Certificazione per la parità di genere: a che punto siamo un anno dopo?

A poco più di un anno dal rilascio delle prime certificazioni di parità di genere, gli audit per la sorveglianza – in vista del rinnovo triennale – fanno emergere alcuni spunti interessanti. Il primo, chiaro ma non scontato: la UNI/PdR 125:2022 non è un “bollino” una tantum, ma un percorso di miglioramento continuo. Un impegno da non sottovalutare, ma appassionante ed efficace, come raccontano le testimonianze dell’ Aeroporto G. Marconi di Bologna e di OMG.

Le aziende che hanno deciso di certificare il proprio impegno per la parità di genere sono, ad oggi, 1480*: un numero significativo considerando che la scelta è su base volontaria, ancorché premiale. Anche Gianluca Di Giulio, responsabile area relazioni istituzionali ed esterne di Accredia , conferma che “si tratta ormai di un sistema di gestione d’impresa che in due anni si è diffuso – come numero di organismi di certificazione accreditati – tanto quanto quelli Qualità, ambiente e sicurezza sul lavoro che esistono da trent’anni.”

Miglioramento continuo

“Una metà delle aziende che abbiamo certificato (44%) – spiega Claudia Strasserra, chief reputation officer e impact manager di Bureau Veritas Italia – ha migliorato il proprio punteggio, ma è anche vero che circa un terzo (il 29%) non ha registrato i miglioramenti necessari per mantenerlo, restando comunque al di sopra della soglia di virtuosità”.

La UNI PdR 125:2022 prevede infatti che alcuni indicatori quantitativi migliorino nel tempo, fino al raggiungimento della parità: “in altre parole – spiega Claudia Strasserrra – se in fase di prima certificazione un determinato valore può essere considerato sufficiente ad acquisire il punteggio, nel successivo audit di mantenimento è atteso un miglioramento del medesimo valore (fino al raggiungimento della parità)”.

I numeri della parità

Facciamo un esempio: se analizziamo il divario retributivo o gender pay gap in un’azienda medio-grande, il punteggio è raggiunto quando la differenza tra retribuzione media maschile e femminile, a parità di mansione e ruolo, è inferiore al 10%. Ma dopo 12 mesi occorre dimostrare un’ulteriore riduzione di questo dato, con l’obiettivo di azzerarlo nel tempo.

Questo indicatore è stato inserito nella certificazione di parità di genere perché fotografa il percorso professionale “ad ostacoli” che devono affrontare le donne sul lavoro e richiede alle aziende di intervenire, eliminando per esempio gli stereotipi di genere nelle scelte di promozione o favorendo una gestione dei congedi parentali più equilibrata. Stesso discorso vale per la percentuale di donne dirigenti, per quella delle donne con ruoli di responsabilità, per i primi riporti al vertice o con delega di spesa o investimento: dopo un anno, occorre dimostrare un ulteriore passo in avanti verso la parità. E i numeri si cambiano solo attraverso azioni specifiche, che modificano la cultura e i processi aziendali.

Paternità “non pervenuta”

I neo-papà devono fare richiesta all’INPS per usufruire dei 10 giorni di paternità “obbligatoria” a loro riservata, ma spesso questa informazione non viene trasmessa all’azienda: di qui la difficoltà a sapere quanti sono i padri, e come supportarli, all’interno dell’organizzazione. Poche aziende al momento soddisfano questo requisito e la prassi ha quindi adottato un approccio più graduale: nel primo anno della certificazione per la parità di genere, è sufficiente che l’impresa abbia informato i propri collaboratori sui diritti e le opportunità per i genitori previsti per legge, oltre ad eventuali integrazioni contrattuali. Ma in occasione della prima sorveglianza, l’azienda dovrà invece essere in grado di rendicontare i dati sull’utilizzo dei congedi di paternità e sull’utilizzo dei congedi parentali da parte dei padri.

Un percorso di consapevolezza

“In oltre 16 mesi di lavoro dalla certificazione – spiega Lucia Barbara Silvestri, referente sostenibilità sociale e coordinatrice comitato pari opportunità dell’ Aeroporto G. Marconi di Bologna SpA, prima del settore ad ottenerla – possiamo sicuramente affermare di aver migliorato la cultura e la consapevolezza su questo tema per tutti gli stakeholder coinvolti, a partire dai nostri colleghi e non solo. Aver agito sui temi della parità di genere e della D&I ha avuto ricadute evidenti e immediate sia su tematiche di engagement che di reputazione che si misurano con gli alti livelli di attrattività raggiunti della nostra società verso i candidati”.

Con la sorveglianza la sfida è stata “confermare il massimo punteggio ottenuto – precisa Lucia Barbara Silvestri – attraverso un piano strategico di breve/medio/lungo periodo e azioni specifiche di miglioramento continuo, come nuove politiche formative che abbracciano i temi della genitorialità e cura, nuove azioni di welfare in ottica di flessibilità e conciliazione tempi vita-lavoro, politiche di parità di genere in tutti i processi HR a partire dalla selezione per continuare nei percorsi di sviluppo e crescita che vede un importante traguardo nella sostanziale equità retributiva”.

Consapevolezza e rilevanza strategica anche per Omnicom Media Group, prima agenzia media certificata, “il beneficio maggiore – spiega Linda Santo, people director Omnicom Media Group – è stato misurare con kpi specifici l’efficacia delle diverse iniziative sulla DEI, consentendoci di mapparle tutte e di darle coerenza ed organicità”. In un anno OMG ha potenziato la formazione su questi temi (oltre 90 ore), lavorato sul benessere psico-fisico con il counseling e affrontato uno snodo cruciale nella crescita professionale femminile: quello della flessibilità degli orari, con lo smartworking e i servizi di welfare libera tempo. “Essendo un’agenzia media – sottolinea Linda Santo – abbiamo un ruolo importante nel favorire, anche verso i nostri clienti, un linguaggio e dei messaggi rispettosi dell’equità di genere”. Insomma, le aziende “promosse” dopo la prima sorveglianza sono quelle che non hanno mai smesso di lavorare, misurando l’efficacia delle iniziative, a supporto della parità di genere.

Perché – in sintesi – la certificazione non è un “attestato” da appendere al muro, ma il primo passo di un percorso impegnativo. Che, se affrontato con dedizione e costanza, porta a benefici organizzativi sia per i collaboratori che per l’azienda stessa.

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*Fonte: Dipartimento per le Pari Opportunità, febbraio 2024

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