Il doppio standard che inchioda la salute mentale

Una donna che sta a casa con i figli è una mamma, un uomo che fa lo stesso è un mammo. Due uomini discutono, due donne litigano. Una donna che piange è normale, un uomo è debole. Sono tutti doppio standard, ossia l’applicazione di etichette diverse agli stessi comportamenti, sulla base di chi li agisce. Come se non potesse esistere una linea di condotta uguale e unica. Il doppio standard è un costrutto a cui si fa spesso riferimento nelle questioni di genere, che risulta oggi più che mai applicabile anche nei confronti della salute. 

Il primo e più lampante esempio in tal senso è la gestione della salute fisica rispetto a quella psicologica, a cui si aggiunge il modo in cui diamo supporto alle persone in caso di difficoltà e le modalità con le quali accogliamo l’esempio che arriva da vip, sportivi e celebrità. Vediamo questi tre doppi standard nel dettaglio.

La tendenza a definirsi malati solo se si soffre fisicamente

La sfera psicologica fatica ad essere riconosciuta come parte integrante della propria salute. È infatti spesso ritenuta poco importante, anche laddove la dimensione fisica è considerata tale e viene ampiamente considerata. Basti pensare a quanto sia normale assentarsi dal lavoro per riprendersi da una malattia o da un infortunio e quanto, invece, sia molto meno socialmente accettato farlo per alleviare uno stato d’ansia piuttosto che un vissuto depressivo. In questo secondo caso non solo manca l’abitudine, ma spesso anche il coraggio. Eppure, farlo legittima la sfera mentale come importante tanto quanto quella fisica, combattendo direttamente questo primo doppio standard. 

La difficoltà nell’aiutare chi sta male psicologicamente 

Immagina di essere a tavola con la tua famiglia. Improvvisamente un parente si alza dalla sedie e grida, piegandosi in due dal dolore. Cosa fai? Interverresti, ovviamente. E come te, tutti i presenti. Sapresti come comportanti: se ci fosse del sangue proveresti a fermarlo, se si trattasse di forti dolori addominali, cercheresti un medicinale, se la situazione fosse più grave, chiameresti un’ambulanza.
Con la salute mentale, il quadro si complica. Non siamo infatti abituati a fare nulla di quanto sopra. Generalmente ignoriamo i sintomi e le grida d’aiuto, nel migliore delle ipotesi offriamo un blando supporto, che ha più il sapore di una micro-aggressione (inconsapevole): coraggio, vedrai che andrà meglio, i problemi sono altri.
Frasi che di certo non curano un taglio o una gastrite e che, allo stesso modo, non sono in grado di risolvere un attacco d’ansia. 

L’acclamazione delle celebrità che fanno speak up

Recentemente, Ellie Downie, ginnasta inglese di fama mondiale, si è ritirata dall’agonismo. Ultimo caso di una serie di celebrità del mondo del cinema e dello sport che fa speak up e parla apertamente della propria sofferenza psicologica. Atti di coraggio e di grande forza che vengono ampiamente riconosciuti come tali. L’opinione pubblica acclama le dichiarazioni e le decisioni portate avanti dagli atleti e dagli attori e per qualche giorno i riflettori sono puntati sull’importanza del benessere mentale. Eppure, il doppio standard è in agguato. Cosa succede infatti se un lavoratore o una lavoratrice di un’azienda fa lo stesso? È facile immaginare le reazioni: persone che sminuiscono, addirittura prendono in giro la scelta, commentano l’accaduto come un capriccio, fanno presente che i problemi sono altri e che forse è tutta una scusa. Suona familiare? 

Finché continueremo ad applicare un peso e due misure alla sfera psicologica, non saremo in grado di riconoscere alla dimensione mentale il giusto valore. Che non è altro che lo stesso che riserviamo alla salute fisica. Non solo perché mente e corpo sono indissolubili, ma anche perché se il benessere di uno dei due viene meno, viene a mancare nel suo complesso.

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