Sono genovese. Lo dico sempre con una punta d’orgoglio. Qualcuno direbbe con ben più di una punta. Amo la mia città. Burbera e di rara bellezza, come scrissi una volta. Genova non ti chiede di essere guardata, non ti chiede di essere visitata e tanto meno di essere amata. Genova se ne sta lì, raggomitolata sulla riva del mare, con la schiena ricurva appoggiata alle colline, gli inesorabili sali e scendi, i vicoli e i caruggi (termine genovese per “strada stretta, vicolo”). Mi sono domandata molte volte quante similitudini ci siano tra me e la città. Quanto il luogo che si abita plasma ciò che siamo.
Psicologia geografica
Esiste un ramo della psicologia che studia l’ambiente e le sue caratteristiche. Si chiama “psicologia geografica” ed esamina i collegamenti tra luoghi e i fenomeni psicologici, per capire come differiscono al variare dello spazio. Diversità che possono manifestarsi tra emisferi, regioni, stati, città o quartieri. Si parte dall’assunto che ogni luogo ospiti persone psicologicamente diverse, ma è la geografia a influenzare chi vi abita o viceversa?
La letteratura mostra che non esiste una risposta certa in tal senso, ma mette in luce l’interazione tra le variabili individuali e caratteriali (introversione/estroversione, ad esempio) e le condizioni fisiche e ambientali (spazi verdi, tipologia di edifici, ecc.). Alcune ricerche si sono addirittura spinte a chiedersi se gli spazi in cui si vive possano influenzare i tratti di personalità. Un interessante studio in tal senso è stato condotto negli Stati Uniti e ha messo in relazione il modello del Big Five – la più nota tassonomia dei tratti di personalità – con le aree geografiche americane. Dalla ricerca emerge, ad esempio, come il tratto della coscienziosità sia fortemente presente nelle vecchie regioni industriali come Pittsburgh o Detroit, mentre l’apertura è concentrata intorno a città come New York e regioni come la California. Eppure, lo studio non dice nulla di più su come l’ambiente influenzi la personalità.
L’influenza dell’ambiente
Mi piacerebbe poter andare oltre. Comprendere l’eventuale peso che la geografia del territorio, l’estetica dei palazzi, le scelte urbanistiche possono avere su di noi. Aspetti intrinsechi delle singole città e dei singoli luoghi, non solo elementi – come aree verdi, industrie, quartieri più o meno popolosi – che possono trovarsi in qualsiasi centro abitato.
Se penso a Genova e alle sue caratteristiche orografiche, penso che ci sia un certo intuitivo legame con alcuni tratti tipici dei suoi cittadini: scorza dura, diffidenza, riservatezza. Come se la personalità seguisse le curve dei bricchi (termine genovese per “colline”) e si increspasse al ritmo delle onde. Chissà come elementi quali acqua, montagne, umidità, vento, spazi angusti – uniti alla storia della città e alle sue tradizioni – hanno plasmato e plasmano ciò che siamo.
I Genovesi non si raffinano in nessun modo: sono pietre massicce che non si lasciano tagliare. Quelli che sono stati inviati nelle corti straniere, ne son tornati Genovesi come prima.
Scriveva Montesquieu nel suo “Viaggio in Italia”. È subito mi vengono in mente le decine di persone che conosco che per periodi brevi o lunghi che siano sono andate – o sono ancora – a studiare o a lavorare all’estero. Tutte accompagnate dalla nostalgia del mare e dalla brama – a un certo punto – di tornare. Come se un richiamo misterioso ci tenesse ancorati ai nostri flutti e alla nostra scorza. Perché sì, l’orgoglio che si coglie quando dico che sono genovese è lo stesso che attraversa gli occhi di chiunque sia nato nella Superba e la abiti. Nonostante tutto.
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