Impennata di minori detenuti dopo il Decreto Caivano: ma punire non è educare

Punire per educare: quando si parla di minori, è davvero questa la soluzione più efficace? È una domanda da porsi, oggi che abbiamo i primi dati che raccontano l’effetto del decreto Caivano: 496 minori e giovani adulti detenuti nei 17 Istituti penali per minorenni in Italia, al 15 gennaio 2024. Si tratta di un numero record in 10 anni, rivela l’associazione Antigone nel settimo rapporto sulla giustizia minorile, sottolineando che il decreto “ha introdotto una serie di misure che stanno avendo e continueranno ad avere effetti distruttivi sul sistema della giustizia minorile, sia in termini di aumento del ricorso alla detenzione che di qualità dei percorsi di recupero per il giovane autore di delitto”.

La denuncia di Antigone è chiara: il decreto Caivano ha stravolto l’impianto del codice di procedura penale minorile, di fatto mettendo da parte “una bella storia italiana di de-istituzionalizzazione dei ragazzi e delle ragazze. Una storia che ha costituito un vanto dentro l’Unione Europea”, e causando un’involuzione normativa che “ci riporta qualche decennio indietro nella storia giuridica del nostro Paese. A partire dal 1988, con l’entrata in vigore del nuovo codice di procedura penale, l’Italia aveva scelto un’altra via, quella dell’interesse superiore del minore” si legge ancora nel rapporto.

I dati del rapporto

All’inizio del 2024 sono dunque quasi 500 i detenuti nelle carceri minorili italiane. Gli ingressi sono in netto aumento: erano 835 nell’intero 2021 e hanno raggiunto quota 1.143 nel 2023, la cifra più alta almeno negli ultimi 15 anni. Il segno più evidente degli effetti del decreto Caivano, è che i minori negli istituti penali (Ipm) per minorenni in misura cautelare erano 340 nel gennaio 2024, contro i 243 di un anno prima. La crescita delle presenze negli ultimi 12 mesi è quasi interamente di ragazze e ragazzi in misura cautelare.

Altro effetto del decreto – aggiunge Antigone – “è la notevole crescita degli ingressi in Ipm per violazione della legge sugli stupefacenti, con un aumento del 37,4% in un solo anno”.

La fascia anagrafica più rappresentata è quella dei 16 e 17 anni, e in totale i minorenni sono in larga maggioranza, quasi il 60% dei presenti. “Due anni fa la situazione era esattamente invertita. L’aumentata possibilità introdotta dal decreto Caivano di trasferire i ragazzi maggiorenni dagli Ipm alle carceri per adulti sta facendo vedere i propri effetti, con danni enormi sul futuro dei ragazzi” spiegano da Antigone.

Per quanto riguarda la tipologia dei reati va sottolineato che la categoria più frequente è quella dei reati contro il patrimonio, che rappresentano il 55,2% del totale a carico di tutti coloro che sono entrati in Ipm nel corso del 2023 (il 63,9% se si guarda ai soli stranieri, e addirittura il 70,2% se si guarda alle sole donne). Tra i reati contro il patrimonio il più ricorrente è il furto, che pesa per il 15,1% del totale dei reati a carico di tutti coloro che sono entrati in Ipm nell’anno, e addirittura il 35,6% per le sole donne. I reati contro la persona sono il 22,7%.

I reati contro l’incolumità pubblica (10,6% del totale) sostanzialmente coincidono con le violazioni della legge sugli stupefacenti, che rappresentano il 10,2% del totale dei reati a carico di chi è entrato in Ipm nel 2023, ed il 14,5% se si guarda ai soli italiani. Questi numeri, se si guarda agli ingressi nel 2022, erano rispettivamente il 6,9% e l’8,6%.

Aumenta la criminalità al Nord

Analizzando le denunce verso minori nel tempo, il rapporto nota che se è vero che il numero non è molto diverso, cambia però la geografia. Il record appartiene al nord ovest (Liguria, Lombardia, Piemonte e Valle d’Aosta), con circa 10mila denunce. Anche nell’area geografica del nord est (Emilia- Romagna, Friuli-Venezia Giulia, Trentino Alto Adige e Veneto) si evidenzia un trend in aumento nel biennio 2021-2022.

Più contenuti i numeri nelle regioni del centro (Lazio, Marche, Toscana ed Umbria), dove si rileva solo un lieve incremento, mentre nelle regioni del sud (Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise e Puglia) si registra un significativo decremento. Circa 6mila le segnalazioni nel centro d’Italia, circa 5mila nel sud (erano circa 7mila nel 2015) e circa 3mila nelle isole.

Una possibile spiegazione di questo cambiamento, secondo Antigone, è nell’aumento del costo della vita al nord, nonché nella privatizzazione di alcuni servizi pubblici. Questi fattori hanno comportato per le fasce di popolazione che vivono ai confini del welfare, l’impossibilità di accedere a una serie di servizi fondamentali nella vita di tutti i giorni, cui negli anni passati avevano invece accesso. Il senso di frustrazione e di ingiustizia, soprattutto nelle aree urbane in cui negli ultimi anni vi è stata una crisi del sistema di welfare, avrebbe favorito l’insorgere di condotte devianti, alimentate dalla consapevolezza di una disuguaglianza endemica: avere meno di altri senza che vi sia un’effettiva ragione di fondo.

“Per i minori, il carcere deve essere l’ultima ratio”

“Inasprire il sistema penale minorile non serve” ha affermato Carla Garlatti, Autorità Garante dell’infanzia e dell’adolescenza, intervistata per Alley Oop da Livia Zancaner. E lo ha ribadito in questi giorni ai microfoni di Radio 24: “La possibilità di ricorrere maggiormente alla misura carceraria ha comportato un aumento vertiginoso della presenza di minorenni in carcere, e questo significa da un lato che non vi è stato alcun effetto deterrente dell’inasprimento delle pene sulla condotta dei minorenni, e dall’altro gli effetti sono estremamente negativi perché il ricorso al carcere per i minorenni deve essere l’ultima ratio. I minorenni sono persone che devono essere accompagnati con un percorso rieducativo, anche in una struttura contenitiva, ma il sovraffollamento, la mancanza di mezzi, la mancanza di personale, non consentirà di avere quei percorsi rieducativi dei quali i minorenni hanno assolutamente necessità per non ricorrere nuovamente nelle condotte illecite”.

Quanto sia dannosa la permanenza non rieducativa all’interno delle carceri, è ancora testimoniato da Antigone, che afferma: “Le storie da noi raccolte dei ragazzi e delle ragazze che finiscono negli istituti penali per minorenni ci spiegano come i tassi di recidiva siano altissimi, soprattutto quando i ragazzi, al compimento del diciottesimo anno d’età, vengono catapultati nelle carceri per adulti interrompendo un percorso di presa in carico educativo. Un danno enorme per il ragazzo e per la sicurezza del paese”.

Punire è dunque dannoso per chi viene punito, ma non solo: è un fallimento da parte di una politica, che utilizzando la coercizione e la violenza si dimostra miope e incapace di svolgere quel ruolo educativo e civile che dovrebbe avere in uno Stato di Diritto.

“Con i ragazzi i manganelli esprimono un fallimento”: lo ha dichiarato senza mezzi termini il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. All’indomani delle
discutibili repressioni delle manifestazioni studentesche di Pisa e Firenze, una nota stampa del Quirinale ha dichiarato che “Il presidente della Repubblica ha fatto presente al ministro dell’Interno, trovandone condivisione, che l’autorevolezza delle Forze dell’Ordine non si misura sui manganelli ma sulla capacità di assicurare sicurezza tutelando, al contempo, la libertà di manifestare pubblicamente opinioni”.

“C’è una gestione scorretta del dissenso”, ha affermato poi Paolo Notarnicola, coordinatore nazionale della Rete degli Studenti, ai microfoni di Radio 24: “una gestione che potrebbe avvenire nel dialogo, invece si preferisce soffocarlo nelle manganellate. Per noi è indicativo di uno Stato che non sta bene, di una democrazia che ha paura del conflitto, della contestazione, del dissenso”.

Di fronte ai dati diffusi da Antigone, non si può evitare di osservare come anche le repressioni studentesche di questi ultimi mesi facciano riferimento allo stesso sistema di pensiero: una politica incapace di dialogare come di educare, votata a un’idea antipedagogica di educazione forzata del minore.

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