A che età perdiamo i nostri diritti?

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E’ stato lo SPID a mostrarlo con chiarezza: il nostro non è un Paese per vecchi. Pur essendo un Paese che, sempre più, invecchia. Grande innovazione dell’amministrazione digitale, in una primissima fase l’introcuzione dell’identità digitale ha mandato in crisi tutta una fascia d’età che con la tecnologia ha tuttora una dimestichezza limitata: era complicato da chiedere, è complicato per molti da utilizzare. Poi ci si è resi conto che rendere difficilmente accessibile il sito dell’Inps, per esempio, a una grossa fetta della platea di pensionati non era accettabile e si sono trovati metodi alternativi: un anziano può delegare un familiare per richiedere e gestire la sua identità digitale e aggirare quindi il problema.

Ma se ci pensiamo bene, già questa delega non è un passaggio facile. Per la maggior parte degli anziani, in buona salute e autosufficienti, uno degli aspetti più difficili della terza età ha a che fare proprio con la paura di perdere la propria autonomia (penso al rinnovo della patente, per esempio) o le proprie capacità cognitive. L’impressione che si ha, d’altra parte, è che la società che stiamo costruendo non tenga assolutamente conto di questo ma, anzi, metta in atto movimenti che peggiorano paure e percezioni di inadeguatezza. Pensiamo ai servizi bancari: persone che hanno da sempre gestito le loro finanze autonomamente, grazie anche alla relazione diretta con l’impiegato della banca di riferimento (oggi il consulente), si ritrovano in moltissimi casi a non aver più “nessuno con cui parlare”. Ecco che anche prendere un appuntamento diventa complicato, tra voci pre-registrate e menu telefonici poco chiari, app con doppia autenticazione, procedure che richiedono una competenza digitale non da tutti. Fortunatamente non è così dappertutto e i servizi ai clienti di banche e aziende si stanno man mano adeguando, con formule ibride che prevedono – per esempio in molti istituti di credito – che ci sia il “totem”, ovvero lo sportello automatico e digitale, ma che in caso di necessità un consulente possa affiancare il cliente nelle operazioni. E anche i servizi dedicati agli anziani stanno prendendo atto delle nuove esigenze e del loro ruolo nella società.

Il tema però non riguarda solo la digitalizzazione – che è imprescindibile ma deve essere anche, sempre, inclusiva e non espulsiva – o i servizi forniti dalle imprese o dalle amministrazioni pubbliche ma riguarda più in generale il ruolo che la nostra società sta dando a una fascia di popolazione sempre più ampia. In Italia l’aspettativa di vita è di 80 anni, l’età media in aumento, gli over 65 sono in crescita e sono oltre 14 milioni di persone, il 24% della popolazione totale. Secondo l’Istat solo oltre 17 milioni gli over 60 e questo numero, è destinato a crescere nel corso dei prossimi anni (secondo alcune stime fino a 23 milioni nel 2040). Gli ultra 75enni sono oltre 7 milioni e gli over 80 sono pòtre 4,5 milioni. Quadruplicati in 20 anni i centenari, sono 20mila.

Parliamo quindi di una fascia di popolazione importante e in crescita, ma assolutamente sottorappresentata in termini di istanze, bisogni, necessità e soprattutto diritti. Perché dei diritti degli anziani sentiamo parlare così poco? Di loro ci siamo ricordati nella prima fase del Covid, quando il virus era “la malattia che colpisce gli anziani”, quando abbiamo aperto una finestra sulle condizioni delle Rsa. Ma per un attimo, poi ci siamo occupati di questioni più urgenti che, certo, ultimamente non mancano. Così, per esempio, le visite alle Rsa sono potute ricominciare solo dal maggio 2021 ma, ad oggi, ci sono ancora notizie che parlano di casi di visite vietate e strutture blindate. E anziani soli. Secondo il rapporto Istat sulla salute degli anziani in Italia (pre-pandemia, nel 2019) circa un terzo degli over 75 presenta una grave limitazione dell’autonomia e per un anziano su 10 questa incide sia sulle le attività quotidiane di cura personale che su quelle della vita domestica.

Parliamo quindi di una fascia di popolazione importante, numerosa, in crescita e con elementi di fragilità, per alcune categorie. Che i diritti degli anziani meritino una maggiore attenzione lo evinciamo anche dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Ue che, all’art. 25, sancisce che: “L’Unione riconosce e rispetta il diritto degli anziani di condurre una vita dignitosa e indipendente e di partecipare alla vita sociale e culturale“. Un dettato ampio, che andrebbe trasformato in norme, consuetudini, comportamenti, cultura. Di recente, qualcosa si è mosso a livello politico: parte dei fondi del Pnrr dovrebbero andare alla riforma di un sistema di assistenza agli anziani non autosufficienti, per esempio, e sono state istituite almeno due commissioni e un gruppo di lavoro (tra ministero Sanità, ministero del Lavoro e Presidenza del Consiglio), per una più ampia riforma del sistema sociosanitario e assistenziale. Per quanto riguarda poi la semplificazione burocratica, lo stesso ministro per la PA Renato Brunetta ha affermato di recente che è necessario partire “dai disabili, dagli anziani, da chi ha più difficoltà. Rendiamo neutrale la disabilità nei confronti dell’accesso ai servizi pubblici: l’innovazione non deve essere per pochi, non deve aggiungere barriere. Partiamo dai più fragili, dall’assurdità di una regolazione nata per tutelarli, che finisce per ritorcersi contro di loro“.

Proprio dal lavoro della Commissione istituita dal ministero della Salute nel settembre 2020 per la riforma dell’assistenza degli anziani e presieduta da monsignor Vincenzo Paglia è nata la “Carta dei diritti degli anziani e dei doveri della società”, un documento che si incentra su tre cardini: il rispetto della dignità della persona anziana, i principi e i diritti per una assistenza responsabile e la protezione per una vita di relazione attiva. Il diritto di scegliere per sé, il diritto al rispetto, alla riservatezza e al decoro, al sostegno nelle situazioni di difficoltà, quello di scegliere liberamente dove e con chi abitare e di restare il più a lungo possibile nella propria casa, il diritto di essere ascoltato. E ancora, il diritto ad essere sempre correttamente informato, su di sé, sul proprio stato di salute, sulla propria situazione finanziaria, il diritto ad essere supportato per poter fare scelte autonome e consapevoli, il diritto al rispetto delle proprie idee, credenze e sentimenti. La Carta enuncia principi che paiono ovvi e scontati ma che, a guardarci intorno, per essere rispettati necessitano ancora di un gran lavoro. Affinché la terza età smetta di essere un’età “di troppo” o priva di senso ma recuperi il suo significato, di radice che nutre, e la loro libertà di essere.

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