Come stanno le avvocate? Ce lo dice il rapporto Censis-Cassa Forense 2024

L’ottavo Rapporto Censis-Cassa forense 2024, presentato a Roma l’8 maggio, dà un quadro piuttosto chiaro di come stiano le donne nell’Avvocatura. I dati sono stati diffusi sul numero di giugno di CF News: al 31 dicembre gli iscritti alla Cassa sono 236.946; gli uomini sono poco più di 125 mila (52,9%), le donne 111.500 (47,1%).

Il metodo di analisi

L’impostazione è la consueta. Utilizza il flusso di informazioni fornito dall’Ufficio attuariale di Cassa Forense che viene incrociato con i risultati dell’indagine condotta presso gli iscritti e le iscritte. L’approfondimento quest’anno ha puntato il focus sugli studi strutturati, realtà con una configurazione complessa che operano su diversi ambiti dell’area dei servizi legali, adottano una logica di rete e si servono di soluzioni organizzative e innovative sul piano tecnologico.

Al di là degli aspetti sui quali l’Avvocatura dibatte da tempo (monocommittenza, incompatibilità, esclusività dell’attività di avvocato, relazione con altri professionisti, risoluzione alternativa delle controversie), il Rapporto è un’istantanea: redditi, pensioni, situazione professionale, prospettive della professione.

Cancellazioni e iscrizioni da Cassa Forense

Partiamo dai numeri. Con il 2019 si torna indietro e si inverte la rotta: cala la tendenza di quella che era una crescente (e pressoché costante) partecipazione delle donne alla professione. La percentuale di iscritte alla Cassa raggiunge il 48,0%. Dal 2020 al 2023, il trend ha una flessione netta e il dato scende al 47,1%.

Ma se è significativa la presenza delle professioniste di età più giovane (il 57,5% degli iscritti sotto i 34 anni e il 55,3% tra i 35 e i 44 anni è donna), diversamente accade tra i 55 e i 64 anni, fasce nelle quali gli uomini toccano il 59,9%; con la percentuale che sale negli over 65, raggiungendo il 75,3% del totale.

A cercare un aspetto che sul divario di genere è davvero illuminante, bisogna guardare al rapporto tra iscrizioni e cancellazioni. Qui è dove  i numeri aprono uno scenario che conosciamo bene e che conferma quanto si debba ancora fare per ridare alle donne pari opportunità: nel 2023 il saldo è negativo e il decremento interessa soprattutto le avvocate (-1.775).

Su un totale di 8.043 cancellazioni, ben 6.413 riguardavano iscritti con un’esperienza fino a 14 anni, pari al 79,7% del dato complessivo. Inoltre, delle 8.043 cancellazioni, 4.359 hanno coinvolto donne con meno di 15 anni di anzianità, pari al 54,2% del totale.

Non si può ignorare, perciò, che a rinunciare alla professione siano in gran numero le donne. Tra loro abbandonano, in special modo, quante non hanno ancora raggiunto il quindicesimo anno di anzianità.

Tra i motivi non possono non spiccare figli piccoli e lavoro di cura, carichi che gravano ancora interamente sulle mamme e sulle lavoratrici.

Che le cose stiano così, lo confermano anche altre fonti. Si guardi al Rapporto Istat 2023, ad esempio, che proprio sulla distribuzione del carico familiare fotografa, per il 2022, un tasso di occupazione delle donne di età compresa tra 25 e 49 anni con figli di età inferiore ai 6 anni pari a 55,5% (+1,6 punto percentuale rispetto al 2021); a guardare quello delle donne della stessa età ma senza figli, quel tasso sale al 76,6% (+2,7 rispetto al 2021). Ancora, i dati Eurostat, al IV trimestre 2022: per l’Italia l’occupazione delle donne tra i 20 e i 64 anni era del 55 per cento, mentre la media UE stava sul 69,3 per cento.

Una donna su cinque fuoriesce dal mercato del lavoro a seguito della maternità: in generale, la decisione di lasciare il lavoro è determinata per oltre la metà (52 per cento), da esigenze di conciliazione e per il 19 per cento da considerazioni economiche.

Anche il numero di quanti hanno considerato di abbandonare la professione forense nell’ultimo anno è piuttosto alto, tocca il 34,6%. Nemmeno in questo caso, si può pensare che la consapevolezza di un’attività dai costi eccessivi e senza un corrispondente ritorno economico (63,2%) sia la sola causa.

Le differenze geografiche

La questione è anche, certamente, una questione di soldi. Il reddito dell’Avvocatura è un business che sfiora i 10 miliardi di euro, mentre il volume d’affari è attestato sui 14,8 miliardi (+5,6% sull’anno precedente); il reddito medio annuo per avvocato è pari a 44.654 euro.

I dati sui redditi degli avvocati, elaborati da Cassa Forense sulle dichiarazioni 2022, segnalano un incremento del 5,1% del reddito complessivo Irpef intervenuto fra il 2021 e il 2022.

Anche su questo parametro c’è poco da stare allegre.

Qualche luce, in un quadro che come si diceva continua ad offrire molte ombre: l’incremento del reddito medio delle donne, in misura superiore (7,1%) a quello dei colleghi, è certamente positivo ma totalmente insufficiente a colmare l’inaccettabile gap di genere.

E non è diverso se solo si consideri la percezione che gli interessati e le interessate hanno della loro situazione professionale; neanche in questo caso va meglio per le avvocate.

Il 15,4%  ha dichiarato di trovarsi in una situazione positiva, evidenziando un miglioramento nonostante il contesto di crisi, mentre l’1,9% degli avvocati ha riferito di percepire uno stato professionale molto positivo, notevolmente migliorato nel corso dell’ultimo anno.

La differenza tra i generi c’è e resta, perciò, importante:

nel 2024, il 29,5% delle donne afferma di essere in una situazione molto critica, quasi 10 punti percentuali in più rispetto ai colleghi maschi. Il 30,8% delle avvocate dichiara una condizione abbastanza critica, dato che scende al 28,6% per gli uomini.

Agli uomini l’orizzonte, insomma, appare migliore:

il 31,6% degli uomini nel 2024 afferma di essere in una situazione professionale stabile, contro il 25% delle donne; il 17,2% degli uomini ha visto un miglioramento nella sua professione malgrado la crisi, contro il 13,5% delle donne; per il 2,4% degli avvocati la situazione è molto migliorata, contro l’1,3% delle colleghe.

E poi ci sono le differenze geografiche, una cartina al tornasole che rende evidente come, tra tutti e tutte, siano le avvocate a soffrire maggiormente e, tra loro, soprattutto quante professano al Sud.

Si registrano differenze nella condizione professionale percepita dagli avvocati nell’ultimo anno anche guardando alle diverse aree geografiche del territorio.
Afferma infatti di trovarsi in una situazione molto critica il 16,4% del Nord-Ovest, il 17,6% del Nord-Est, il 23,1% del Centro e il 31,7% del Sud e delle Isole . Questo risultato evidenzia un livello di insoddisfazione maggiore nel Meridione, dove quasi il doppio degli avvocati rispetto ai colleghi del Nord segnala una situazione molto critica, caratterizzata da scarsa attività lavorativa e incertezza professionale.

Lo scarto nella media dei redditi lungo tutto lo stivale non è di poco conto:

Fatto 100 il reddito medio nazionale, al Nord il valore risulta del 39,7% superiore, al Centro si riscontra una percentuale superiore dell’11%, al Sud del 39,2% inferiore (tab. 16). In Lombardia il dato sale al 73,8%, in Calabria scende al 49,3%.
Il rimbalzo fra il 2021 e il 2022 appare più sostenuto fra le aree meridionali rispetto al resto del Paese: +7,5% nel Sud e Isole, +9,5% in Calabria.

Una certezza, difficilmente equivocabile, arriva poi dalla lettura incrociata dei dati di genere e di quelli relativi alle classi d’età che rivelano come maggiormente sacrificate siano le professioniste, e tra di loro, le cinquantenni.

Sono più di 30 mila gli euro di differenza fra uomini e donne a scapito di queste ultime, anche se risulta maggiore la crescita del reddito delle avvocate (7,1%) rispetto ai colleghi (4,2%).

Gli incrementi più significativi per le avvocate si rintracciano fra la classe d’età compresa fra i 35 e i 39 anni (11,6%) e nella classe successiva, 40-44 anni (9,1%). Restano sotto la media i redditi delle classi più avanti nell’età, a partire dalle professioniste con un’età fra i 45 e i 49 anni (6,2%).

I protagonisti e le protagoniste dell’indagine non sono unanimi nemmeno quando devono indicare quali siano i fattori in grado di mettere a rischio il ritorno economico della professione: a dare maggiore risalto al ritardo pagamenti è il 40,8% delle avvocate.

Per i colleghi uomini, invece, è colpa degli adempimenti amministrativi e fiscali, dell’eccesso di burocrazia (che percepiscono comunque come meno problematica di quanto non facciano le donne) e della sovrabbondanza di offerta, dell’alto tasso di instabilità normativa, dell’eccessiva durata dei processi e dei costi di accesso alla giustizia.

Al momento della pensione

Il divario economico di genere complessivo è pari a 13.948 euro e si riflette in maniera differenziata tra le varie categorie di pensionamento.

E, infatti, quanto alle pensioni di vecchiaia e di anzianità, il gap a sfavore delle donne avvocato è rispettivamente di 9.280 e 7.293 euro. Si registra, invece, per le pensioni di reversibilità un trend opposto, con uno scarto di 3.425 euro, a sfavore dell’avvocato uomo.

È della passata primavera un convegno tenutosi a Palazzo Madama, per volere di notai, avvocati e commercialisti, che faceva il punto proprio sul tema delle pari opportunità nelle professioni. Francesco Greco, presidente del Consiglio nazionale forense, nel denunciare come alla crescente presenza femminile continui a non corrispondere un peso analogo, né in termini di ruolo né di retribuzione, conclude amareggiato che “per l’avvocatura, la parità è ancora molto lontana, lontanissima”.

Ma ci sono soluzioni?

Se si guarda alla Strategia per la parità di genere 2020-2025, l’UE definisce obiettivi politici e azioni chiave: aumentare la partecipazione delle donne al mondo del lavoro; perseguire la parità di genere nella partecipazione ai diversi settori economici; colmare il divario retributivo e pensionistico; mentre con precipuo riferimento al settore privato, la Strategia nazionale 2021-2026 ponte tra gli obiettivi quello di ridurre il gender pay gap nel settore privato dal 17 al 10 %.

Per tornare al Rapporto, tra i sostegni alla professione gli under 40 chiedono “contributi o convenzioni per la fruizione di asili nido e scuole materne ed iniziative per la conciliazione fra lavoro e famiglia”: sono queste dunque le priorità per avvocati e avvocate e rappresentano il 37,7% delle preferenze.

Sappiamo, con il conforto anche di altre fonti, che le cose stanno nei termini che abbiamo detto.

La considerazione finale dell’indagine Censis-Cassa Forense ci porta, insomma, a ribadire quanto decisive possano essere le politiche di supporto alla conciliazione della vita professionale e familiare. Ma se miriamo a una parità sostanziale tra uomo e donna, tuttavia, dovremmo ormai essere in grado di capire che il passaggio va fatto a monte: è una reale ridistribuzione del carico di cura dentro la famiglia ciò a cui dobbiamo tendere. E quella, sì, è una consapevolezza che una volta raggiunta ci imporrebbe di ripensare l’intero modello sociale che vogliamo.

***

La newsletter di Alley Oop

Ogni venerdì mattina Alley Oop arriva nella tua casella mail con le novità, le storie e le notizie della settimana. Per iscrivervi cliccate qui.

Per scrivere alla redazione di Alley Oop l’indirizzo mail è alleyoop@ilsole24ore.com