Il mondo sta finendo, ci prenderemo l’universo.
Non è il titolo di un film di fantascienza, ma una delle soluzioni proposte dal lungotermismo: una filosofia molto in voga tra le élite dei miliardari statunitensi, in particolare nel mondo tech, che sta facendo discutere. Perché? Ha provato a spiegarlo Irene Doda ne “L’Utopia dei Miliardari. Analisi e critica del lungotermismo”, un libro in cui l’autrice, con sguardo acuto e critico, analizza il fenomeno nei suoi molteplici aspetti, portando alla luce le sfumature e le motivazioni nascoste dietro questa filosofia nascente.
L’assunto di base è piuttosto semplice: le azioni che compiamo oggi – sia noi come individui singoli sia collettivamente, come società – devono essere mosse dall’intenzione di migliorare il futuro a lungo termine di tutta l’umanità. Di primo acchito potrebbe sembrare un proposito nobile, se non fosse che l’umanità di cui si parla è “in potenza”. Cosa significa? Le vite degli esseri umani potenzialmente esistenti in un futuro remoto, contano esattamente quanto quelle delle persone attualmente viventi.
È un po’ come dire: perché cercare di risolvere la fame nel mondo, ora, se si può promettere di trasferire l’umanità su Marte, tra duecentomila anni?
L’arroganza del potere
Come si possono prevedere con certezza le traiettorie di evoluzione dell’umanità, non solo nelle prossime generazioni, ma addirittura nei millenni a venire, quando tutti i segnali che provengono dal pianeta sono allarmanti e spingono a un’azione immediata se vogliamo evitare il tracollo della Terra?
I lungotermisti si pongono con un atteggiamento intellettuale che l’autrice definisce arrogante, quello di chi è convinto di poter controllare il futuro, predirlo attraverso calcoli matematici e poi proporre formule universali per la soluzione di problemi complessi.
Chi sono i miliardari tech, fan del nuovo culto
Uno degli aspetti che desta preoccupazione è l’ambiente in cui questa filosofia si sviluppa, e quelli che riesce a raggiungere. Tra i fan del lungotermismo troviamo ad esempio Elon Musk, fondatore di Future of Life Institute, organizzazione affine ai valori lungotermisti, ad oggi finanziata da oltre 1.500 donatori: il maggiore, citato sul sito, è Vitalik Buterin, il fondatore della criptovaluta Ethereum. E se l’idea di Elon Musk del viaggio spaziale come occasione per colonizzare il sistema solare per rendere l’umanità una specie multiplanetaria è nota, forse è meno conosciuta la donazione di diversi milioni di dollari fatta al Future of Humanity Institute. Cos’è?
“Il Future of humanity institute – racconta il libro – fa parte di un’istituzione culturale molto potente, l’università di Oxford. All’interno della stessa, e con obiettivi molto simili, nel 2018 è nato il Global Priorities Institute. Entrambi i think tank offrono posizioni lavorative, borse di studio e opportunità nel tentativo di allargare la comunità di seguaci dell’ideologia lungotermista. Non mancano esempi analoghi anche nel settore privato, come la fondazione Effective Ventures, a sua volta finanziata da Open Philanthropy, nata dalla partnership tra due enormi organizzazioni: GiveWell e Good ventures. Good ventures è stata fondata nel 2011 da Dustin Moskovitz, cofondatore di Facebook, insieme a sua moglie Cari Tuna“.
Se dopo questo groviglio di associazioni, enti e founder, intrecciate l’una all’altra, si è creata nella vostra testa un po’ di confusione, forse potrebbe aiutare spiegare cosa hanno in comune tutte queste persone e associazioni. “Legami con le università d’élite americane, con il mondo della Silicon Valley e con i grandi fondi di investimento”, si legge nel libro. “Sono inoltre tutte persone bianche e in grandissima maggioranza uomini”.
Il potere politico dei lungotermisti
Un altro aspetto da non sottovalutare, su cui l’autrice invita a riflettere, è l’influenza politica dei lungotermisti, e la loro capacità di farsi strada tra le maglie del potere mondiale. Persone, scrive Doda, che “non hanno dalla loro parte solo le più importanti élite tech, ma godono di una crescente simpatia tra i decisori politici occidentali.
Toby Ord, ad esempio, uno dei primi a utilizzare il termine lungotermismo, è stato consigliere dell’Organizzazione mondiale della sanità, della Banca mondiale, del World Economic Forum, del Consiglio per l’intelligence degli Stati Uniti e del Governo britannico. Sam Bankman-Fried, seguace dell’altruismo effettivo (la corrente a cui il lungotermismo si ispira), “nonché fondatore della piattaforma di scambio di criptovalute FTX, fallita lo scorso novembre, ha incontrato Bill Clinton e Tony Blair”. Holden Karnofsky, sopra citato, collabora con l’Ocse in qualità di esperto di intelligenza artificiale.
Per questi motivi, secondo l’analisi dell’autrice, “il lungotermismo potrà avere effetti molto concreti sulla distribuzione delle risorse, sulla gestione della crisi climatica, sul modo con cui affrontiamo le diseguaglianze.”
Il business dell’apocalisse
In questa visione di grande prosperità futura, che non risente dei confini terrestri, temi come il cambiamento climatico non rappresentano un problema né tantomeno un’emergenza. Il rischio dei disastri naturali e il timore dell’estinzione creano inoltre una falsa immagine di una collettività di individui tutti ugualmente vulnerabili, quando di fatto […] le differenze di classe influenzano enormemente la capacità di adattamento delle comunità ai cambiamenti climatici. I super ricchi hanno attivamente già iniziato a progettare la loro fuga dal mondo in fiamme: basti pensare al business dei bunker post-apocalittici di lusso, in crescita negli ultimi periodi.
I miliardari, soprattutto quelli provenienti dai circoli tech e dalla Silicon Valley, sono molto interessati all’idea del collasso della civiltà. A come loro possano sopravvivere alla fine, ma anche a come trasformare la fine del mondo in una straordinaria opportunità di business. Nel libro “Solo i più ricchi. Come i tecnomiliardari scamperanno alla catastrofe lasciandoci qui”, lo studioso di impatti sociali della tecnologia Douglas Rushkoff racconta di un suo incontro con cinque delle persone più ricche del pianeta in una località segreta, per offrire una consulenza sul futuro della tecnologia. Il testo di Rushkoff è un resoconto dell’esperienza al limite dell’assurdo, del suo dialogo con i cinque super ricchi che stavano ragionando su come allestire il loro rifugio dell’apocalisse. Le domande che il professore si è visto porre erano le più svariate, da “in quale criptovaluta è più sicuro investire?”, fino a “come proteggere il bunker dalle folle inferocite e impedire che le mie forze di sicurezza private si ribellino ed eleggano un loro leader?”.[…]
Quanto è radicata questa filosofia e come si sta espandendo?
“Il lungotermismo è ancora una filosofia elitaria, che circola principalmente in ambienti tech e accademici”, afferma Doda ad Alley Oop – Il Sole 24 Ore. “Sta però prendendo piede in alcune grandi istituzioni come le Nazioni Unite e alcuni dei suoi concetti chiave, come quello di rischio esistenziale, sono diventati centrali nei discorsi sull’intelligenza artificiale”.
Possiamo fare qualcosa?
Alla luce di questo quadro, il lettore si chiede se esista una via d’uscita, un’alternativa percorribile per non restare osservatori passivi. Lo abbiamo chiesto a Doda. “Io penso di sì”, risponde. “Cominciando, magari, a capire davvero le problematiche attuali e come impattano sui cittadini di oggi e sulle prossime generazioni, quelle su cui abbiamo un effettivo spazio di influenza, togliendo il monopolio del discorso ai miliardari e riconducendole all’interno di uno spazio democratico”.
La pars construens, ricorda l’autrice, è sempre difficile, dal momento che, quando si parla di accesso al potere, vi è una grande distanza tra i cittadini e le cittadine comuni e chi detiene il potere economico. “Tuttavia – conclude – possiamo forse imparare qualcosa dal relativo successo del lungotermismo: l’idea che abbiamo bisogno di avere una visione del futuro, oltre che di comprendere e dibattere, nelle sedi democratiche e popolari, idee complesse come quelle sullo sviluppo tecnologico. Immaginare radicalmente qualcosa di diverso, non semplicemente reagire alle emergenze, è fondamentale per iniziare a costruire. Io propongo di partire dal basso, ispirarsi ai movimenti di rottura radicali, come quello ambientalista e quello transfemminista, che da luoghi periferici hanno saputo parlare al mondo. Si possono trovare anche altri esempi. Ma non possiamo lasciare l’immaginazione del futuro, e l’utopia, solo ai miliardari”.
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Autrice: Irene Doda
Titolo: “Utopia dei miliardari. Analisi e critica del lungotermismo”
Editore: Tlon, 2024
Prezzo: 12 euro
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