
Seoul, South Korea, on January 22, 2025 (Photo by Chris Jung/NurPhoto)
Yoon Suk-Yeol passerà alla storia come il primo presidente della Corea del Sud ad affrontare un’accusa di insurrezione. Oggi rischia l’ergastolo, finanche la pena di morte, un’ipotesi prevista sulla carta ma molto improbabile se si guarda alla serie storica degli ultimi decenni.
È questo l’ultimo tassello di una tortuosa vicenda politica iniziata a dicembre – ma covata nei mesi precedenti – che ha portato a un tentato golpe, a un’imposizione-lampo della legge marziale fino all’accusa d’impeachment e di insurrezione per il presidente.
L’imposizione della legge marziale è durata solo sei ore e non ha lasciato vittime ma ha evocato ricordi dolorosi per il Paese. In particolare, le proteste del 1980: 45 anni fa infatti la legge marziale venne estesa per fermare le manifestazioni del movimento studentesco che chiedeva riforme democratiche.
Proprio negli anni ’80, a seguito della transizione verso la democrazia, la Corea ha premuto l’acceleratore sulla sua politica in materia d’istruzione gettando le basi, sì, per la notevole crescita industriale dei decenni successivi ma anche di una società iper-competitiva, perfezionista ma ancora tradizionalista e di stampo patriarcale.
La disuguaglianza di genere sistemica ha creato terreno fertile per l’attecchimento di un movimento di totale rifiuto degli uomini, il cosiddetto 4b movement o Four nos del femminismo radicale.
Il blitz del presidente
A Seul è in corso il processo contro Yoon Suk Yeol. Nel dicembre scorso, con un annuncio senza precedenti, l’ex presidente ha provato a invocare la legge marziale e accusato l’opposizione del Partito democratico di paralizzare le attività del governo. L’esercito ha quindi annunciato lo stop a tutte le attività parlamentari e cercato di imporre un controllo sui media. Nel giro di poco però 190 parlamentari riuniti – tra cui alcuni del partito del presidente – hanno votato all’unanimità per bloccare l’ordine e poche ore dopo Yoon ha fatto marcia indietro.
Arrestato il 15 gennaio, Yoon e i suoi avvocati hanno sostenuto, nel processo per impeachment, che il presidente non ha mai avuto effettivamente intenzione di imporre la legge marziale. Le misure erano intese solo come un “avvertimento” per rompere lo stallo politico.
Nei giorni più critici che hanno preceduto il golpe, infatti, il leader politico si trovava in difficoltà su più fronti: per la legge di bilancio, le accuse di corruzione e con diversi ministri del suo gabinetto sotto inchiesta. Come ricostruisce per Alley Oop Raffaella Gallo, italiana che vive a Seul e fondatrice di Artcaffè: «La presidenza di Yoon soffriva di un gradimento bassissimo tra la popolazione. Lo stesso presidente è stato coinvolto in scandali, ma nessuno si immaginava questa mossa da parte sua. Non solo tra noi expat, ma anche tra i coreani».
E adesso?
Yoon sta ora affrontando due processi: uno per il caso di impeachment presso la Corte costituzionale del Paese, che determinerà il suo destino politico – probabilmente entro la primavera – e deciderà se sarà formalmente rimosso dalla presidenza o reintegrato. Il secondo per il reato di insurrezione.
Quest’ultima è una delle poche accuse penali per cui un presidente sudcoreano non gode di immunità. L’accusa è punibile con l’ergastolo o, addirittura, la pena morte. Un’ipotesi estrema, però, e altamente improbabile, dato che il Paese non fa esecuzioni da decenni.
Parallelamente al processo penale, la Corte costituzionale ha tempo fino a giugno per decidere se destituirlo formalmente dall’incarico o ripristinare i suoi poteri. Se verrà rimosso, le elezioni presidenziali si terranno entro 60 giorni, probabilmente all’inizio di maggio.
«Dal punto di vista politico è stato un momento di caos ma non ci siamo mai sentiti in pericolo. Lontano dalla zona dei palazzi del potere non abbiamo subito nessun blocco. Uno degli effetti più visibili di questa situazione nei giorni successivi è stata la discesa del won ai minimi» spiega Gallo.
L’imposizione della legge marziale è durata, come si diceva, solo sei ore ma ha fatto riaffiorare alla memoria la rivolta del 1980.
A tutta scuola
Proprio negli anni ’80, però, la Corea del Sud, ha premuto l’acceleratore sulla sua politica in materia d’istruzione. Una scelta, accompagnata da investimenti pubblici nel settore, che ha portato a un forte aumento di lavoratori con una istruzione terziaria. Un capitale umano preziosissimo che ha contribuito a promuovere la crescita industriale della nazione.
L’abbondante offerta di forza lavoro ben istruita ha infatti permesso alla Corea del Sud di migliorare la competitività delle sue aziende, facendo crescere il Paese a un tasso medio annuo del 7,6% tra il 1965 e il 2015.
Le limitate risorse finanziarie nazionali per l’istruzione sono state supportate da aiuti esteri e assistenza tecnica. Dal 1959 al 1999, il 4,6% dei prestiti pubblici è stato destinato al capitale umano in settori quali istruzione, r&s e assistenza sanitaria.
Oggi la Corea del Sud è una super-potenza culturale: dalla musica con il k-pop alla letteratura, con il premio Nobel per la letteratura conferito a Han Kang nel 2024. Fino ai prodotti audiovisivi con il successo della serie tv Squidgame e del film Parasite.
Seul, inoltre, è un forte polo d’attrazione per l’arte. Come dice Gallo, ex consulente strategica oggi impegnata nella divulgazione artistica: è «la Mecca per gli appassionati». Proprio nella capitale l’esperta ha portato gli appuntamenti di Artcaffè, il suo progetto, partito dalla Cina alcuni anni fa, che mira a fare incontrare in modo informale artisti da tutto il mondo e pubblico riunendoli nello spazio conviviale di casa. «Oggi siamo una comunità diffusa, abbiamo toccato tutti e continenti e ospitato persone da 70 Paesi nel mondo».
Una crisi silenziosa
Dietro una grande attenzione all’istruzione e una scena culturale vibrante, si nasconde però una società iper-competitiva che lascia dietro di sé stress e depressione e il timore costante di “restare indietro”.

(Photo by Chris Jung / NurPhoto / NurPhoto via AFP)
La competizione inizia fin da piccoli, a scuola, racconta Gallo. Da grandi il successo è misurato con un mix di status symbol e tappe della vita imprescindibili (ad esempio, laurearsi, ancora meglio se in una scuola prestigiosa; lavorare, ma ambire a una posizione in un grande conglomerato, etc). Insomma, eccellere in ogni campo.
Cercare di soddisfare tutte queste richieste però è molto stressante.
7 persone su 10, racconta il Korea Herald, hanno affrontato gravi problemi di salute mentale, stress e depressione, l’anno scorso, secondo i dati del National Center for Mental Health. I tassi di malessere sono in crescita: il numero di persone che ha dichiarato di affrontare uno “stress estremo” nel 2023 è salito a 46,3%, rispetto al 36% del 2022; mentre il 40,2% è alle prese con una “depressione ricorrente”.
Nel World Happiness Report 2024, la Corea del Sud si è classificata al 52° posto su 143 paesi esaminati. Il settimo valore più basso tra i Paesi dell’Ocse. Il Paese, inoltre, registra il quarto tasso di suicidio più alto al mondo, secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, e il più alto tra gli stati membri dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico.
4 volte no
La pressione sulle donne è ancora maggiore. A loro è anche richiesto di essere sempre gradevoli e impeccabili; di aderire a ruoli di genere tradizionali e occuparsi, non solo del lavoro fuori casa, ma anche della maggior parte di quello domestico. Il divario retributivo di genere, poi, è marcato: le donne coreane guadagnano infatti 68,8 centesimi di dollaro rispetto agli uomini, secondo i dati del 2022.
La bellezza è un mito a cui ambire, al punto che il Paese è noto non solo per le su elaborate routine di skincare in più fasi ma anche per il largo accesso alla chirurgia estetica.
A gravare sulla condizione femminile c’è poi l’acuirsi della violenza di genere e la sua deriva online con atti di cyberbullismo, stalking e molestie.
In un contesto di persistente disparità – dove le donne sudcoreane fanno 3,5 volte più lavoro domestico a settimana rispetto agli uomini – ruoli di genere radicati e rigidi standard di bellezza, alcune donne hanno scelto di adottare uno stile di vita radicale: cioè, senza gli uomini.
Si è diffuso così il movimento 4b.
Nella lingua coreana il termine bi (B) significa “no”. 4B quindi è un’espressione che sta per quattro “no”: niente appuntamenti, sesso, matrimonio o figli. Un modo per rifiutare le aspettative della società patriarcale da parte di donne sempre più istruite e con una buona posizione sociale. Ma può essere davvero questa la soluzione per cambiare la società?
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