Milano: il mercato degli affitti la trasformerà in un hub di passaggio?

È una scelta, ma sempre più obbligata: lasciare Milano (o forse più in generale le grandi città) è quello che sempre più persone si stanno organizzando a fare, e la motivazione più forte che guida queste scelte è il caro affitti.

Quando lo scorso maggio gli studenti sono scesi nelle piazze degli atenei a protestare contro l’aumento degli affitti, si è cominciato a parlare di emergenza e i dati hanno confermato una crescita spropositata dei costi. Secondo il portale immobiliare.it (i dati ufficiali dell’agenzia delle entrate sui contratti stipulati si fermano a due anni fa), negli ultimi otto anni la crescita dei canoni di affitto è stata del 34%. ​​Il valore più alto si registra a Milano, dove una stanza singola costa in media 627€ al mese, ma può arrivare a toccare anche i 900€ al mese.

Vero è che il trend dell’uscita dalla cerchia cittadina verso la periferia era stato già registrato nel passato più recente, con una narrazione spesso infiocchettata da bucolici silenzi e interminati spazi verdi che presumibilmente attraevano le famiglie verso località dell’hinterland come Magenta, Zibido San Giacomo, Cinisello Balsamo. Resta il fatto che, con una quotidianità che continua a orbitare lavorativamente nella città, la qualità della vita avrà pur risentito delle interminate code in tangenziale o dei sovrumani silenzi nelle attese di autobus che non arrivano mai. Perché poi, fuori dalle domeniche, è di questo che è fatta la vita in periferia.

Andare via da Milano (e hinterland)

Al momento sembra però muoversi una nuova onda: l’uscita dalla città verso altre città. Meno metropolitane, forse, ma all’apparenza più accoglienti e più vivibili.

Dopo tredici anni a Milano, mi trasferirò a Bergamo” racconta Lara Piffari, 38 anni, editor freelance. “Bergamo è una città che mi permette di avere a portata di mano (di treno, di auto, di mezzi pubblici in generale) tutto ciò di cui ho bisogno, ed è una città che ho riscoperto di recente, per la sua dimensione umana, per la sua rinascita culturale più discreta di quella Milanese ma decisamente più autentica, per la sua efficienza non urlata. Si tratta di una scelta che ho intrapreso per diversi fattori: economico, soprattutto (vivere a Milano ormai è diventato un vero e proprio investimento, pago per stare “nel centro della vita”, ma poi per godere della vita non ti resta più nulla da parte); ma anche relativo ai ritmi di vita, sempre più insostenibili. Dopo il lockdown, mi sono resa conto che questa città mi chiedeva solo un enorme dispendio di soldi ed energie per darmi in cambio poco altro”.

Il lockdown è stato un momento di presa di coscienza per molti, e di messa in discussione dello spazio della quotidianità. Spesso quando si parla di vivibilità di una città si citano servizi e vitalità (locali, negozi, aperture) ma si trascura l’aspetto di comunità.

Dell’importanza del tessuto comunitario, racconta Lorenza Luchi, 33 anni, commerciante: “Per noi la scelta di trasferirci a Taino (Varese) è stata dettata dalla consapevolezza di quanto il vero benessere passi anche per gli spazi. Il lockdown ci ha fatto capire quanto sia importante avere degli spazi adeguati, soprattutto con i bambini. Certo, qui mancano alcuni servizi, ma mettendo tutto sulla bilancia ho guadagnato, anche per la comunità. Quando ho avuto bisogno, molte mamme mi hanno dato una mano, mi sono trovata davvero aiutata e supportata”.

Il fatto è che è sempre più difficile costruire reti comunitarie in uno spazio urbano che sembra sempre più votato a essere un hub di passaggio, dove aumentano gli affitti brevi e continua a proliferare l’attrattiva dell’airbnb per i proprietari di case. Secondo Nomisma, occorrono mediamente 120 giorni sul mercato delle locazioni brevi turistiche, per ottenere la stessa redditività di un canone ordinario. E tutto questo, mentre il peggioramento della situazione reddituale della fascia 30-50anni non consente di accedere all’acquisto dell’abitazione e costringe alla ricerca di una locazione che pare essere diventata un unicorno.

Hub di passaggio?

Ciccio Rigoli, attore e autore di 42 anni, racconta che allo scadere del suo affitto 4+4, la proprietaria gli ha comunicato che non avrebbe rinnovato il contratto, perché intendeva mettere l’appartamento sul mercato turistico. La scelta di lasciare Milano, dopo diciotto anni, è arrivata dunque anche per lui, che ha optato per Novara, dove per lo stesso prezzo è passato dai 18mq di Milano a 96mq. Racconta con amara ironia: “Ho passato i primi giorni chiuso in cucina, la casa mi sembrava troppo grande”. Ma al di là delle battute, la sua è un’esperienza che porta alla luce i paradossi della città.

L’aumento dei collegamenti e dei mezzi pubblici, ha trasformato la zona in cui abitava, l’ha resa, come si ama dire nel mondo immobiliare, “signorile”, facendo lievitare i prezzi ma soprattutto distruggendone l’aspetto comunitario, come racconta ancora lui stesso: “Nel condominio in cui stavo, ho scoperto che già sette appartamenti sono nel circuito airbnb, il mio diventerà l’ottavo. La situazione è causata dalla maggiore convenienza ad avere persone solo di passaggio a Milano ma disposte a spendere, è causata dalla quantità di case vuote che restano sfitte perché è più conveniente e c’è meno sbattimento a mantenerle vuote invece che ad affittarle a prezzi sostenibili, è causata dalla quasi totale mancanza di piani per la casa che rendano conveniente affittare per lunghi periodi. Per quanto mi riguarda, a 42 anni e con un figlio, anche basta. Forse è ora di crescere e pensare che servano degli spazi diversi, e Milano non li concede se non sei disposto a sacrificare moltissimo tempo per guadagnare e soprattutto far guadagnare chi ti affitta casa”.

Perdere i propri cittadini è un fallimento

Il fallimento è mio. Sono io che non posso permettermi di vivere in città. Il mercato fa il suo, se non riesco a stare sull’onda non posso incolpare nessuno” afferma R. R., architetto di 47 anni che dopo venticinque anni ha scelto di lasciare Milano per tornare in Emilia Romagna. Nella sua esperienza abitativa, che si è mossa attraverso quattro diversi quartieri della città, c’è una sorta di paradigma. Ha cominciato come studente in condivisione, poi è stato un lavoratore in condivisione, e negli ultimi anni è come se fosse stato via via espulso dai quartieri che ha abitato, che attraverso processi di riqualificazione e gentrificazione hanno cambiato prezzi e, di conseguenza, tessuto sociale.

I processi di valorizzazione in questo tipo di quartieri pongono un rischio molto concreto di messa in discussione dei legami e delle reti sociali consolidate nel tempo. Se non sono accompagnati da politiche abitative, queste reti sono destinate a saltare” afferma Alessandro Coppola, membro del comitato Abitare in Via Padova, nato nel 2021 con l’obiettivo di elaborare e proporre nuove politiche pubbliche per la casa.

Nel tempo il comitato ha realizzato una petizione al Comune, l’apertura di uno sportello, la redazione di una “Carta dei diritti dell’abitare”, incontri e tavoli di discussione da cui sono scaturiti alcuni documenti, tra cui un opuscolo che racconta ed esamina strumenti e modelli di governance già sperimentati in altre grandi città europee come Amsterdam, Parigi, Barcellona, Vienna e Berlino. Proposte concrete, insomma, che richiedono all’amministrazione meneghina di porre attenzione a ciò che sta accadendo nei quartieri della città, che cambiano fisionomia non solo per quanto riguarda l’apparenza urbanistica, ma anche e soprattutto nella sostanza comunitaria.

A Milano si fa tantissima retorica sul sociale e la diversità, ma dove esse esistono vengono lasciate a rischio, in balìa delle dinamiche di mercato” prosegue Coppola. “In totale assenza di politiche pubbliche, con gli affitti affidati totalmente al mercato, nessuna regolamentazione sui nuovi alloggi, che pure ci sono, costruiti non rispondendo ai bisogni di chi vive in questi quartieri, finisce che anche nel patrimonio già esistente i valori aumentano senza tenere conto della richiesta e della capacità di spesa”.

Il mercato da solo non può guidare il processo

Siamo abituati, per retorica e stereotipo, a pensare a Milano come alla città “da bere” degli anni Ottanta. Ci sono stati momenti, negli ultimi decenni, in cui è parso che ci fosse un bilanciamento equilibrato tra vocazione internazionale e costruzione di comunità. E poi? Racconta ancora Lara Piffari: “Poi è arrivato tutto il movimento delle “week”, del food, della movida, e nel post lockdown secondo me questa cosa è peggiorata ulteriormente. Ora è sempre più difficile trovare posti che definirei normali, ogni volta che passo per un quartiere periferico – dall’Ortica alla Barona, da viale Certosa inoltrato a Corvetto – vedo sorgere nuovi edifici residenziali e loft, mentre gli spazi per chi banalmente non ha i soldi di famiglia è sempre più ristretto”.

Non sarà un’analisi sociologica accurata, ma è questa la percezione del cittadino che lascia la città. E se anche la scelta ha inizialmente un movente economico, poi si giustifica con un senso di abbandono e solitudine con cui occorre fare i conti.

Non è che si deve voler vivere solo a Milano, si deve poter voler vivere anche nel resto della regione urbana, la cosa non accettabile è che sia il mercato a guidare questo processo” prosegue Coppola: “Milano è anche la sua area metropolitana, ma l’area metropolitana non può essere una sorta di scarico dei problemi. La visione metropolitana è fatta di politiche e scelte metropolitane, di amministrazioni che costruiscono politiche in chiave metropolitana, investendo in servizi e distribuendo risorse dalla città – dove si concentra la grande maggioranza degli investimenti – verso l’area metropolitana. In questo modo si dà la possibilità alle persone di scegliere dove vivere in un territorio ampio perché le condizioni di vivibilità dei comuni metropolitani migliorano e convergono verso un livello condiviso. Se Milano si vuole percepire come una grande area metropolitana bisogna cambiare profondamente molte scelte pubbliche”.

Non si può dunque fare a meno di chiedersi a quali cittadini pensi nel suo presente e nel suo domani una città che va nella direzione raccontata da queste esperienze.

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