Liberare l’immaginazione, i disegni dei bambini palestinesi in mostra a Bologna

Come possono i bambini superstiti immaginare il loro futuro vivendo con il dolore di essere sopravvissuti ai loro genitori, fratelli, sorelle, agli amici uccisi dalle bombe e dalle pallottole dell’esercito?
L’orrore, la perdita, la morte, ma anche una speranza di pace si percepisce visitando una mostra attraverso i disegni dei bambini del campo profughi di Dheisheh a Betlemme, in Palestina.

Liberare l’immaginazione: Palestina 2023-2048” riporta l’attenzione sul dramma di chi sta subendo l’orrore del massacro.
L’esposizione vive negli spazi del circolo Nassau a Bologna e nasce dal lavoro di Jeremy Lester – per 30 anni professore in Inghilterra di Filosofia e Scienze Politiche, autore di numerosi saggi, oggi residente tra Bologna e Parigi –, che ha vissuto nel campo tra dicembre 2023 e gennaio 2024.

Arteterapia per liberare l’immaginazione dei bambini

Durante il periodo trascorso, Lester ha elaborato un progetto di arteterapia con un gruppo di bambini e adolescenti, per cercare di liberare la loro immaginazione dal pantano degli incubi di cui soffrono, a causa delle frequenti incursioni dell’esercito israeliano nel campo e delle condizioni di vita quotidiana che devono affrontare.

La mostra è composta da 50 opere e da due quadri per ciascun piccolo autore e autrice: il primo mira a rappresentare le loro vite e condizioni oggi, in altre parole hanno disegnato come vedono se stessi in questi giorni tragici; per il secondo disegno sono stati incoraggiati a rappresentare le loro speranze e sogni per una vita migliore nel futuro, per sé e i propri figli.

Jeremy Lester ha indicato per il futuro la data 2048, cioè 100 anni dopo la Nakba: parola araba che significa catastrofe. Rimanda agli eventi tumultuosi del 1948, con la creazione dello Stato di Israele, la prima guerra arabo-israeliana e l’inizio dell’esodo di arabi palestinesi, con 700 mila persone che abbandonarono città e villaggi.

Tutti i disegni su come vivono oggi la loro vita mostrano una rappresentazione negativa e drammatica. E non può essere altrimenti, dovendo vivere esposti al vento, al freddo, alla sete e alla fame ogni giorno, tra centinaia di persone che muoiono sotto le bombe, con le loro case distrutte, sottoposte alla violenza dell’esercito.

La mostra vuole riportare l’attenzione sul dramma che stanno vivendo i bambini e le bambine palestinesi, che più di altri stanno subendo l’orrore del massacro di un popolo allo stremo. Ma pone anche delle domande: quale futuro li attende? In che mondo sono destinati a vivere? E come vivranno, ammesso e non concesso che vivranno? E in che mondo tutti noi siamo destinati a vivere?

Un gruppo di cittadini sensibili

La mostra è stata sostenuta a spese di un gruppo di privati cittadini per informare e sensibilizzare sul dramma del conflitto. Un gruppo di amici e amiche si sono ritrovati in una loro chat, dove si scambiavano articoli, consigli, opinioni. Qui è nata l’idea di aiutare Jeremy Lefter a realizzare la conferenza e la mostra.

“In genere ci sentiamo impotenti, e allora ci siamo chiesti: perché non aiutare Lefter? – racconta Beppe Bottaro, che fa parte del gruppo -. Questa mostra è dedicata all’immaginazione del futuro dei ragazzini e delle ragazzine che vivono nei luoghi e nei giorni di quello che non esitiamo a definire un genocidio. Il colore dell’aria è oggi molto più fosco, ma ci occorrono dei luoghi nei quali immaginare il domani in maniera meno tetra di come ci propone la realtà del potere che devasta il pianeta e ci trascina nell’orrore della guerra”.

Non legati a nessuno, al di fuori di sigle, associazioni o partiti politici, la loro è stata un’ iniziativa civica di informazione e sensibilizzazione sul dramma che si sta vivendo in Palestina, ma soprattutto per portare l’attenzione sul numero impressionante e intollerabile di bambini uccisi.

“L’approccio che ho adottato è stato una forma di arteterapia – spiega Lefter -. Durante il periodo della mia permanenza, ho lavorato a stretto contatto con la principale organizzazione educativa del campo. La sua filosofia guida deriva da due scuole di pensiero: l’approccio alternativo/popolare all’istruzione e forme innovative e creative di servizio sociale. Nelle settimane che ho trascorso con i bambini, li ho incoraggiati con successo a parlare degli orrori che avevano vissuto o a cui avevano assistito, dei loro incubi e della loro vita quotidiana nel campo. Partendo da queste basi, ho poi ideato modi in cui la loro immaginazione per un diverso tipo di vita potesse essere libera di perseguire percorsi molto più costruttivi e pieni di speranza”.

Nel cuore della comunità

Tutto il tempo che il professore ha trascorso con questi giovani è stata un’esperienza di arricchimento. “Dal punto di vista esterno – racconta sempre Lefter – il campo potrebbe sembrare poco più di uno ‘slum’ grigio, squallido e disseminato di spazzatura, dove sicuramente nessuna felicità o contentezza potrebbe sopravvivere. Ma come il poeta irlandese W.B. Yeats, ha giustamente sottolineato: “Se guardi nel buio abbastanza a lungo, c’è sempre qualcosa lì”. O come ha acutamente osservato il mio grande amico e scrittore di fama internazionale John Berger: “…dalla spazzatura, dalle piume sparse, dalle ceneri e dai corpi spezzati, forse nascerà qualcosa di nuovo e bello”.
In breve, una volta che si penetra all’interno, nel cuore della comunità, allora si scopre e si sente immediatamente il calore e il potere purificatore e curativo del vero spirito comunitario e della solidarietà”.

Da sottolineare che nel campo profughi di Dheisheh (che esiste da 75 anni) fino al 7 ottobre erano 3000 i palestinesi ospitati, oggi invece sono circa 20mila fuggiti da Gaza di cui la maggioranza bambini.

“Liberare l’immaginazione: Palestina 2023-2048” sarà visibile fino all’11 aprile: dopo la tappa bolognese la mostra sarà portata all’estero, in Scozia, Turchia, Grecia e Francia.

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