Cambio vita, Gianluca Gotto e la vita da nomade digitale

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«Tre ore e cinque minuti: ecco la mia giornata lavorativa. Nel momento stesso in cui spengo il computer, so che non lo dovrò più accendere per motivi professionali. Il lavoro è finito, ci si rivede domani».

No, il punto non è lavorare poco. Ma è scegliere quanto e come lavorare. Significa decidere – e non subire – un’organizzazione lavorativa fatta di equilibrio, di spazio e di tempo. Tempo, soprattutto questo. «È quanto di più prezioso io possieda, e il mio obiettivo è prendermene cura, ogni giorno».

Inizia così il primo libro di Gianluca Gotto, “Le coordinate della felicità”, quello con cui ha ispirato migliaia e migliaia di giovani italiani, dimostrando che sì, un modo diverso di vivere e lavorare è possibile.

gianluca-gotto-01Gianluca, torinese, classe 1990, è oggi un viaggiatore, uno scrittore e un nomade digitale. Parliamo di una categoria che fino a qualche tempo fa, faceva difficoltà a essere classificata nel novero dei “veri” lavoratori, dando per scontato che un lavoro per essere vero dovesse necessariamente includere scrivania, ufficio con pareti bianche e orari stabiliti, va da sé, da qualcun altro, con tanto di cartellino da timbrare e, molto spesso, interminabili code in auto da affrontare ogni giorno per poterlo raggiungere.

Poi è arrivato Covid-19 e molte di queste convinzioni si sono sgretolate sotto il peso di una nuova normalità fatta di smart o remote working. Due concetti che, di per sé, rischiano di restare scatole vuole se non sono accompagnate a una giusta dose di fiducia, coraggio e visione. Ed è proprio ciò che ha compreso Gianluca dando voce, prima di altri, a quel senso di smarrimento e insoddisfazione che caratterizza buona parte delle nuove generazioni, costrette a un lavoro spesso sottopagato e per nulla soddisfacente. Generazioni che inseguono il cambiamento, riuscendo solo in pochi casi a realizzarlo appieno.

«Come molti giovani italiani, mi sono iscritto all’Università, prima giurisprudenza e poi filosofia, ma non ci ho messo molto a capire che quella non sarebbe stata la mia strada. Non mi sentivo stimolato, era come se mi stessero rubando il tempo. Così, ho deciso di abbandonare. Ma non ho trovato altro se non un lavoretto da dog-sitter per cinque euro l’ora. Più il tempo passava, più la situazione peggiorava: se prima ero uno studente insoddisfatto, dopo ero diventato un disoccupato privo di prospettive» ci racconta Gotto.

gianluca-gotto-03La soluzione arriva inaspettatamente, una sera. «Ci sono momenti nei quali comprendi che devi agire, senza badare troppo alle conseguenze. Il cosiddetto overthinking, ovvero pensare e ripensare a tutto ciò che potrebbe o non potrebbe funzionare, è il modo migliore per restare fermi e subire passivamente la vita. Ma io non avevo lasciato la strada sicura dell’università per piangermi addosso e restare fermo»  confida.

Da qui, l’intuizione: partire. Prima meta: l’Australia, poi il Canada. Gianluca fa il cameriere, il panettiere, finanche l’operaio in un allevamento industriale di polli (esperienza che lo porterà a dire addio alla carne per sempre). Scopre che fuori dalla confort-zone si sente «maledettamente vivo». E questo, era esattamente ciò che stava cercando. Anche se, a livello lavorativo, le cose erano ancora da sistemare. Quei lavori gli davano sì delle buone retribuzioni e, in alcuni casi, ampi margini di libertà, ma non erano il vero cambiamento su cui aveva scommesso.

Riconoscendo nella scrittura la sua più grande passione, Gianluca decide di diventare articolista sul web e specializzandosi in un settore (il poker online), riesce a trovare la combo perfetta: lavorare, viaggiando. Tailandia, Bali, Cambogia, Vietnam, Malesia, Hong Kong: sono solo alcuni dei paesi che visita, mentre lavora, con la sua compagna Claudia. E proprio in questi paesi scopre che il nomadismo digitale è tutto fuorché un retaggio romantico.

«È stato tanto entusiasmante, quanto frustrante accorgersi che in Tailandia era normale lavorare da una spiaggia ed essere considerati lavoratori a tutti gli effetti, mentre in Italia tutto ciò era visto con sospetto e diffidenza» confida. Proprio per questo, nel 2016, apre il blog in Mangia Vivi Viaggia, uno spazio in cui racconta la sua vita controcorrente. In breve tempo raggiunge oltre 400 mila follower. Da qui, l’attenzione di Mondadori con cui scrive il primo libro – “Le coordinate della felicità”, appunto – a cui poi seguiranno “Come una notte a Bali”, “Succede sempre qualcosa di meraviglioso” e “Pura Vida”.

gianluca-gotto-02«Non avrei mai immaginato tutto questo, eppure eccomi qui. Ci sono arrivato perché ho imparato a fare i conti con l’incertezza, a non vivere con angoscia l’ignoto. Viviamo in una società che considera il fallimento come la vergogna più grande. Ma fallire, cosa significa, se non averci provato? Fallire non vuol dire essere un fallito. È ciò che dico ai tantissimi ragazzi italiani che mi scrivono ogni giorno perché si sentono intrappolati: studiano, anche se non sono interessati a farlo, accettano un lavoro che detestano, sottopagato, privo di stimoli, immerso in un contesto tossico, solo perché gli è stato detto di fare così, e mettono un freno alle loro ambizioni per paura del giudizio altrui. Ma non esiste crescita personale senza una serie più o meno lunga di fallimenti. E non dovrebbe vergognarsi chi mettendosi in gioco, cade, ma chi non rischia mai, chi baratta la propria felicità con un’esistenza piatta e incolore» ribadisce.

Ciò di cui parla Gianluca è un movimento sempre più concreto, le cui fila si stanno ingrossando progressivamente. Molte di queste insoddisfazioni, silenziose ma profonde, dopo Covid-19 sono esplose, tramutandosi in dimissioni. Le Grandi Dimissioni. Migliaia, anche in Italia, il Paese del “posto fisso” per eccellenza. Solo nel primo trimestre del 2022, come segnala Inps, sono state 307 mila. Mai così alte negli ultimi 8 anni, + 35% rispetto a 2021, quando pure si era toccato un record. Secondo Aidp, l’Associazione italiana direzione personale, le dimissioni volontarie stanno interessando il 60% delle aziende e riguardano soprattutto lavoratori fra i 26 e i 35 anni, per lo più impiegati in aziende del Nord Italia.

Gli esperti parlano di un effetto YOLO – You Only Live Once – Si vive una volta sola -, ovvero il desiderio – non più trascurabile – di vivere una vita più intensa e piena, con un migliore equilibrio fra vita privata e lavoro e una maggiore soddisfazione economica. Caratteristiche non semplici da trovare in un mercato del lavoro tradizionale. Per questo, i nomadi digitali crescono. Pare siano 35 milioni i lavoratori che, nel mondo, si autodefiniscono nomadi digitali.  E le previsioni sono di un ulteriore aumento nei prossimi anni. Parliamo di persone che lavorano come freelance, ma anche come imprenditori e in alcuni casi come dipendenti. Persone che scelgono di girare il mondo o di concentrarsi in paesi come il Messico e la Tailandia, che mettono a loro disposizione servizi avanzati (dal soggiorno alla connessione) e che vantano per questo community sempre più nutrite. Il nomadismo digitale può diventare, infatti, anche un ottimo canale di sviluppo economico per i Paesi, tanto che anche l’Italia – seppur con ritardo – sta iniziando a sviluppare normative ad hoc.

gianluca-gotto-00Come fare per diventare nomadi digitali? Per Gianluca, la risposta, sta tutta nella conoscenza di sé. «Aprire gli occhi, accendere la curiosità, diventare più consapevoli: sono processi essenziali per poter affrontare il cambiamento senza timore. Se facciamo un’analisi accurata di chi siamo, possiamo capire quali sono le nostre competenze, cosa ci appassiona, cosa richiede il mercato e possiamo lavorarci su, valorizzando le nostre abilità anche grazie alle tantissime piattaforme online che offrono opportunità, spunti e benchmark retributivi rispetto ai lavori del futuro».

Un processo formativo anti-convenzionale, a cui accompagnare un altro elemento spesso sottovalutato nel mondo del lavoro italiano: il confronto, quello più autentico e sincero, vero nutrimento per la crescita. «Adottando questo atteggiamento, ho conosciuto tante persone che mi hanno ispirato, che mi hanno fatto capire che non dovevo nascondermi o aver paura di chi mi dava del “pazzo”. Se fossi rimasto a casa, nella mia zona sicura, tutto questo non sarebbe successo e oggi sarei senza dubbio anche io insoddisfatto come i ragazzi che mi scrivono».

E il futuro? L’esperienza insegna, anche per lui. «Mai porsi dei limiti – avverte -. Le occasioni arrivano quando ci muoviamo. È solo restando fermi che alimentiamo la paura di ciò che verrà».

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  • Matteo |

    Tutto molto interessante. Ho solo la sensazione di chiamare con un altro nome una cosa vecchia: la storia di qualcuno che ce la fa. Anche Baricco potrebbe lavorare da una spiaggia in Polinesia.

  • silvia bianchini |

    Bellissimo pezzo, stimolante, genera sogni e speranza nei giovani e anche nei meno giovani che possono permettersi di muoversi e partire, fare esperienze.
    Ci sono però lavoratori giovani o meno giovani che si sentono altrettanto “intrappolati” e vorrebbero cambiare, rinnovarsi, ma vivono una realtà diciamo più “complessa”, avere famiglia, figli, debiti, rende difficile adottare il modello “mollo tutto e parto”.
    Diventa così più facile o necessario fermarsi, qualcuno direbbe rassegnarsi, forse, ma proviamo a vederla da un’altra prospettiva,
    riuscire ad accettare un lavoro che non sentiamo nostro, che non ci soddisfa ma che ci permette di vivere bene, cercando di trovare un proprio spazio di felicità godendo delle piccole cose, non è poi così male. Potrebbe essere un suggerimento per gli spiriti irrequieti ma “vincolati”!

  • Gloria DI Rienzo |

    Bellissimo articolo.Quando diamo spazio alla nostra creatività è tutto un fluire.Dobbiamo lavorare per vivere ,non vivere per lavorare.Bravo gianluca e chi cone lui trae forza e energia sperimentando se stesso ed essendo intrepido invece di sottostare ai soliti clichè lavorativi o alle l9gichw di sfruttamento messe in atto da molti fatori di lavoro che ufficialmente tengono” le carte a pisto”.Siamo allw soglie del 2030 e coloro che sono al comando dei bottoni hanno ancora idee stereotipate ,rigide e obsolete riga4do l’organizzazione del lavoro.La rivoluzione ,di cui gianluca è un rappresentante , per fortuna ha avuto inizio anche prima del Covid come caso isolato.Per fortuna sta prendendo puede anche a l8vello generale una organizzazione del lavoro più flessibile e creativa che metta al centro il benessere psicofisico dell’uomo,delle sue esigenze non solo sanitarie ma soprattutto di una vita soddisfacente che gratifica i bisogni della “pancia”, del tempo l8bero,dell’animo creativo.L’organizzazione del lavoro in quattro giorni a settimana,come è effettuato in Finlandia e si sta sperimentando in Gran Bretagna, può certamente essere una rivoluzione a 360 gradi che può investire la maggior parte delle persone e affiancare la tendenza del nomade digitale.

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