Era il 2020 quando il World Economic Forum avvisava che entro il 2025, il 50% della forza lavoro mondiale avrebbe avuto bisogno di investire in una riqualificazione professionale per far fronte alla transizione digitale. Lo stesso documento sosteneva che presto le competenze più richieste dal mercato sarebbero state di natura trasversale con, in cima alla lista, pensiero critico e capacità di problem solving. Ora, con il 2025 alle porte, la sensazione è che in termini di formazione e competenze molto ancora resti da fare.
Il nodo delle competenze digitali
Secondo quanto rilevato dall’Istat, l’Italia è 23 esima in Europa per le competenze digitali, circa 10 punti sotto la media. L’Osservatorio sulle Competenze Digitali 2024 realizzato da AICA, Anitec-Assinform, Assintel e Assinter Italia in collaborazione con Talents Venture, sottolinea come meno della metà (46%) degli individui in età lavorativa possegga competenze digitali di base e solo il 22% arrivi a un livello avanzato. Inoltre, nonostante i/le laureati/e con competenze spiccatamente ICT siano in aumento (+9%), risultano ancora insufficienti rispetto alla domanda di mercato. Rappresentano, infatti, appena il 6% di chi possiede una laurea nel nostro Paese. Anche l’offerta formativa di corsi di laurea ICT sembra crescere lentamente: dei 166 nuovi corsi di laurea attivati nell’anno accademico 2024/2025, solo il 16% è incentrato su materie ICT. Non va meglio negli ITS Academy dedicati al digitale: sebbene si registri una netta crescita di chi si iscrive agli ITS in area ICT (+18%), il numero complessivo dei partecipanti a questi percorsi formativi resta esiguo rispetto alle necessità del mercato.
Permane, inoltre, la disparità di genere. «L’Italia è il Paese Ocse in cui il gender gap a 15 anni in matematica è più pronunciato, accompagnato da un forte divario in termini di aspettative professionali che porta le ragazze, anche se molto preparate, ad autoescludersi da determinati percorsi di carriera» denuncia Francesca Borgonovi, head of skills analysis dell’Ocse Centre for Skills. Le scelte di studio e occupazionali delle ragazze, infatti, sono spesso indirizzate dalla società e rischiano di alimentare fratture sempre più profonde nel nuovo mercato del lavoro.
Ne conseguono diverse difficoltà sul mercato del lavoro: per più del 50% delle imprese intervistate da Assintel, l’istruzione universitaria non riesce a soddisfare le esigenze aziendali in termini di competenze digitali formate. «Dovremmo rivedere totalmente il sistema scolastico nazionale, dalla scuola primaria all’Università, ripensando il metodo di orientamento scolastico, ormai obsoleto, incrementando il numero degli ITS e riorganizzando tempi, struttura e numero di percorsi triennali Stem nelle Università. Auspicabile è anche l’apertura delle academy delle grandi aziende ai lavoratori delle imprese più piccole, fornitrici o clienti» sostiene Paola Generali, presidente di Assintel-Confcommercio.
Allenare le competenze soft
Una cosa è certa: quando parliamo di competenze utili per il futuro del lavoro, le hard skills da sole non bastano. Saranno le competenze trasversali, infatti, a essere sempre più richieste, soprattutto nei settori tecnologici e digitali. L’intelligenza artificiale, che tra agosto 2023 e agosto 2024, ha fatto segnare un +73% di presenza negli annunci di lavoro, dovrà essere accompagnata da capacità estremamente “umane” di comprensione e gestione. Le aziende cercano profili completi, capaci non solo di programmare ma anche di gestire attività in contesti multidisciplinari, dimostrando capacità organizzative e di leadership.
«Integrità ed etica saranno le soft skills più ricercate nel nuovo mondo del lavoro. Con la sempre maggiore diffusione dell’intelligenza artificiale, infatti, abbiamo bisogno più che mai di queste competenze personali» – spiega Roberto Verdone, professore ordinario di telecomunicazioni presso l’Università di Bologna, da oltre 15 anni esperto di competenze relazionali. «Osservando le mie classi, mi sono accorto che gli studenti possiedono competenze altissime in ambito tecnico, ma non sempre hanno competenze relazionali. Questo fa sì che anche laureati e laureate con il massimo dei voti, abbiano difficoltà sul mondo del lavoro, sia nei primi colloqui che nelle fasi di carriera più avanzata» chiarisce il professore che dopo aver fondato il progetto SoftSkills4Success, collabora oggi con il programma Restart, finanziato dal ministero dell’Università e della Ricerca, con la missione Education & Training il cui obiettivo è formare una nuova generazione di ingegneri delle telecomunicazioni in grado di affrontare la quarta rivoluzione industriale. I cosiddetti “ingegneri sostenibili”.
Con la consapevolezza che non esistono soft skills universali ma che esse variano a seconda delle professioni, il programma ha mappato ruoli e competenze del settore grazie alla collaborazione di decine di aziende e università. È emerso, così, che la resilienza è una delle skill più importanti per chi ha un ruolo relazionale come il key account manager, mentre per un product manager è fondamentale dotarsi di autodisciplina e di capacità di concentrazione, e così via. «Sono informazioni utili per comprendere su quali aspetti lavorare: le competenze, infatti, sono il frutto di conoscenze, abilità e attitudini, ovvero caratteristiche personali basate su personalità, credo e cultura. Aspetti che – assicura il prof. Verdone – possono essere allenati, riprogrammati e fatti evolvere».
Lifelong learning: la strada da seguire nel 2025
La formazione continua è il punto. Le competenze possedute dalle e dagli italiani, denuncia l’Ocse, tendono a decrescere nel tempo. Già nella fascia 25 e 34 anni, le skills iniziano a perdersi, per poi diventare completamente obsolete, in quanto non rinnovate nel tempo. Il fenomeno è ancora più evidente se confrontiamo il nostro Paese con la Svezia. Qui avviene esattamente il contrario: le competenze medie aumentano tra i 25 e i 34 anni e tendono a rafforzarsi anche nelle persone più adulte. Merito, come sottolinea Borgonovi, del sistema di formazione continua che esiste nel Paese e che sarebbe prioritario riportare anche in Italia, considerando l’invecchiamento della popolazione.
L’Europa tutta, e non solo l’Italia, infatti, è in deficit demografico. Il 33% della forza lavoro è composto da persone over 50, con l’età media del pensionamento che continua a salire oltre i 65 anni. Inoltre, il costo del turnover è significativo: sostituire un dipendente può costare fino a 1,5 volte il suo stipendio annuale e il tempo per coprire una posizione vacante è mediamente di cinque o sei mesi. Per questo, proprio la popolazione over 50 diventa centrale per affrontare la carenza di talenti, purché le competenze siano aggiornate nel tempo. «In un panorama segnato dalla carenza di talenti, legato al più ampio fenomeno dell’inverno demografico, investire nell’aggiornamento professionale dei lavoratori già in azienda significa non solo affrontare il problema della carenza di domanda di lavoro, ma anche cogliere una straordinaria opportunità di crescita» commenta Davide Conforti, managing director di Edflex Italia.
Valorizzare i lavoratori e le lavoratrici significa investire anche sulle soft skills con percorsi di lifelong learning: «Abbiamo elaborato degli algoritmi che consentono di valutare, in una scala da 1 a 7, conoscenze, abilità e anche attitudini, solitamente difficili da misurare. Di conseguenza, possiamo allenarle con percorsi estensivi, distribuiti nel tempo che richiedono un impegno costante» – avverte il prof. Verdone.
Non esistono, del resto, corsi brevi per apprendere l’etica, la resilienza o l’integrità. Quanto piuttosto percorsi senza fine che lavorano sull’adattabilità e sulla crescita personale, prima ancora che professionale. Mettere in panchina l’apprendimento o relegarlo solo ad alcune fasi della vita è, di fatto, il più grande errore che si possa compiere nel nuovo mondo del lavoro.
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