Fatti di cronaca, fenomeni e reati legati alla violenza di genere arrivano sui social e nei format di serie tv con parole sempre nuove. Questo accade principalmente attraverso neologismi di natura anglosassone, proprio perché nati online o per la loro viralità mediatica come il deepfake o il sextorsion, o termini legati alla sessualità come intersex o gender. Parliamo di online gender based violence e di un nuovo vocabolario che serve ad identificare nuovi crimini da contrastare.
Le nuove parole sono fondamentali nel comprendere cosa è tendenza, urgenza sociale o movimento collettivo. Molti hashtag femministi, ad esempio, hanno rappresentano rivoluzioni e possibilità di espressione. Non solo #MeToo ma anche #SayHerName – frutto di un’indagine condotta dall’african american policy forum sulle violenze compiute dalla polizia verso le donne di colore – o il più recente #WhyIStayed – usato dalle vittime di violenza per raccontare le loro storie, sentirsi capite e spiegare perché non hanno denunciato.
Le parole non rintracciano però solo azioni, ma anche risposte sociali che ci aiutano a misurare la percezione della violenza di genere, oggetto di attente analisi da diversi anni: l’Istat, in collaborazione con il DPO (Dipartimento delle Pari Opportunità), osserva dal 2020 la violenza di genere veicolata online tramite X, Facebook e Instagram, in linea con la UN WOMEN e il concetto di Technology Facilitated Gender Based Violence (TFGBV). I dati, aggiornati a dicembre del 2024, analizzano il sentiment e l’emotion delle interazioni generate per monitorare nuove forme di violenza online, stereotipi e linguaggi.
Analisi dei big data: i temi della violenza di genere
Attraverso la metodologia del topic modelling, il report Istat prende in esame i principali temi e le reazioni relativi alle piattaforme sopracitate. Ad oggi, il tema della denuncia è prevalente su Facebook mentre Instagram vede una maggiore attenzione sul femminicidio, sulla violenza psicologica, il bodyshaming e i casi di discriminazione sportiva. Sulla piattaforma X si riscontrano connessioni rispetto ai casi di femminicidio registrati in Italia nel corso del 2023 e 2024. Dal report: “I topic riportano parole come insegnare, patriarcato, misoginia, domestica, a sottolineare come il dibattito si concentri sulla necessità di intervenire sul piano culturale”.
Quanto tempo passiamo sui social
Gli ultimi dati del 2024 (Statista, 2024), indicano un utilizzo giornaliero dei social di circa 143 minuti al giorno (e una totalità di 6 ore e 40 minuti sul web). Cogliere i segnali legati al linguaggio online vuol dire apprendere importanti codici di comportamento. Il 47,7% di utenti italiani usa i social per informarsi su nuove storie e i termini più ricercati riflettono modalità da cui non possiamo prescindere, soprattutto se veicolati da algoritmi che “addestrano” la nostra attenzione, o se legati a contenuti con titoli clickbait volti a confondere l’opinione pubblica.
Sexual violence e la censura delle parole chiave su TikTok
Fino all’anno scorso TikTok registrava il tempo maggiore di permanenza degli utenti mensile con 32 ore e 12 minuti. Nel maggio 2024, TikTok ha aggiornato le proprie linee guida della comunità, includendo una sezione dettagliata sui contenuti sessuali e sull‘educazione sessuale. Secondo lo studio Off limits: Sexual violence on TikTok (2024) condotto dall’ente internazione no profit ISD (The Institute for Strategic Dialogue), sussistono due risultati contradditori: una potenziale restrizione delle conversazioni legittime sulla violenza sessuale e un’insufficiente considerazione delle parole chiave legate alla violenza sessuale.
Un primo passo importante per colmare queste lacune potrebbe essere quello di ripartire in pari misura le risorse linguistiche, per garantire un accesso equo al sostegno e alle informazioni. Dal report, si registra un numero sproporzionato di moderatori in lingua inglese (2334) rispetto alle altre lingue (es. francese: 650, tedesco: 837 e ungherese: 47). L’assetto culturale socio-linguistico influisce, secondo l’ente, sulle decisioni prese in termini di autorizzazioni sui contenuti veicolati.
Inoltre, la decisione di TikTok di bloccare completamente i termini associati alla violenza sessuale, come ad esempio “stupro”, costituisce secondo l’organizzazione un limite eccessivo: i creator di contenuti sull’educazione sessuale e attivisti di genere hanno riferito che “TikTok sta rimuovendo contenuti legati al genere e alla giustizia sociale, e che la mancanza di trasparenza riguardo le linee guida violate su TikTok hanno ostacolato la loro capacità di comprenderle e quindi ricorrere in appello contro le sazioni”. Il rischio è quello di censurare ingiustamente creator che fanno dilvugazione sulla violenza di genere.
Baby Reindeer: una nuova narrazione per lo stalking dalle serie tv
Baby Reindeer è la serie britannica Netflix tratta dalla storia vera del comico scozzese Richard Gadd, perseguitato per quasi tre anni da una donna che lo ha reso vittima di stalking. Baby Reindeer è anche il titolo della serie tv più ricercata su Google dagli italiani. Le dinamiche esplicite affrontate all’interno della serie includono anche l’abuso sessuale, mettendo in luce due aspetti fondamentali legati alla violenza: l’aspetto psicologico e l’aspetto legale. Nella serie, infatti, viene messo in luce il valore legale della copia forense di prove digitali.
L’autore Gadd ha ricevuto nella vita reale migliaia di messaggi ed è entrato in contatto con diversi account Facebook falsi. La creazione di account falsi con finalità di stalking in Italia è regolata dall’art. 612 bis del codice penale ed è quindi considerata reato. La persona a cui Gadd si ispira ha successivamente richiesto milioni di dollari di risarcimento e la verità non è mai stata resa nota, ciò che conta è invece una messa in scena dello stalking più realistica, che asseconda la narrazione della vittima senza via d’uscita e racconta invece la complessità del cyberstalking.
“Intersessuale” e “All eyes on Rafah”: dall’hate speech all’AI activism
Il quarto posto nella categoria “cosa significa” nelle ricerche di Google è occupato dalla parola “intersessuale” associata al caso della pugile algerina Imane Khelif. Accusata di insersessualità o di essere una persona transgender, la pugile ha affrontato con coraggio tutti i tentativi di hate speech arrivando a vincere l’oro alle Olimpiadi di Parigi. Dai commenti online è evidente la confusione del termine intersessuale con il termine transgender.
Il termine intersessuale si riferisce ad un “fenomeno che si manifesta con la coesistenza in uno stesso individuo (intersessuale) di caratteri maschili e femminili più o meno intermedi fra i due”. La parola transgender indica “chi si identifica in modo transitorio o persistente con un genere diverso da quello assegnato alla nascita; anche come agg.: identità transgender” (Treccani).
Diverso è invece il primo posto su Google occupato da “All eyes on Rafah”, una frase pronunciata da Rik Peeperkorn, rappresentante dell’Oms a Gaza e in Cisgiordania, mentre Gaza si preparava ad un’ulteriore invasione di terra da parte di Israele. Considerata come una delle prime opere di attivismo virale creata con intellligenza artificiale, la foto-slogan ha raggiunto oltre 50 milioni di condivisioni creando un forte dibattito.
Il 2024 ha visto protagonisti nuovi studi accademici e/o esplicitamente richiesti all’interno di organi legislativi: il ruolo di “AI Influencer Activism”, ad esempio, è un notevole oggetto di ricerca quando entrano in conflitto concetti di classe o “razza”. E ancora, è in discussione in ruolo dell’AI come arma di repressione, e quale sia il suo impatto sui diritti umani.
Brain Rot: i contenuti inutili (online) che fanno male
Secondo gli esperti dell’Oxford Dictionary, l’ultilizzo del termine “brain rot” è aumentato del 230% tra il 2023 e il 2024 su TikTok in riferimento alle Generazioni Zeta e Alpha. Il primo uso della dicutura brain rot risale al Walden di Henry David Thoreau, indicando la necessità di uno sforzo mentale e intellettuale contro “il marciume del cervello”. Scelta dall’istituzione come parola dell’anno, ci mette in allerta contro le inutili abbuffate digitali.
Tradotto dalla definizione originaria, il termine anglosassone indica: “(n.) presunto deterioramento dello stato mentale o intellettuale di una persona, visto soprattutto come risultato di un consumo eccessivo di materiale (ora in particolare di contenuti online) considerato banale o poco impegnativo”.
Fondamentale è comprendere anche la fluidità dei contenuti, l’alternativa sarebbe disconoscere la nuova materia sociale e voltare le spalle alle nuove generazioni (siamo agli albori della nuova Generazione Beta), non riuscendo a fornire alternative valide quando si riconosce un contenuto disinformativo.
L’algoritmo “For You” di TikTok rappresenta infatti “opportunità (come l’esplorazione dell’identità o l’educazione), ma anche rischi (esposizione a molestie online, standard corporei non realistici e disinformazione). Questi stessi rischi e opportunità guidano spesso la ricerca sulle pratiche genitoriali digitali approfondendo quali siano le nuove best practice di mediazione (Parenting the TikTok algorithm: An algorithm awareness as process approach to online risks and opportunities, ScienceDirect, 2023).
“Rispetto”: un concetto universale in contrasto agli algoritmi
L’Istituto dell’enciclopedia italiana Treccani ha scelto “rispetto” come parola dell’anno 2024, un fatto che prescinde dai media finora discussi, proprio per l’“estrema attualità e rilevanza sociale”. Il rispetto coinvolge tutte le battaglie e i fenomeni culturali rintracciabili negli insights sopra citati: questioni di genere, violenza e cyberviolenza, conflitti internazionali e nuove forme di attivismo, e ancora la manipolazione della realtà attraverso i social media.
L’osservazione delle ricerche del 2024 permette la comprensione di un comportamento, con la possibilità di un’azione correttiva o preventiva. Per esempio, aumentare la propria consapevolezza di fronte ad un contenuto suggerito su TikTok, inserire un tempo di permanenza sui social tramite le impostazioni del telefono, saper riconoscere le nuove forme di violenza e mantenere alta l’attenzione sull’utilizzo attuale e futuro dell’AI in campo educazionale e politico.
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