Il Comitato delle Nazioni Unite che monitora la Convenzione per l’eliminazione di ogni discriminazione contro le donne (CEDAW) ha accolto il ricorso dell’associazione Differenza Donna sul caso di una donna già vittima di violenza domestica e poi stuprata da un agente delle forze dell’ordine, prima condannato e poi assolto nei successivi gradi di giudizio, rinvenendo negli interventi dell’autorità giudiziaria italiana l’azione di stereotipi sessisti. Una nuova condanna per l’Italia, che spinge nella direzione di una nuova normativa. Il Comitato, infatti, ha raccomandato di introdurre programmi specifici di formazione sulla violenza contro le donne per tutti gli operatori della giustizia e ha infine intimato al nostro Paese di modificare il reato di violenza sessuale, garantendo la centralità del consenso della vittima “come elemento determinante” del delitto.
“Per la prima volta in Italia il Comitato CEDAW, comitato delle Nazioni Unite che monitora l’applicazione della Convenzione per l’eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti delle donne, ha accolto il nostro ricorso F. c. Italia iscritto al n. 148/2019 e ha riconosciuto che l’Italia ha violato gli articoli 2 (b)-(d) e (f), 3, 5 e 15 della CEDAW nei confronti di una donna che, già vittima di violenza domestica, aveva subito uno stupro da un agente delle forze dell’ordine incaricato delle attività di indagini in corso sul maltrattamento subito dall’ex marito. L’agente delle forze dell’ordine era stato condannato in primo grado a sei anni di reclusione, poi assolto in secondo grado. La Corte di cassazione ha poi confermato l’assoluzione. Lo Stato italiano nel procedimento ha difeso le politiche nazionali adottate negli ultimi anni in materia di prevenzione della violenza di genere nonché l’operato dell’autorità giudiziaria, ma il Comitato CEDAW ha ritenuto che il trattamento riservato alla donna, prima dalla corte d’appello, e poi dalla Corte di Cassazione, non ha garantito “l’uguaglianza sostanziale della donna vittima di violenza di genere”. Lo riportano in una nota stampa le avvocate Teresa Manente, Ilaria Boiano, Rossella Benedetti, Marta Cigna dell’associazione Differenza Donna che riprende alcuni passaggi salienti di quanto affermato dal Comitato Cedaw.
“Il Comitato ha sancito per la prima volta che l’eliminazione di stereotipi sessisti nel sistema giudiziario è un passo cruciale per garantire equità e giustizia per le donne vittime di violenza. Il Comitato- continua la nota- ha evidenziato che il trattamento discriminatorio subito dalle donne nelle aule di giustizia non dipende solo dall’impatto discriminatorio che le leggi di per sé hanno nei confronti delle donne, ma anche dall’assenza di specializzazione e di sensibilità delle autorità giudiziarie nell’applicazione della legge nei casi di violenza di genere e dall’utilizzo di pregiudizi e stereotipi discriminatori”.
In particolare, il Comitato ha stabilito che: “Spesso i giudici hanno adottato dei modelli rigidi riguardo il comportamento che considerano giusto per una donna e penalizzano coloro che non si conformano a quel modello. Gli stereotipi, inoltre, pregiudicano la credibilità delle donne, delle testimonianze e delle argomentazioni. Ciò ha delle conseguenze gravi, per esempio, nella giustizia penale, ove gli imputati di violenza sessuale non sono resi legalmente responsabili per le violazioni commesse, dunque sostenendo una cultura di impunità. In tutte le aree della legge, gli stereotipi compromettono l’imparzialità e l’integrità del sistema di giustizia e conducono a decisioni disancorate dalla realtà dei fatti e alla ri-vittimizzazione delle persone offese”.
Nel caso in esame il Comitato ha ritenuto che le corti nazionali abbiano dimostrato: “Una chiara mancanza di comprensione dei costrutti di genere della violenza contro le donne, del concetto di controllo coercitivo, delle implicazioni e delle complessità dell’abuso di autorità, compreso l’uso e l’abuso di fiducia e l’impatto dell’esposizione ai traumi successivi”.
“Il Comitato ha affermato- continua la nota stampa- che gli stereotipi crescono dove la legge non identifica in maniera chiara ‘il consenso’ quale elemento centrale del reato di violenza domestica. L’assenza di ciò, porta ad una errato scrutinio sulla vita privata della vittima e ad un a interpretazione delle norme basata su norme culturali e preconcetti che nega equo accesso alla giustizia e fallisce, non solo di proteggere la donna, ma ripetutamente la sottopone a discriminazione e ri-vittimizzazione. Se il consenso è portato come argomento della difesa, allora l’onere della prova non deve gravare sulla vittima, ma sulla difesa che deve provare l’esistenza ben fondata di un esplicito consenso. Il Comitato ha raccomandato, come misura specifica nei confronti della donna, l’integrale riparazione del danno morale e sociale a lei cagionato a causa dell’omessa riparazione e protezione anche in quanto vittima di violenza domestica. Sono sati riconosciuti, inoltre, i danni specifici conseguenti all’accettazione degli stereotipi e i miti basati sul genere da parte dell’autorità giudiziaria di merito e della Corte di cassazione. Il Comitato ha deliberato anche misure di ordine generale che lo Stato deve adottare con urgenza e che riguardano la risposta legislativa e giudiziaria del nostro ordinamento dinanzi alla violenza di genere e sessuale. Sono state accolte, infatti, le nostre richieste di adottare misure efficaci per garantire che i procedimenti giudiziari relativi ai reati sessuali siano portati avanti senza ritardi ingiustificati e di garantire che tutti i procedimenti giudiziari relativi a reati sessuali siano imparziali, equi e non influenzati da pregiudizi o stereotipi di genere, indicando una vasta gamma di misure correttive rivolte a tutti i livelli del sistema legale”.
Prosegue ancora la nota stampa: “È stato raccomandato inoltre di fornire programmi di formazione specifici per la magistratura, per l’avvocatura e le forze dell’ordine, il personale medico e tutte le altre parti interessate, con la finalità di far comprendere le dimensioni legali, culturali e sociali della violenza contro le donne e della discriminazione di genere. Il Comitato raccomanda di sviluppare, implementare e monitorare strategie per eliminare gli stereotipi di genere nei casi di violenza di genere, che approfondiscano i danni prodotti dagli stereotipi e pregiudizi mediante ricerche basate sull’evidenza e l’identificazione delle migliori pratiche. Ulteriore raccomandazione del Comitato, che noi riteniamo cruciale, è quella di predisporre un sistema di monitoraggio e analisi delle sentenze delle tendenze del ragionamento giudiziario, predisponendo anche meccanismi di denuncia e controllo dei casi di stereotipizzazione giudiziaria. Ciò significa che magistratura, avvocatura e tutti coloro che agiscono nella qualità di agente statale (forze dell’ordine, servizi sociali, personale socio-sanitario ecc.) e fanno ricorso a stereotipi e pregiudizi sessisti nel loro operato, ne debbano rispondere“, conclude la nota.
Le reazioni politiche
“Differenza Donna ha riscosso una vittoria storica destinata a lasciare il segno nel nostro ordinamento, a favore delle donne e contro la violenza maschile” la senatrice del Pd Valeria Valente, presidente della Commissione Femminicidio, che sottolinea: Si tratta di un grande risultato, completamente in linea con gli esiti delle diverse indagini svolte dalla Commissione di inchiesta del Senato sul Femminicidio e in particolare della relazione sulla vittimizzazione secondaria di donne e minori. Ora è determinate approvare il ddl in Commissione Giustizia che stabilisce che quando non c’è consenso c’è violenza”.
“Condannando l’Italia per la violazione di più articoli della convenzione il Comitato ha quindi raccomandato al nostro Paese di modificare il reato di violenza sessuale, puntando sulla centralità del consenso della vittima ‘come elemento determinante’ del delitto. Una battaglia – la revisione dell’ordinamento – che stiamo da tempo portando avanti in Parlamento e che speriamo, anche grazie al contributo della CEDAW, possa avere un’accelerazione. Il disegno di legge in Senato a prima firma Valeria Valente prevede anche l’inversione dell’onere della prova a carico dell’imputato. Spetterebbe a quest’ultimo dimostrare la sussistenza di ‘consenso affermativo da parte della donna’ nell’atto. Un’altra delle raccomandazioni della CEDAW. Rilevanti, infine, gli inviti del Comitato a creare un sistema di monitoraggio dell’operato degli organi giudiziari che ricorrono a pregiudizi sessisti e a predisporre programmi di formazione specifici per la magistratura, per l’avvocatura, per le forze dell’ordine, per il personale medico e per tutte le altre parti interessate. Ora tocca a tutti i soggetti in causa recepire queste indicazioni. Andiamo avanti, sfruttando la spinta della CEDAW, arrivata grazie all’impegno di Teresa Manente e delle avvocate di Differenza Donna, a cui va il nostro sentito grazie” scrive su Facebook Laura Boldrini, deputata Pd e Presidente del Comitato della Camera sui diritti umani nel mondo.
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