I piccoli gesti che alimentano il benessere psicologico

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Quei piccoli gesti che comunicano “io ti vedo” sono quanto di più potente possa esistere all’interno di una relazione. Che sia lavorativa, amicale, familiare, romantica. Il riconoscimento – dell’altra persona, del suo lavoro o del suo impegno – genera infatti un impatto molto forte sul benessere psicologico di chi lo riceve.

Non solo si esplicita di aver notato un dato aspetto, comportamento o risultato, ma lo si legittima. Riconoscere significa dunque, prima di tutto, validare. Non a caso, i gesti di apprezzamento, come ben evidenziato in un recente articolo dell’Economist, hanno un effetto profondo sulla soddisfazione di chi li riceve.

Eppure, le aziende hanno spesso poca familiarità con queste dinamiche. E quando ce l’hanno, tentano di automatizzare il processo, attraverso la sistematizzazione di queste manifestazioni: negli incontri periodici tra capo-collaboratore, in sistemi di feedback automatizzati, oppure nell’invio di email precompilate di auguri o congratulazioni. Così facendo, tuttavia, si perde spontaneità, finendo per inficiare qualsiasi vantaggio che un apprezzamento spontaneo e inaspettato può portare. Cosa rende dunque un piccolo gesto davvero efficace e impattante sul benessere psicologico di chi lo riceve? Sono tre gli elementi che hanno un ruolo in tal senso: sforzo, frequenza ed esclusività.

Sforzo
Per quanto piccoli, i gesti di apprezzamento e gentilezza devono comportare un certo sforzo da parte di chi li elargisce. Devono far uscire dalla propria zona di comfort, essere un po’ scomodi. Se non costa nulla metterli in atto, significa che non ci si sta realmente mettendo in gioco. L’investimento relazionale è dunque molto scarno e, di conseguenza, lo sarà il risultato.

Come ricorda il terzo principio della dinamica: ad ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria. Se vogliamo che i nostri piccoli gesti facciano la differenza per chi li riceve, è necessario che, per noi, non siano forse così piccoli, dopo tutto.
Ecco allora che una telefonata o un biglietto scritto a mano ha un impatto di gran lunga
maggiore rispetto a un messaggio o un’email.

Frequenza
Quando ci abituiamo, diamo per scontato. Non c’è dunque nulla di peggio che avere la certezza che qualcosa avvenga. Perché si finisce per non riconoscerne più il valore.
Il segreto affinché i piccoli gesti che si agisce siano davvero impattanti per il benessere psicologico di chi li riceve, è la loro scarsità: devono essere episodici. Un’eccezione, non la regola. Ciò che è raro, infatti, è significativo. Ciò che è quotidiano, è invece trascurabile. Se non addirittura irrilevante.

Gli apprezzamenti non possono dunque essere troppo frequenti: fare ogni giorno i complimenti al proprio collega per il suo lavoro finisce per diventare una prassi consolidata che mina la spontaneità. Una volta che si vorrà riconoscere un traguardo inatteso che quel collega ha raggiunto, sarà probabile che non si riuscirà nell’intento. Si incorrerà infatti nel rischio che il proprio gesto venga assimilato ai precedenti. “Tu non conti, i complimenti me li fai sempre.”

Esclusività
Per essere efficace, un piccolo gesto deve essere esclusivo. Riguardare una singola e precisa persona. Un complimento a tutto il team può avere un peso, ma sarà decisamente più di impatto riconoscere il merito ad ogni singolo membro. In tal senso, è ad esempio possibile esplicitare cosa si è apprezzato di ogni contributo individuale.

La dimostrazione deve essere personale: solo così è possibile percepire il peso del proprio ruolo. Riconoscere tutti equivale a non riconoscere davvero nessuno.
Le persone hanno bisogno di essere viste non tanto in quanto parte di un gruppo, ma come singole individualità che, da sole, possono fare la differenza.

Piccoli gesti dunque, ma grandi intenzioni alla base. Tanto più sembrano esigui, maggiore è l’impegno che ci sta dietro. Ecco allora che sinceri apprezzamenti diventano sfide per chi li dispensa. Restituendo benessere psicologico in maniera biunivoca: tanto a chi riceve, quanto a chi elargisce. Attraverso il riconoscimento dell’altra persona, infatti, abbiamo una preziosa possibilità: quella di (ri)conoscere anche noi stessi o noi stesse.

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