Virginia “Luisa” Tonelli è finalmente tornata a casa. Una pietra d’inciampo la ricorda ora al limitare della casa in cui nacque il 13 novembre 1903. Lei, partigiana, attivista, donna libera e modernissima.
Pedemontana friulana, fra le colline di Castelnovo del Friuli: Davour la mont era un pugno di case dove vivere significava acrobazia, ingegno e rinunce. Virginia nasce qui, sono in 7 fratelli, la famiglia è semplice e povera. Restano orfani e Virginia inizia la rincorsa. Fa la sarta e poi l’infermiera nell’Ospedale infantile di Venezia. Ma le sue attenzioni sono per le condizioni di quei bambini e delle loro madri: per questo, nel 1930, aderisce al Partito comunista e nel 1933 va in Francia. A Tolone, fa la donna di servizio, poi si sposa. Il suo uomo, Pietro Zampollo è un compagno di partito che combatte in Spagna nelle Brigate internazionali che sostengono la Repubblica. Quei giorni, tra Francia e Spagna, le danno una coscienza nuova. La sua vita è la battaglia accanto alle donne e la frequentazione con Giovanni Amendola, Giuseppe Dozza e Giancarlo Pajetta la fa crescere.
Una vita in prima linea
Viene arrestata una prima volta, in Friuli, accusata di attività di propaganda. Sconta, a cavallo fra 25 luglio e 8 settembre 1943, più di tre mesi di carcere. Poi, una volta libera, entra in clandestinità. Luisa – questo il suo nome di battaglia – fa una «vita durissima» come scrive Mario Lizzero nel saggio Virginia Tonelli “Luisa” partigiana (Quaderni della Resistenza, n. 1, a cura del Comitato regionale dell’Anpi del Friuli-Venezia Giulia). Fa la staffetta, porta messaggi alle formazioni garibaldine nella zona di Castelnovo del Friuli.
Instancabile, organizza nuclei di partigiani, la lotta armata e il collegamento fra la popolazione e chi combatte in montagna. La maturità di pensiero di Luisa emerge anche in alcuni documenti dell’epoca scritti nell’ambito dei Gruppi di difesa della donna: «I nostri giovani non devono rispondere alla chiamata degli invasori! Con le infami schiere nazifasciste essi troveranno la morte e il disonore di una tremenda disfatta!». È vicina alle sarte che, a Campone (Tramonti di Sotto), confezionavano le divise partigiane.
Le responsabilità aumentano, e anche la forza di Luisa, sostenuta dalla sua preparazione politica. Si adopera, coinvolge altre compagne, le sostiene nella lotta, ma il 19 settembre 1944, mentre porta documenti da Udine a Trieste, viene arrestata. Sarà torturata per giorni senza mai fare un nome. La sua vita finirà alla Risiera di San Sabba di Trieste, il 29 settembre 1944. Bruciata viva.
Nel giardino della memoria
Ora la pietra d’inciampo – per la quale tanto si è prodigata Tiziana Tonelli - ha riportato a casa, lei, Medaglia d’oro al valore, fra quelle case di cui ormai rimangono pochi muri, appassionatamente restaurati da Alvise Tonelli e Italo Salvador, i quali curano Davour la Mont come fosse un giardino. Un giardino della memoria che ora fa parte di quel museo immenso da 80mila pietre d’inciampo diffuse in tutta Europa, dal Portogallo alla Russia, alla Grecia, e la cui posa è stata lanciata nel 1992 dall’artista tedesco Gunter Demnig per ricordare tutte le donne e tutti gli uomini che non sono tornati a casa a causa del regime nazifascista.
«La pietra è un punto di partenza – ha ricordato durante la cerimonia Bianca Minigutti, presidente dell’Anpi dello Spilimberghese – La sete di libertà di Virginia, la sua coscienza di donna che sostiene l’emancipazione delle donne è attuale anche oggi e la dobbiamo tenere viva, così come i valori della Resistenza».
Virginia, “Luisa”, donna fra le donne, al fianco delle donne. Oggi, come allora, baluardo della democrazia e della Carta costituente e certa del potere delle donne, come in queste righe del Credo di una donna, scritto da Robin Morgan e recitato dall’attrice Giulia Pes: «E ovunque risate, sollecitudine, festa, danze, contentezza. Un paradiso umile, terrestre, ora. Noi lo renderemo reale, nostro, disponibile. Noi disegneremo la politica, la storia, la pace. Il miracolo è pronto. Credeteci. Siamo le donne che trasformeranno il mondo».
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