo che ne racconta il cuore e la dimensione valoriale e che va oltre il palco, perché «non è che dimentichi tutto, una volta che esci da qui».

Nessun limite di età, forme e misure per diventare performer

A Fanfarlo Burlesque Academy a Milano arrivano donne di tutti i tipi: non serve essere femministe, non è necessario avere alcuna caratteristica fisica particolare, né ci sono limiti di età. «Il burlesque non è un’arte codificata – spiega Lisa Dalla Via – e questo le consente di essere un’arte dalle maglie larghe, che non ha richieste specifiche rispetto al corpo». Non ci sono, quindi, limità di età, di forme e di misure. Le donne che arrivano, «sono donne che cercano un livello di consapevolezza – dice ancora Lisa Dalla Via – e se io riesco a contribuire al cambiamento di percezione che una donna ha di sé è una goccia nel mare, ma una goccia che si allarga e si espande».

Parlando di età diverse e delle diverse generazioni, Lisa sottolinea come le ragazze più giovani mostrino una maggiore consapevolezza di sé e del proprio corpo, anche se «non è detto che la dimensione intellettuale corrisponda sempre a una dimensione emotiva. Voglio dire – spiega – che spesso vedo che a parole le ragazze dicono di essere convinte e certe che tutti i corpi siano validi e conformi, ma quando lo sperimentano concretamente, nella realtà, vivono altro».

Per questo conta così tanto la rappresentazione del corpo: «Nessuno conosce la storia dietro a un corpo, neanche quello più conforme. Probabilmente non è mai cosi pacifica come pensiamo neanche in quei casi. Vedere sul palco corpi così diversi fa capire il senso: la rappresentazione è improtante, finché tu non ti vedi rappresentata, non pensi di esistere».

Corpi potenti e liberati

Nella scuola di burlesque c’è una didattica che si basa su 4 anni di formazione, con un lavoro differenziato a seconda dei gruppi che si vengono a formare di volta in volta. Non è solo un lavoro di tipo tecnico in cui si imparano i passi di danza, ma c’è anche un’ampia parte di lavoro su di sé, su cosa piace e non piace, su esercizi di improvvisazione mutuati dal teatro, tutto nella direzione della scoperta e dell’accettazione di sè.

Fondamentale, racconta Lisa Dalla Via, il lavoro di gruppo, che permette la condivisione e il rispecchiamento delle proprie insicurezze e sofferenze rispetto al corpo, così come il sostegno reciproco. «Vedere magari piangere una donna, una ragazza dal corpo assolutamente conforme secondo i canoni estetici attuali dominanti – e accade spesso – fa capire quanto la pressione subìta sia forte, per tutte».

E a livello generazionale, se è vero che «le ragazze più giovani hanno maggiori consapevolezze, le più grandi magari hanno trovato gli strumenti per andare oltre, nel profondo. Nei gruppi si crea una dimensione intergenerazioneale molto bella». Il corpo, quindi, è al centro: un corpo che non subisce, che rivendica il suo diritto a esserci, «un corpo potente e liberato, non è una strada lineare e in discesa, diversa per ognuna, ma è una strada di liberazione».

Elisa e l’orgoglio di essere se stessa

«Erano anni che sognavo di fare burlesque, ma erano anni che mi autocensuravo. Vengo da una famiglia molto tradizionalista, dove ‘va bene tutto, ma spogliarsi proprio no’ e poi ‘ma dove vuoi andare che sei grassa’, per cui il desiderio è rimasto sepolto molto a lungo». Elisa, nome d’arte Bernarda Jones, è emozionata quando racconta quanto le è costato provare a realizzare il suo sogno e arrivare a essere parte delle Fanfarlo. La voce più critica, racconta, era la sua, che le diceva che mostrare il suo corpo in pubblico, su un palco, non era pensabile («chissà cosa direbbe la gente!»).

Trovare Le Fanfarlo, dice, ha significato incontrare «uno strumento di empowerment, un luogo di sorellanza, di unione e di condivisione, nonostante ci abbia messo un anno a decidermi a iniziare le lezioni, da quando per la prima volta ho sentito parlare della scuola».  Le resistenze erano tante, ma il decalogo letto online e l’insistenza sull’inclusione e sulla conformità di ogni corpo hanno fatto la loro parte: «Mi ero detta che avrei fatto il corso e mai mi sarei esibita, volevo recuperare un po’ della mia femminilità ma per me stessa, soprattutto dopo il periodo del Covid, mai avrei pensato di mostrarmi su un palco…».

Foto di Fiorella Brambilla

Elisa oggi è una performer di burlesque ed è ambassador di Ace contro le parole di odio. Porta come esempio la sua esperienza personale, la sua storia, «donando la voce a chi ha il timore di farlo in prima persona e mostrando un corpo anticonforme per cercare di normalizzare le diversità fisiche», racconta. Certo, lavorare sul proprio corpo resta difficile, «si impara a conoscere i propri limiti e le proprie difficoltà, si impara a gestirli e a raggiungere comunque il risultato. La cosa più difficile – aggiunge – è continuare sempre a lavorare su me stessa e guardarmi allo specchio senza disgustarmi, è un concetto forte ma è la verità, figlia dei nostri pregiudizi e della società in cui siamo cresciute e viviamo».

Il dono più prezioso? La sorellanza: «Quando c’è uno show ti rendi conto di quanto intimamente siamo unite, nonostante siamo persone completamente diverse tra loro e che magari non si conoscono neanche tanto, perché frequentano in giorni diversi o orari diversi». Il clima dietro le quinte, racconta Bernarda Jones, è sempre di grande collaborazione e sostegno reciproco, «perché andiamo in crisi, c’è sempre qualcuna che va in crisi ma c’è sempre qualcuna disposta ad aiutare, che sia con un abbraccio o che sia col trucco o solo controllare che il costume di scena sia a posto e non ci sia il rossetto sui denti!!». Piccoli gesti, ma che fanno sentire l’appartenenza e il sostegno.

E a proposito dei costumi di scena, sono uno tra gli aspetti che colpisce quando si va a vedere uno show delle Fanfarlo. «I costumi li facciamo noi e sono meravigliosi – racconta ridendo Lisa Dalla Via – perché la dimensione manuale è fondamentale, all’interno del corso ci sono alcune ore dedicate, in cui partiamo da reggiseni e indumenti normali e li customizziamo con materiali di recupero e strass, è un modo di sviluppare manualità e creatività… e una ragazza che era entrata a fare il corso di burlesque era talmente brava che ora è diventata insegnante di customizzazioni!». L’idea, quindi, è quella di un progetto che muta e cresce a seconda di chi ne fa parte, sulla base di quei valori condivisi da cui è nato.

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