Il valore psicologico dei soldi

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Quando i soldi diventano una questione, vuol dire che non sono abbastanza. O almeno questo è ciò che genericamente si pensa. Ultimamente proliferano società e contenuti – di informazione e formazione – che si pongono l’obiettivo di aiutare e sostenere le persone nella loro gestione finanziaria. Mio nonno, che non è qui per vederlo, ne sarebbe felice. Appassionato di economia e finanza, ha sempre cercato di trasmettere alla nostra famiglia l’importanza del risparmio e di investimenti accorti.

Nell’epoca delle Grandi Dimissioni e di un’incertezza – anche economica – diffusa, i soldi fanno tornare a parlare di sé. In maniera del tutto diversa rispetto al passato. Fino a ieri venivano infatti ritenuti l’ago della bilancia, il motivo per cui si sceglieva un lavoro o un’azienda, il motore di decisioni di carriera e di vita. Oggi, non è più così. O almeno non per tutti. La sicurezza che un buon stipendio garantisce – e che non a caso rientra nei bisogni che Maslow inserisce nel secondo scalino della sua piramide – non è l’unica che le persone cercano. Specialmente se giovani e senza necessità familiari importanti. Nel mondo del lavoro si sta infatti sempre più affacciando una ricerca di sicurezza che non ha nulla a che fare con il conto in banca, ma che afferisce al proprio mondo interno, fatto di emozioni, valori e vissuti.

Le persone cercano infatti aziende che possano soddisfare questi aspetti, luoghi di lavoro dove le relazioni siano autentiche e la cultura organizzativa positiva e non tossica. Secondo l’Osservatorio Mindwork-BVA Doxa 2021 sul benessere psicologico nelle aziende italiane, una persona under 34 su due che ha lasciato il lavoro lo ha fatto per motivi di malessere psicologico. La salute mentale viene dunque messa al primo posto. E si abdica addirittura alla propria sicurezza economica per tutelarla. I soldi, dunque, perdono sempre più valore in senso assoluto – sebbene, è certo, rimangano indispensabili alla vita – e assumono connotazioni differenti. Ma che valore hanno, da un punto di vista psicologico?

Il denaro è senza ombra di dubbio lo status symbol per eccellenza. È (ricerca della) felicità, sinonimo di tranquillità e perno delle nostre vite. Come dimostra la quantità di sinonimi che abbiamo per parlarne, più o meno stranieri e colloquiali: soldi, quattrini, fortuna, dindi, cash, denaro, grano, palanche, moneta, pecunia e così via. Sebbene, come diceva Freud, finisca per essere trattato con lo stesso imbarazzo, discrezione e riserbo delle questioni relative alla sessualità.

Il fare soldi, così come spenderli o risparmiarli, sono comportamenti che rivelano aspetti della personalità e delle storie personali di ciascuno. In alcuni casi, essi rappresentano una modalità per veicolare affetto, in altri diventano un sostituito emotivo. Finiscono per essere spesi o guadagnati per compensare mancanze, risolvere problemi o mediare situazioni che non si sa o riesce ad affrontare diversamente. Altre volte ancora, hanno la funzione di distrarre da vissuti scomodi o finiscono per incarnare aspettative grandiose nei confronti di se stessi o della propria vita.

Come sempre, anche nel proprio rapporto con il denaro, è necessario trovare il giusto equilibrio. Trattenersi se si tende a spendere o acquistare se invece si risparmia, possono essere comportamenti difficili da attuare perché comportano di modificare la percezione che si ha di sé e il significato che – spesso inconsapevolmente – si attribuisce alle proprie possibilità economiche. La propria salute psicologica passa anche da qui. Perché se è vero che i soldi non fanno la felicità, è pur vero che il personalissimo rapporto che si ha con essi determina il proprio benessere.

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